Renato Ripari
Sarà tra i tanti deportati che domani al Lauro Rossi saranno ricordati con la medaglia d’onore durante la cerimonia organizzata dalla prefettura in occasione del 2 giugno. Uomini e donne che come Renato Ripari, nato a Civitanova il 19 aprile 1920 e poi vissuto a Macerata, dopo l’8 settembre del 1943 furono deportati e internati nei lager tedeschi.
A ricordare questa storia, alla vigilia delle celebrazioni per la Festa della Repubblica, è il figlio Luigi: «Fu catturato dalle forze militari tedesche il 26 Settembre 1943 a Zara dove svolgeva servizio presso la quinta compagnia del Genio Militare e internato come prigioniero di guerra nel campo Wiesenthal Lager di Flettemberg in Oesterau-Dortsmund e costretto ai lavori forzati presso la fabbrica metallurgica di Brockhaus Sohne, fu addetto ai lavori pesanti sui magli meccanici per la fabbricazione di pezzi di ricambio per treni – racconta -. Condizioni estremamente dure: al mattino sveglia alle quattro e si lavorava fino a sera tardi sempre seguiti e controllati da militari tedeschi; questo però non impedì a mio padre di sabotare per due volte un grosso maglio, senza essere scoperto grazie alle sue conoscenze di meccanica.
Condizioni fisiche e di salute ai limiti della sopravvivenza, unica fonte di nutrimento bucce di patate ed erbe selvatiche bollite; se capitavano bucce di mele si arrivava, tra prigionieri, alle mani per poterle mangiare. Mio padre mi raccontava che arrivò a pesare 42 chili, (il suo peso normale era 70 chili) – sottolinea Luigi Ripari-. Il pensiero di morire era costante e con il passare del tempo si aspettava con rassegnazione la fine, ogni sera si addormentava con la speranza di morire durante il sonno pur di non affrontare un altro giorno di sofferenza. Questo tormento finì i primi di maggio del 1945 e mio padre rientrò in patria il 15 novembre successivo. Questa sua vicenda mio padre la raccontò solo a 85 anni compiuti al suo nipote Matteo, e successivamente grazie ad una iniziativa dello Itc Gentili di Macerata addirittura portò di persona questa sua esperienza agli studenti, che ascoltarono le sue parole in un attento silenzio. Il coinvolgimento anche solo con la memoria da parte della società e di noi familiari è importante- conclude – perché mantiene vivo il legame con le passate generazioni a cui oggi noi dobbiamo la libertà che loro ci hanno trasmesso grazie ai sacrifici affrontati ed ai drammi superati durante una guerra».
Anche mio padre ..a vent anni ieri fu prigioniero a Dortmund, una volta sola mi ha raccontato tutto quello che aveva passato ...le stesse parole di Renato Ripari ...le stesse....lo stesso lavoro....mio padre si chiamava Giuseppe Croceri...Onore a tutti !!!
Ragazzi mandati in una guerra che non volevano ....molti non sono tornati .
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Uno dei tanti EROI da ricordare sempre, non solo nelle ricorrenze programmate, tanti hanno avuto la grande fortuna di raccontare la loro storia, moltissimi invece purtroppo…… tutti per difentere la nostra Italia.
Ragazzi costretti ad enormi sacrifici e spesso alla morte a causa di una guerra che quasi nessuno di loro voleva.