Il fiume più pericoloso al mondo,
un’ascesa notturna a 5mila metri
e l’incontro con i bhoti

MACERATA - E' tornata la piccola spedizione marchigiana di ricerca antropologica delle alte valli himalayane dopo un mese nelle gole del Budhi Gandaki. Organizzata da Arte Nomade, gli esploratori sono stati Maurizio Serafini, Cristina Menghini e Vincenzo Monaco

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«E’ considerato il fiume più pericoloso del mondo perché riversa la sua poderosa portata in una stretta gola formando delle rapide così potenti che qualora si cadesse in acqua nessuno avrebbe scampo tra gli spumeggianti vortici che si ammorbidiscono solo a fondovalle, a molti chilometri di distanza. Solo un ardito sentiero ricavato dalle pareti strapiombanti percorre la valle saltando continuamente da un versante all’altro del fiume tramite sospesi ponti tibetani, spesso danneggiati da frane e valanghe».

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Cristina Menghini, Maurizio Serafini e Vincenzo Monaco

E’ rientrata ieri sera la piccola spedizione marchigiana di ricerca antropologica delle alte valli himalayane dopo un mese nelle gole del Budhi Gandaki che scende in territorio nepalese dalle sommità tibetane e dai ghiacciai del Manaslu, uno dei quattordici ottomila del pianeta. La spedizione marchigiana organizzata da Arte Nomade di Macerata ha percorso l’intera valle superando in un’impegnativa ascesa in notturna i 5106 metri d’ altitudine del passo Larkhya nonostante la temperatura di oltre -15° e il ghiaccio insidioso incontrato lungo il percorso il 6 novembre alle 8,30 dell’ora locale, favorita da una splendida giornata di sole, la spedizione ha coronato con successo l’impresa superando il passo per ridiscendere nei giorni successivi nella più agevole valle del Dudh Khola.

arte-nomade-himalaya3-325x205A far parte del ristretto nucleo di esploratori sono stati Maurizio Serafini, veterano studioso dell’orientalista maceratese Giuseppe Tucci, ormai alla sua quindicesima esperienza in Himalaya, Cristina Menghini, che ha raccolto preziosa e rara documentazione fotografica e video dell’etnia studiata e Vincenzo Monaco, medico e farmacista, che ha sperimentato giorno per giorno l’adattamento fisico dei componenti alle alte quote. Con questa spedizione Arte Nomade va ad arricchire il già fornito archivio documentale sulle popolazioni presenti sul tetto del mondo, dando continuità all’attività di ricerca iniziata dal più grande himalaista italiano del ‘900 Giuseppe Tucci. In questo caso si è trattato di alcune comunità di etnia bhoti. «Vivono qui in piccoli villaggi sfruttando le esili radure che la montagna concede per realizzare terrazzamenti per l’agricoltura – spiegano gli organizzatori della spedizione – I bhoti vengono principalmente dal Tibet, implementati dalla diaspora avvenuta nei primi anni ’50 con l’invasione cinese che portò all’esilio migliaia di tibetani, tra cui il capo spirituale Tenzin Gyatso, odierno Dalai Lama. Sono di religione buddhista, allevatori di yak e coltivatori di orzo. La loro dieta è principalmente vegetariana e i loro villaggi in pietra, pieni di chorten e templi devozionali, caratterizzati dalle usuali colorate bandiere votive, si spingono fino alle alte quote dei pascoli oltre i 4000 metri di altitudine».

arte-nomade-himalaya4-325x183Tra materiale inedito lasciato in eredità dal professore ai suoi successori concittadini e gli aggiornamenti raccolti nella lunga attività di studio sul campo a seguito delle 15 spedizioni effettuate in Himalaya, Arte Nomade è titolare di un archivio privato di valore mondiale, già apprezzato all’italian embassy di New Delhi, al Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma e dallo stesso Dalai Lama in visita a Pennabilli, e che potrà quanto prima essere messo in esposizione e fruizione per la città di Macerata.

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