La sanità nell’emergenza sisma,
le best practice da sviluppare:
«Sinergia con sociale e volontariato»

MACERATA - La ricerca dell'Asur con l'università di Urbino nei territori colpiti dal terremoto del 2016 e i cambiamenti che sono avvenuti. L'assessore regionale Filippo Saltamartini è intervenuto alla presentazione: «Serve una sinergia per la presa in carico del paziente e spesso anche della sua famiglia»

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L’intervento di Filippo Saltamartini

 

Cambiamenti dei servizi socio-sanitari nei territori colpiti dal sisma: è stato questo il focus della giornata di studio che si è svolta a Piediripa di Macerata che l’Asur ha dedicato alla presentazione della ricerca con l’Università “Carlo Bo” di Urbino, a cura di Sabrina Moretti, con la partecipazione del direttore generale dell’Asur Nadia Storti, i direttori Av3 ed Av5 Daniela Corsi e Massimo Esposito. Un lavoro che è nato con l’obiettivo di osservare la capacità di coordinamento dei servizi sanitari essenziali nella fase di emergenza ed il livello di integrazione nella loro gestione. In particolare l’attenzione è stata rivolta all’erogazione dei servizi socio-sanitari nei territori colpiti dal sisma del 2016, analizzando le reti sociali che si sono sviluppate nella fase dell’emergenza e la loro permanenza nel tempo.

Ai lavori ha partecipato l’assessore regionale alla Sanità Filippo Saltamartini, che ha sottolineato come «il sisma non sia stata la sola emergenza con la quale ci si è confrontati. Quattro anni dopo c’è stato il Covid e tutto questo dimostra come il sistema sanitario debba essere sempre pronto a rispondere alle emergenze. Viene richiesta quindi massima flessibilità. Le patologie psichiatriche sono aumentate esponenzialmente a causa della pandemia e meritano una particolare attenzione. In campo dunque non deve scendere solo la sanità, ma serve una sinergia con il sociale ed il volontariato per la presa in carico del paziente e spesso anche della sua famiglia. Io non ero assessore durante il sisma ma lo ero nel pieno dell’emergenza Covid e devo ringraziare tutti gli operatori sanitari che hanno dato il loro contributo fattivo».

Secondo Nadia Storti, il progetto «è servito ad individuare delle “best practice” dalle esperienze maturate, buone pratiche che saranno utili nel mantenere un buon livello di integrazione, applicabile anche ad altri ambiti, in caso di eventi emergenziali futuri».



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