Da Carlo Magno ai segreti delle vergare:
la “cartina” del farmacista Marcelletti
per una ciambella di Pasqua perfetta

TRADIZIONI - La farmacia di Tolentino per quasi un secolo ha rifornito le donne delle campagne con il lievitante misterioso per creare dolci gonfi e soffici. Arnaldo Marcelletti, 99 anni, ricorda l'invenzione del padre. Silvano Scalzini ne racconta la storia: «Sembra la corona dell'imperatore»

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Il farmacista Arnaldo Marcelletti, 99 anni, figlio dell’inventore della prestigiosa Cartina lievitante

 

di Marco Ribechi

Un lievitante segreto inventato da un farmacista di Tolentino, un dolce tipico della tradizione marchigiana e la Corona Ferrea di Carlo Magno. Sono questi i tre ingredienti che uniscono storia e leggenda del periodo della Pasqua, rispolverando quella cultura contadina delle vergare di cui restano sempre meno testimonianze. Al centro di tutto la tipica ciambella pasquale il cui ingrediente segreto è un lievitante inventato nel primo dopoguerra dal farmacista Marcelletti di Tolentino, che riforniva le donne di tutte le campagne circostanti per realizzare la ciambella perfetta.

Da quattro generazioni la Farmacia Marcelletti, quella “davanti l’abergu”, produce la prodigiosa Cartina, come ricorda il novantanovenne farmacista Arnaldo Marcelletti: «Mio padre Arturo la inventò su intuizione di una collega. Dopo vari esperimenti riuscì a trovare le dosi ideali per far lievitare il dolce alla perfezione, lasciando le ciambelle gonfie e leggere. Sotto Pasqua, con il passaparola, arrivavano contadine da ogni parte della provincia, alcune anche da molto lontano poiché nelle famiglie c’era quasi una gara a chi la faceva più alta. Ancora oggi vengono delle signore che mi portano in dono le loro fantastiche ciambelle».

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Silvano Scalzini con Alberto Macelletti, terza delle quattro generazione di farmacisti dell’attività di famiglia

Ormai le ciambelle di Pasqua si trovano in ogni supermercato ma il vero sapore è molto diverso da quello che le vergare ottenevano con la cartina di Marcelletti. «Non tutte erano in grado di realizzarle – spiega Silvano Scalzini, ricercatore gastronomico e gestore del ristorante il Picciolo di Rame – serviva una vera e propria arte. Attorno a queste ciambelle c’era un velo di mistero, le donne predisposte cominciavano a preparare i vari attrezzi, canovacci, pentole, fascine e legna per accendere il forno. Si procuravano gli ingredienti: uova, farina e mistrà, li avevano in casa ma era di vitale importanza comprare lo zucchero e soprattutto la cartina per la lievitazione che le rendeva alte e friabili. Il vanto era non creare “l’osso” ovvero non far indurire la circonferenza interna altrimenti sarebbero appunto diventate dure come un osso».

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Alcune Ciambelle di Pasqua

La ricetta di famiglia, perfezionata da anni di prove, era un segreto da non rivelare, così come la provenienza della cartina. «Non si poteva chiedere dove comprarla perché non avrebbero mai detto la verità – continua Scalzini – si inventavano scuse assurde, dicevano “io non ci metto niente” o “me l’ha data ‘na parente che la prende da un farmacista” e addirittura quando andavano a comprarla la chiedevano a bassa voce, come se fosse qualcosa di losco. Poi, quando arrivavano i parenti, si offrivano le ciambelle che erano motivo di soddisfazione sia per la vergara ma anche per tutta la famiglia; ci si sentiva orgogliosi di conoscere una donna che sapeva fare una così bella e soprattutto buona ciambella di Pasqua».

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Carlo Magno con la Corona Ferrea e Silvano Scalzini con la Reale Ciambella di Tolentino

Oggi solo poche donne conoscono il segreto della farmacia “davanti all’albergu” e infatti le ciambelle Pasquali dei forni non sono più friabili come una volta, tanto che alcuni hanno ideato il nome “Ciambelle Strozzose Marchigiane” che però non ne rispecchia il vero valore. «Secondo me invece è un dolce regale – conclude Scalzini – e si dovrebbe chiamare Reale Ciambella di Tolentino perché solo quelle che usavano la cartina di Marcelletti venivano alte più di 30 centimetri. Erano decorate con zuccherini colorati che richiamano la corona di un re, quindi, visto che Carlo Magno sembra sia sepolto a San Claudio, chissà che magari anche le nostre vergare non abbiano preso ispirazione dalla Corona Ferrea del grande Imperatore?».

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Arnaldo Marcelletti nel suo laboratorio

 

 



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