Il rito della “pista” verso l’estinzione
«Se la norcineria andrà avanti
sarà solo grazie alle aziende agricole»

TRA PASSATO E FUTURO - Ecco come avveniva e quali erano i frutti del lavoro. Il norcino di Visso Giuseppe Tarragoni analizza i motivi che stanno portando alla scomparsa di questo tradizionale appuntamento

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Giuseppe Tarragoni mentre prepara i prosciutti

 

di Monia Orazi

C’era una volta la “pista”, un appuntamento irrinunciabile della tradizione rurale marchigiana, che si sta perdendo nell’incalzare della contemporaneità. «Uno dei motivi  – spiega il norcino di Visso Giuseppe Tarragoni – sta nel fatto che le tecniche di lavorazione sono cambiate totalmente. Non si parte più dal maiale intero, ma dalla carne sezionata e questo è un punto di svantaggio. Un altro motivo è che ai giovani non piace più continuare con la macellazione tradizionale e la lavorazione che io continuo a fare. Se la norcineria andrà avanti, sarà grazie alle aziende agricole che fanno ancora vendita diretta ed hanno il loro laboratorio. ».

LA TRADIZIONE – La pista è il rito che scandiva l’inverno in tante famiglie contadine, quando tra dicembre e gennaio con il freddo intenso che teneva lontane mosche e batteri, si uccidevano e si lavoravano le carni dei maiali allevati con grande cura per oltre un anno. L’evento era una festa vera e propria, mobilitava tutta la famiglia, vicini di casa e parenti venivano ad aiutare. Ora a lavorare la carne suina secondo la tradizione, restano nel privato della loro casa famiglie che portano avanti aziende agricole, artigiani locali maestri nell’antica arte della norcineria, che indica la tradizione della lavorazione del maiale. Il termine deriva proprio dalla città umbra di Norcia, in cui è nata questa antica arte, fondamentale per la sopravvivenza delle famiglie dedite ad allevamento ed agricoltura. Lavorare le carni di maiale era una tradizione che si è tramandata di generazione in generazione, di cui oggi restano gelose custodi tante botteghe artigiane che macellano suini allevati all’antica, li lavorano nel laboratorio e poi li vendono direttamente dal bancone del negozio.

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Tarragoni ed una collaboratrice condiscono la carne di maiale

La pista serviva per lavorare le carni del maiale e conservarle per mesi, anche oltre un anno, consentendo alle famiglie contadine numerose di mangiarle in un’epoca in cui i frigoriferi erano fantascienza. Una volta ucciso a casa, del maiale non si buttava via niente. Si raccoglieva persino il sangue, che veniva cotto e mangiato al momento o addirittura utilizzato per preparare un dolce tipico. Il suino veniva diviso in due ed appeso per le gambe un paio di giorni. Solo dopo la “pacca de porcu”, la metà del maiale era stesa sul tavolo e divisa nei vari tagli di carne, quelli che siamo abituati a vedere in macelleria: prosciutto, lonza, coppa di testa, salsicce, salami di vario tipo (mazzafegato, lardellato ecc), tra cui spicca quello spalmabile tipico della tradizione dell’entroterra il “ciauscolo”.

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I tagli di carne venivano insaporiti con sale, pepe e spezie a seconda del tipo di salume. Il prosciutto veniva tagliato intero ed appeso per essere stagionato mesi e mesi. Parti di fegato si legavano con alloro e venivano arrostiti alla brace: i “fegatelli” erano degustati specialmente dai più piccoli. A fine giornata dopo aver lavorato erano immancabili le braciole fresche appena tagliate e cotte alla brace, un’altra prelibatezza erano gli “sgrisciuli”, i ciccioli di carne che accompagnavano la crescia di polenta. Per fare i salami si macinava la carne prescelta, insaporita con spezie e lasciata riposare almeno 24 ore. Il giorno dopo c’era la seconda fase: veniva insaccata in budella di bovino e si formavano i prelibati salami che restavano appesi per diversi mesi a stagionarsi, sotto l’occhio vigile della vergara, la padrona di casa che li controllava. Per conservarli meglio erano portati nella “grotta”, la parte scavata nella roccia, nel profondo della cantina, che ogni casa contadina che si rispetti aveva, quasi un’antesignana del freezer.

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Giuseppe Tarragoni prepara la coppa di testa

LA NORCINERIA OGGI – Ad illustrare la situazione della pista oggi è Giuseppe Tarragoni, storico norcino di Visso che ha raccolto la tradizione di famiglia dai Pettacci, ai Tarragoni, che va avanti da quasi un secolo.

Racconta il norcino vissano: «La tradizione artigianale della pista ormai si va perdendo. Uno dei motivi sta nel fatto che le tecniche di lavorazione sono cambiate totalmente. Non si parte più dal maiale intero, ma dalla carne sezionata e questo è un punto di svantaggio. Un altro motivo è che ai giovani non piace più continuare con la macellazione tradizionale e la lavorazione che io continuo a fare. Servono sacrificio, pazienza, un lavoro preciso e certosino, a volte preferiscono lavori meno duri ed umili. Ora la maggior parte della produzione è industrializzata. Il piccolo allevatore ed il piccolo artigiano norcino, sono due figure che vanno scomparendo».

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La fase dell’insaccatura dei ciauscoli

Un segno di speranza viene dalle aziende agricole locali, spiega Tarragoni: «Se questa arte, la norcineria andrà avanti, si salverà grazie alle aziende agricole che fanno ancora vendita diretta ed hanno il loro laboratorio. Questo è il solo canale che permetterà di portare avanti l’arte tradizionale della lavorazione del maiale, il piccolo laboratorio artigiano con il negozio, ne rimangono pochi. Martedì scorso sono andato al mattatoio di San Severino a macellare ed ho visto parecchi privati. A Visso il mattatoio è distrutto, quello di Camerino pure è chiuso dopo il sisma, resta solo quello di Sefro o San Severino. Sono di grande aiuto le celle frigorifere, è essenziale per fare i salumi come quelli di una volta, avere a disposizione un suino allevato secondo la tradizione. I maiali allevati a casa possono raggiungere il peso di due quintali, sono belli grassi, per fare un buon ciauscolo è essenziale avere un maiale maturo che abbia almeno 13,14 mesi. Siamo rimasti io, pochi altri colleghi e pochi privati a farli crescere così tanto. Invece al mattatoio ne vedo sempre meno così grossi. La maggior parte pesano dai 120 ai 150 chili, sono cresciuti per meno tempo. La qualità ed il sapore dei prodotti non è lo stesso».

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Tarragoni che lega le lonze da stagionare

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Sua “bontà” il ciausculo

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