Lo pa’ sciapo
per frecà lu Papa

LA DOMENICA con Mario Monachesi
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Mario Monachesi

di Mario Monachesi

Nelle Marche e nelle altre regioni del centro Italia, è tradizione, sin dal XVI secolo, “de fa’ lo pà’ sinza sale, sciapo”, detto anche “pa’ sciocco”. Sembra che tutto ciò sia nato per ovviare alle gabelle (tasse) che “lu Papa avia misto su lo sale”. Andiamo per ordine.

A quei tempi il sale era di primaria importanza, per i condimenti, “Chj ci-ha lo sale cunnisce le rape, chj non ce l’ha le magna sciape”, o per “fa’ mantené frutti come la jia”, ma soprattutto era essenziale per la conservazione delle carni, vedi “la salata de porcu e de atri animali”. Dalle nostre parti, questo importante prodotto lo si poteva ricavare facendo bollire l’acqua di alcune sorgenti saline presenti sul territorio. A Madonna del Monte (MC) ancora esiste contrada “Acquesalate”, a Penna San Giovanni ancora scorre il torrente chiamato “Salino”, a Sant’Angelo in Pontano ancora è presente contrada “Saline”. “La jende java èllo co’ li sicchji, o co’ le votti sopre li virocci, e remediava lo sale per l’usi de casa, che otre a quilli scritti sopre, sirvia anche per fa’ l’impacchi e disinfettà’ le firite. De ‘lli tempi non c’era tanta scerda de midicine”. Da non dimenticare certamente la via Salaria, che ancora collega l’ascolano con Roma. Secondo alcuni costruita appositamente per portare il sale dell’Adriatico nella capitale.

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Papa Paolo III Farnese

Eccoci al dunque. Papa Paolo III Farnese, soggetto alla doppia pressione dei turchi dall’est e dei luterani dal nord, avendo bisogno di risorse economiche per contrastare l’avanzata degli “eretici”, impose su tutto il territorio papale, una pesante tassa “su lo sale”. Toscani, Umbri e Marchigiani, famosi per essere gente con un carattere “de fero”, non disposti a subire ingiuste imposizioni, presero la decisione di non usare più il sale, almeno per il pane. “Fornà’ e contadì” fecero di necessità virtù. “Nascì cuscì lo pa’ sciapo”, tutt’ora, nelle Marche, prodotto senza o con pochissimo sale. “Li cumuni dell’epoca duvia ‘cquistà 10 libbre de sale per cittadinu, po’ versà’ li sordi, fatti co’ la tassa ‘pplicata, a lu Statu centrale, ma li cumuni per da’ ‘na ma’ a la jende, visto che li registri dell’anagrafe ce l’avia li parruci (parroci), cuminciò’ a dinuncià’ mino ‘bitanti (abitanti) de quilli justi. Pe’ lo sale cuminciò un po’ de mercatu niru, la fameja che putia, lo scambiava co’ lo gra’ o lo granturco. Co’ mezzo quintale de sale ce java avanti quasci un’annu”.

pane-2-325x183“Se ci-aissi l’ojo e lo sale, fario l’acquacotta”. Era un piatto molto consumato nelle nostre campagne, composto da “Pa’ a fette dentro ‘na scodella, po’ sopre ce se vuttava acqua co’ ojo, sale e cipolla”. Le tasse non sono mai state ben viste dalle popolazioni, soprattutto quando i tributi vanno a toccare beni di prima necessità. In questo caso hanno dato il via a questa tutto sommato “sana” tradizione: “lo pa’ sciapo”. “Lo pa’ sinza sale” ha proprietà che lo rendono decisamente interessante sulla tavola, innanzitutto “se mantė’ (mantiene) de più” in quanto non assorbe umidità, non si disfa e non copre i sapori dei cibi e “cuntrivuisce a tené’ sotto controllu la prissió’. Vè pare poco?”



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