Le lucciole maceratesi
che incantarono Pirandello

LA DOMENICA con Mario Monachesi
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Mario Monachesi

 

di Mario Monachesi

“Lucciola lucciola
vien da me
che ti do ‘l pane del re
pan del re e della regina
lucciola lucciola
cappuccina.
Lucciola lucciola
cappeciuta
ove vai per quella cupa
v’ho cercando il mio fratello
con le ali e col cortello
col cortello ‘gguzzo ‘gguzzo
pe’ tajà’ le ali al cucco”.

“Ditte anche luccicapende, anni arèto adèra ‘na festa serale che toccava lu puntu più ardu tra giugnu e luju. Da li campi de gra’, ‘rriava fino a ‘tunno (attorno) le case. Li vardasci, dopo cena, scappava de fori in brancu e le rincurria pe’ ‘cchjappalle e mettele dentro che vecchjé’ (bicchiere) ‘ttappatu, o che barattulu de vetro. ‘Lla orda li frichi su le case adèra tanti, tutti assème curia cantènno: “Lucciola lucciola / veni co’ me / che te do a magnà e bé'”. De quante ce né statia la serata doventava magica, lu spettaculu de tutte quelle lucette ‘ntermittenti jalle durava fino a menzanotte circa e, li voli, ‘rriava a non più de u’ metru e menzu d’ardezza. Adera quindi lu simbulu dell’istate, quanno esse ‘rriava significava che era ora de sta de fori a godesse l’aria”.

“Lucciolina lumicina
bada ben non te smorcià’
le vecchjne ha da filà’
e fila e fila e fila
ma l’ojo è cunsumato
lu filu s’è strappato
rimediu più non c’è
ahimé”.

“Lucciola lucciola
calla calla
mitti lu piede su la cavalla
la cavalla de lu re
lucciola lucciola veni co’ me”.

“Lucciacapenta calla calla
mitti la sella a la cavalla
la cavalla de lu re
lucciacapenta veni co’ me.
Te darrò lo pa’ de lu rre:
lo pa’ de lu rre e de la rigina
lucciacapenta vemme vicina”.

lucciolataUn poetico ricordo delle lucciole maceratesi, lo descrive bene Luigi Pirandello in una pagina de “Il piacere dell’onestà”:
Maurizio: “…ho passeggiato con lui tutta una notte, per il viale attorno alle mura. Sei mai stato a Macerata?”
Fabio: “Ti assicuro che è stata per me una notte fantastica, tra lo sprazzare d’una miriade di lucciole per quel viale: accanto a quell’uomo che parlava con una sincerità spaventosa; e, come quelle lucciole innanzi agli occhi, ti faceva guizzare innanzi alla mente certi pensieri inattesi…”.

“Luccioletta calla calla
porta a veja la cavalla
la cavalla è dellu re
luccioletta vié’ co’ me”.

Il nome scientifico delle lucciole è lampiridi (lampyridae), o luciola, appartengono alla famiglia dei coleotteri malacodermi e in tutto il mondo se ne conoscono circa 2000 specie.
Una leggenda narra che un tempo, le lucciole erano soltanto piccoli insetti scuri che vagavano per i campi di grano. Un giorno una di loro sentì un contadino esclamare: “C’è un tesoro qui”. La sera la piccola lucciola andò a riferirlo alle compagne, che l’ascoltarono meravigliate, senza sapere che fare. Ma la regina, più astuta propose: “Se c’è un tesoro, andiamo a prenderlo! Domani, di notte per non farci vedere dal contadino, andiamo con un lumino piccolo piccolo, a cercarlo!”. Le lucciole uscirono, ognuna con il suo lumino, ma non trovarono il tesoro. Da allora ogni notte d’estate lo cercano ancora, senza sapere che il tesoro è il grano.
“Se dice che sognasse le lucciole significa illusió’ e tristezza e, secondo lu scrittore e filosufu grecu anticu Artemidoro le lucciole minaccia piriculu pe’ li nimici e li farmacisti”.
LA canzone “Lucciole vagabonde” scritta nel 1927 da Cherubini – Bixio, un verso così recita: “Noi siam come le lucciole / brillano nelle tenebre /…”.

“‘Sti picculi e fatati insetti se nutre de cucciole, però a causa de li pesticidi e antiparassitari che da anni se da pe’ li campi, l’ha fatti quasci sparì’ der tutto. Da la merajia de ‘na orda a la finaccia de ogghj. Tanta corpa ce l’ha pure l’inquinamentu luminusu, troppe luci ‘ppicce la notte. Che orda manco le stelle se vede più. Tutti ‘sti ‘nconvenienti ce fa pijà…lucciole pe’ lanterne”.
Tantissimi i poeti che hanno cantato le lucciole: “Lucciole belle venite a me; / son principessa, figlia di re, / ho tracce d’oro filato fino fino, / un usignolo che canta sul pino…” (…) “Lucciole belle, venite a me , / son principessa, figlia di re”. (Renzo Pezzani da “Io son la primavera). Il più accorato e battagliero è stato Pier Paolo Pasolini. Nel febbraio del 1975 scriveva sul Corriere della Sera: “Nei primi anni sessanta a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante del passato; e un uomo anziano che abbia tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta). Quel “qualcosa” che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque “scomparsa delle lucciole”.
“In quisti urdimi anni, grazie a che contadì’ che ha capito e fa a mino de spanne lo veleno moderno, quarghe lucciola se rvede, ma la festa ormai non adè più la stessa, adè sempre un cocciu reccommedatu. Peró sempre mejo de gnente adè”.



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