di Maurizio Verdenelli
Giovedi pomeriggio a Loro Piceno: il team dell’istituto Pileckiego di Varsavia ha appena concluso il lavoro. Una visita al museo delle due guerre, poi via verso Gubbio e le altre città percorse dal Secondo Corpo d’armata polacco. «Siamo venuti ad intervistare e filmare i figli di quei soldati che dopo il conflitto rimasero in esilio», mi spiega Grzegorz Czerniak, coordinatore del ‘Film Projects team’ insieme con Wojciech Saramonowicz direttore del progetto cinematografico e il collaboratore Michel Miziatech. Riprendiamo la strada per l’abitazione di Luca Cimarosa, il collezionista che ha reso possibile il museo (anche) per cui il paese è famoso.
Nella torre Brunforte, sede dell’esposizione, non c’è spazio per tutti i cimeli: tra gli altri, pure quelli dei combattenti polacchi. Tuttavia Luca li vuole mostrare agli ospiti e a Jurek Mosiewicz, figlio del colonnello Antoni deceduto a quasi 105 anni nel maggio 2018. Torniamo a casa Cimarosa mentre Czerniak, colpito dalla bellezza del posto si lascia sfuggire: «Un paese così in Polonia sarebbe un’attrazione turistica assoluta».
Nell’abitazione, in un locale, dall’ingresso allarmato, a contendere lo spazio ci sono alabarde, armature, elmi, mitra, divise moderne: ed è qui che il collezionista da un alto mobiletto metallico, dall’ultimo tiretto estrae un’arma. E’ una pistola ‘Radom Vis 35’ calibro 9 parabellum, caricatore ad 8 colpi, costruita a Varsavia nell’arsenale Fb Lucznik Radom dal 1935 a 1945 in 360.000 esemplari. «Dall’invasione della Polonia, i tedeschi presero il controllo della produzione – spiega Cimarosa- e fecero apporre sull’arma l’aquila nazista sormontata dalla svastica con il marchio d’accettazione Waffen Amt e il codice Wa77, rinominando la rivoltella 9 mm Pistole 35 (P). In pratica si trattava di una riedizione moderna della Colt americana del 1911». Ad un tratto qualcosa d’inaspettato accade nella stanza affollata dalle testimonianze di secoli di storie: la spiegazione dell’esperto è quasi interrotta da una forte emozione. Quella del ‘kierownik’ Wojciech Saramonowicz. Che, profondamente commosso e teso, racconta come il nonno paterno Jozef e lo zio Zbignew allora diciannovenne fossero stati giustiziati e come suo padre sedicenne fosse riuscito invece miracolosamente a sottrarsi alla cattura delle Ss che avevano fatto irruzione nell’abitazione di famiglia.
Emerge cosi all’improvviso un’altra delle storie tragiche e crudeli dell’occupazione nazista della Polonia, una pagina che la Grande Storia non aveva ancora illuminato e che l’altro giorno a Loro Piceno è drammaticamente emersa accanto con quella pistola ‘azzurrina’ da guerra, in attesa di un posto nel museo locale. Era la prima volta che la vedeva Wojciech quell’arma che ha distrutto la sua famiglia d’origine, prima che lui nascesse. «Mio nonno era già operaio alla Fb Lucznik Radom quando l’esercito di Hitler occupò il Paese, imponendo all’arsenale di lavorare per il proprio sforzo bellico. Ma Saramonowicz non ci stette: entro segretamente nella Resistenza. Insieme con altri 11 compagni di lotta, lavoratori come lui dell’arsenale, produceva nascostamente le pistole per la clandestinità. Una ‘ 9 mm Pistole 35’ per la Wehrmacht, ed una per i partigiani. Alla fine la ‘rete’ resistenziale venne fatalmente scoperta, e i dodici eroi impiccati in fabbrica, a terribile monito. Ma non bastava alle Ss, furono trucidati pure tutti i figli maschi di coloro che avevano fornito armi ai partigiani. Se io sono qui, è perché mio padre, un adolescente, riuscì a mettersi in salvo in extremis, come non fu possibile al fratello maggiore».
Una testimonianza sconvolgente all’interno di una giornata di eccezionale fervore. La squadra di giornalisti ed operatori dell’importante Istituto Pileckiego, in Italia da una settimana, aveva visitato in precedenza Torino, Bologna, Cassino ed Ancona. Anzi Ankona con il K come appare nel medagliere del combattente, presente nella collezione Cimarosa che espone anche il libretto di paga con un biglietto (ticket) omaggio per il cinema. «L’ Istituto Pileckiego – chiarisce Grzegorz Czerniak- con questo viaggio in Italia vuole storicizzare per la prima volta un enorme aspetto legato al Secondo Corpo d’Armata polacco, raccogliendo le voci dei figli di chi dopo la guerra non tornò in patria. Il film uscirà in Italia la prossima primavera». «Fu un’autentica diaspora – dice Jurek Mosiewicz- L’armata al comando del generale Wladislaw Anders, dal 1943 al ’47, arrivò a contare dai 75.000 uomini fino a 103.000 al momento dello scioglimento in Gran Bretagna. Nostro padre, ufficiale d’artiglieria, aveva trovato l’amore a Loro Piceno sposando Fede Bonati, che tra i suoi antenati, nel 1724, contava l’ingegner Teodoro Bonati. Il quale a fronte alta davanti a Napoleone aveva spiegato le ragioni dei ferraresi in merito all’imbrigliamento del fiume Reno. In famiglia contiamo la prima ingegnere donna delle Marche, Agar Bonati, laureata a Roma. Nostro padre, un uomo che nella sua lunga vita tra Stresa e Milano, ha vissuto come gli altri esuli volontari sotto due bandiere, non ha mai dimenticato Loro Piceno dove è sepolto per espressa volontà. Nelle nostre tenute Murola noi figli lo ricordiamo pure nel nome, Antek (un merlot di eccezionale sapore) che gli dava in famiglia, nostra madre».
Dalle alture loresi, del castello Brunforte il tenente Mosiewicz aveva cannoneggiato le truppe tedesche che a Colbuccaro si erano opposte per giorni all’avanzata della Nembo. Fu una battaglia per cui i parà italiani patirono un alto prezzo di sangue. Una battaglia dimenticata fino a quando il maresciallo Antonio Minischetti la rivelò a chi scrive. Adesso un monumento ed un’area tutt’intorno, concessa dalla Fondazione Bandini, ricorda quell’episodio fondamentale per la liberazione di Macerata, che spero sia stata ricordata anche nella targa che illustra a proposito l’attività della Banda Niccolo’ del comandante Pantanetti, inaugurata di recente dall’amministrazione comunale.
E a proposito di Macerata e degli uomini del generale Andars, tanti in città ancora hanno memoria del popolare ‘Iola’ (da tutti cosi’ ‘tradotto’ il vero, difficile cognome originale) l’ex militare polacco che anch’egli per amore aveva eletto Macerata per patria. Era stato una fortissima ala destra nella squadra della ‘grande’ Maceratese, poi appese le scarpette al chiodo venne assunto in Comune. Macerata nel cuore di Iola ma pure la Polonia. Lo ricordo in redazione per un’intervista, alcuni decenni fa, ancora biondissimo nonostante l’età non più giovanile, amicissimo di Pietro ‘Briscoletta’ Baldoni, la divisa blu dell’usciere comunale indossata come un frac, ed uno strano distintivo all’occhiello. «Iola, cos’è?». Lui: «E’ Solidarnosc, c’è un sindacalista bravo a capo. Si chiama Lech Walesa, qui in Italia ancora non è conosciuto molto. Ma vedrai che presto… Ne posso parlare nell’intervista?». Brillavano pieni di speranza gli occhi dell’ex soldato di Anders.
Tragedie da non dimenticare
È la guerra
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Vincente il connubio tra il Tiro a Segno Nazionale di Macerata e il Luogotenente Luca Cimarosa.
E un altro importante riconoscimento con cui varca i confini nazionali grazie all’ impegno e alla passione che dedica al museo di Loro Piceno e alla sua terra.