«I miei 42 anni nella Squadra mobile,
ora mi occuperò di prevenzione.
Oggi si spaccia in monopattino»

L'INTERVISTA (di Giuseppe Bommarito) - Gianluca Romagnoli è andato in pensione nel 2023. Dopo i primi sette anni a Milano è arrivato a Macerata e dal 1989 dirigeva la sezione antidroga. Nel corso della sua carriera tante le operazioni a cui ha partecipato, nel capoluogo è riuscito a beffare i pusher che cercavano di scampare all’arresto girando con piccole dosi di droga. Prima di lasciare la divisa ha anche salvato un giovane in overdose nei bagni dello Sferisterio. Lo preoccupa il Fentanyl «quando arriverà sarà un disastro» e parla della strategia al maggior guadagno illecito possibile «messa in atto dalle varie organizzazioni mafiose, italiane e straniere, che operano stabilmente in provincia ormai da qualche decennio»

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Gianluca Romagnoli durante la cena per il pensionamento

di Giuseppe Bommarito*

Laurea in giurisprudenza, specializzazione in polizia giudiziaria, segretario/vicesegretario per decenni del sindacato di categoria Sap. È andato in pensione come ispettore da meno di un anno, dopo un’intera vita spesa nella polizia: ben quarantadue anni nella Squadra mobile, di cui i primi sette passati a Milano, poi a Macerata dove dal 1989 ha poi diretto la sezione antidroga della Questura di Macerata (ufficio ospitato in un buco di stanza con ben tre scrivanie), un record a livello nazionale di impiego in un reparto così altamente operativo. Diverse missioni sotto copertura, in Europa e in Sud America. Ha ricevuto una quantità industriale di encomi semplici e solenni, onorificenze varie, tra cui quella di Cavaliere della Repubblica, per particolari meriti emersi nel corso delle varie operazioni portate avanti e attività sociali. Nel periodo milanese ha condotto diverse indagini in Italia e all’estero di concerto con la Dea (Drug enforcement administration) degli Stati Uniti, che gli ha rilasciato un attestato di partecipazione e apprezzamento.

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L’avvocato Giuseppe Bommarito

Di lui personalmente ricordo il grande senso di umanità, oltre alla professionalità, quando il 22 giugno 2009 è arrivato a casa mia, insieme ad una collega, mentre mio figlio Nicola stava morendo per overdose. In quell’occasione tragica ha saputo fortemente sostenermi sul piano umano, ha lenito in qualche modo la mia disperazione, mentre i suoi occhi, d’istinto, coglievano ogni particolare utile alle indagini, necessario per arrivare a individuare chi aveva fornito la dose letale, un falso amico anche lui tossicodipendente e una donna nigeriana in veste di fornitrice prontamente arrestata, che partorì qualche giorno dopo, una donna che distribuiva la morte mentre dava alla luce una nuova vita.

Stiamo parlando di Gianluca Romagnoli, soprannominato il “Generale”, ancora piuttosto arrabbiato per essere dovuto andare in pensione al raggiungimento dei sessanta anni, quando ancora era pieno di energia e di volontà di battersi contro spacciatori e trafficanti di droga. Ed ha ragione di arrabbiarsi, perché non si può rinunziare su due piedi ad un così vasto patrimonio di conoscenze e di professionalità. «Però – dice – sono sempre disponibile per qualsiasi attività di prevenzione e per aiutare qualcuno dei tanti ragazzi che ho conosciuto e ho visto alle prese con l’incubo delle varie sostanze stupefacenti. Con molti di loro, le vere vittime di questa strage silenziosa, sono rimasto molto legato. Me li ricordo tutti, e ancora di più ricordo i volti di quelli che sono stati uccisi dalla droga e dei loro genitori, distrutti dal dolore, da una sofferenza schiacciante».

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Da sinistra: Gianluca Romagnoli, Giuseppina Pinna, l’ex procuratore di Macerata Giovanni Giorgio e l’ex capo della Squadra mobile di Macerata Alessandro Albini

Quali sono state le operazioni più importanti alle quali hai partecipato?

«Ne ricordo tante. A Milano, nel 1986, sequestrammo un carico di 120 chili di eroina brown e un miliardo e mezzo di lire in contanti. Per quell’epoca si trattava di un quantitativo enorme. Ci stupì anche il fatto che in quel caso i trafficanti erano una famiglia pugliese, i Ricchiuti, poco conosciuti nel panorama criminale nazionale, in pratica una new entry. A Macerata, ero appena arrivato, effettuammo un’operazione che ci portò a sequestrare 122 chili di hashish, nascosti in un camper con dei doppi fondi. Bisogna tener presente che in quel periodo la media dei sequestri si aggirava al massimo al chilo di sostanza. Mi ricordo anche – qualche anno dopo, a Macerata – il primo sequestro di eroina bianca proveniente dal Pakistan. La facemmo analizzare dal professor Rino Froldi, dell’istituto di Medicina legale. Aveva una purezza straordinaria, intorno all’85 per cento, pericolosissima se non tagliata adeguatamente, a fronte di una purezza dell’eroina brown che si attestava al 45-50 per cento. Arrestammo anche i trafficanti pakistani, sparsi tra Macerata e Roma, alcuni dei quali li ritrovammo poi, scontata la pena e passati di grado, una decina di anni dopo in un’altra grossa operazione che vedeva l’eroina nascosta in borse etniche spedite dal Pakistan alla Germania e poi ad una coppia di Macerata, residente in via Pace. Parliamo di un quantitativo sufficiente a realizzare 145mila dosi da spacciare. Il boss del gruppo, un certo Ullah Shoaib, risiedeva in centro a Macerata. Mi ricordo che, durante un’attività anche di intercettazione, apprendemmo attraverso traduzioni una frase che mi fece gelare il sangue: “A questi cristiani li dobbiamo fare affogare nel loro sangue”. In una di queste occasioni il procuratore Giovanni Giorgio autorizzò tramite Dcsa (Direzione centrale servizi antidroga), il capo della squadra mobile Alessandro Albini, me e la squadra a svolgere una rischiosa attività sotto copertura. Sempre il procuratore Giorgio coordinò una nostra operazione che portò al sequestro di circa 200 chili di cocaina a Martinica, un’isola delle Antille appartenente alla Francia. La cocaina era trasportata da un’imbarcazione condotta da uno skipper croato residente a Civitanova, appartenente ad un’associazione a delinquere croata».

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Antonio Pignataro, ex questore di Macerata

Altre operazioni particolarmente significative?

«Potrei ricordare tante cose, ma (questa volta non parliamo di droga) mi limito a fare un cenno al ruolo da me avuto nel tentato omicidio di Francesca Baleani, la donna creduta morta e gettata in un cassonetto. Con la squadra fermammo il marito, poi arrestato e infine condannato. Ricordo anche che qualche volta, per varie esigenze di servizio, ho avuto l’onore di far parte della scorta del giudice Falcone e ultimamente anche del procuratore Nicola Gratteri, grandi uomini e grandi magistrati. Mi piace anche rammentare quando, nel 2019, accompagnai l’allora questore Antonio Pignataro a San Patrignano, dove ricevette un premio come “uomo dell’anno” per le sue intuitive e originali indagini sui negozi di cannabis light. Sul piano emozionale il ricordo più vivo, anche perché avvenuto proprio alla fine della mia carriera, è il salvataggio da me effettuato con manovre di primo soccorso e di massaggio cardiaco (protratte per tanti minuti, sino all’arrivo del 118) di un ragazzo andato in overdose nei bagni pubblici vicino allo Sferisterio. Un intervento fatto in autonomia, perché avevo avuto il sentore che in quella zona ci fosse un’attività di spaccio e di consumo. È stato prima drammatico, poi bellissimo ed emozionante sentire sotto le mie mani la vita ripartire in quel ragazzo, arrivato ad un passo dalla morte. Il giovane qualche giorno dopo venne nei nostri uffici per ringraziare me e la mia collega, per averlo salvato e non averlo lasciato morire in un bagno pubblico.

E’ importante anche rammentare quando, insieme al procuratore Giorgio, elaborammo un sistema per “fregare” gli spacciatori che pensavano di cavarsela con l’espediente del consumo personale. In pratica, con un sistema di indagine elaborato e faticoso, ma molto fruttuoso, riuscimmo a mettere insieme i dati di tutti i tabulati telefonici acquisiti, le dichiarazioni dei consumatori fermati subito dopo l’acquisto e i riconoscimenti da essi effettuati su una sorta di album fotografico dei principali spacciatori composto un po’ alla volta. Ciò portò subito ad una forte resistenza ed aggressione da parte degli stessi spacciatori restii ai controlli di polizia, ma al contempo fece emergere delle attività di spaccio di lungo corso e di notevole entità, idonee ad assicurare la custodia cautelare già nella fase delle indagini preliminari».

Come hai visto cambiare il mondo della droga, dello spaccio e del consumo in questi 42 anni di servizio in prima linea sul fronte?

«Intanto l’età di avvio al consumo si è molto abbassata, oggi molti ragazzini iniziano a farsi le prime canne alla scuola media. Le sostanze, tutte, hanno aumentato nel corso del tempo la potenza del loro principio attivo, per motivi di concorrenza tra gruppi di trafficanti e per catturare i consumatori in una più forte e immediata dipendenza. Allo stesso tempo, i costi sono calati, anche in tal caso di tutte le droghe, che quasi sempre provengono da paesi ove sono in corso conflitti armati e vengono spesso scambiate con armi. Si punta in ogni caso ad aumentare il numero dei consumatori, che infatti ogni anno cresce. Il tutto fa parte di una strategia che è indirizzata al maggior guadagno illecito possibile, messa in atto dalle varie organizzazioni mafiose, italiane e straniere, che operano stabilmente in provincia ormai da qualche decennio e che, per la loro attività delinquenziale, fanno leva principalmente sulle sostanze stupefacenti. La gente non ha idea di quanti soldi girino intorno alla droga, miliardi e miliardi di euro».

pensione-romagnoli-5-e1686405345857-325x322Quali sono oggi le sostanze più consumate?

«La cannabis va sempre molto forte, in particolare sotto specie di hashish e di olio di hashish, ma è potenziata al massimo; il suo principio attivo, il Thc, arriva anche al 50 per cento con le miscele e le tecniche di coltivazione ogm. Per gli adolescenti, anche se molti fingono di non saperlo, è devastante. L’eroina ha ceduto il passo alla cocaina, che non è più una droga d’élite ma sempre più sostanza primaria di consumo da parte di tossicodipendenti di tutte le età e di ogni fascia sociale, che però, a differenza degli eroinomani, non si riconoscono come tali. Sempre più frequente il policonsumo. Dilagante, perché costa poco, il crack, dannosissimo per il sistema cerebrale e per l’uso compulsivo che se ne fa. Vanno molto anche le droghe sintetiche, metamfetamine ed ecstasy. Il fentanyl comincia adesso ad affacciarsi in Italia, quando arriverà sarà un disastro da noi come sta succedendo attualmente negli Stati Uniti».

Dal lato del traffico e dello spaccio?

«Ormai quasi tutte le consegne vengono fatte a domicilio o per posta. Gli spacciatori, ricevuta una richiesta telefonica, in città si muovono veloci con una o due dosi al massimo e con pochi soldi in tasca per poter sostenere l’uso personale qualora fossero fermati; si spostano con il motorino, in bicicletta o anche con il monopattino e sono in grado in pochi minuti di fornire qualsiasi tipo di sostanza. È una modalità che si è sempre più diffusa a partire dal lockdown di qualche anno fa, oggi sta diventando la regola. La piazza dello spaccio ormai è quasi sempre virtuale».

Adesso cosa intende fare?

«Prevenzione sulla droga e sull’alcol, soprattutto nelle scuole, con i ragazzi, che meritano tutto l’aiuto delle istituzioni perché vivono in un mondo troppo pieno di pericoli mortali, disseminati ad ogni passo da trafficanti senza scrupoli, che pensano solo a fare soldi. Prima di chiudere voglio salutare e ringraziare tutta la mia squadra operativa antidroga, alcuni uomini e alcune donne delle istituzioni di particolare valore e tutti i cittadini, i ragazzi e le famiglie che ci hanno sostenuto in tutti questi anni e ci hanno dato la forza morale di andare avanti e proseguire nel nostro impegno e nella nostra attività di contrasto. Il periodo di convergenza e di indirizzo tra il prefetto Iolanda Rolli, il questore Antonio Pignataro, il procuratore Giovanni Giorgio, la stampa ed i cittadini che ci hanno sempre sostenuto, rimarrà per me e tutti i miei colleghi indimenticabile».  

*Avvocato Giuseppe Bommarito, presidente associazione “Con Nicola, oltre il deserto di indifferenza”

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