di Alessandro Feliziani
Cinquant’anni fa l’Italia entrava nel periodo più buio della sua storia repubblicana. Ormai finiti gli anni del “boom” e alla vigilia di una crisi economica che per un decennio avrebbe investito tutto l’Occidente a causa delle politiche petrolifere dei paesi produttori e degli alti costi dell’energia, il 1969 segnava l’inizio di quelli che sono poi stati chiamati gli “anni di piombo”. Anni caratterizzati da attentati, atti terroristici, veri e propri eccidi, a partire da quella che è stata definita “la madre di tutte le stragi”, ovvero la strage di piazza Fontana a Milano, che due settimane prima del Natale del 1969 causò 17 morti e 88 feriti. A quel primo atto terroristico ne seguirono altri in successione: la strage di Gioia Tauro nel 1970, quella di Pateano nel 1972, l’attentato alla Questura di Milano nel 1973 e, l’anno successivo, la strage di piazza della Loggia a Brescia e dell’Italicus (treno Roma-Brennero). Senza dimenticare gli attentati e le stragi avvenute in seguito, tra cui la più cruenta del 1980 alla stazione di Bologna. Una lunga scia di lutti, frutto di una vera e propria “strategia della tensione” a cui la cattedra di Storia contemporanea della facoltà di Scienze politiche dell’università di Macerata ha dedicato una tavola rotonda, alla quale era prevista la partecipazione di Luciano Violante, ex magistrato, docente di diritto penale ed uomo politico. La forzata assenza dell’ex presidente della Camera dei deputati non ha in alcun modo tolto interesse all’incontro che ha visto confrontarsi due profondi conoscitori di quel periodo storico, Angelo Ventrone dell’università di Macerata e Mirko Dondi dell’ateneo di Bologna, con uno dei protagonisti delle indagini giudiziarie su alcune di quelle stragi, il magistrato Leonardo Grassi. Il tema proposto “origine e sviluppo della tensione”.
Ventrone e Dondi hanno convenuto che la strategia della tensione era in una sorta di incubazione in Italia molto prima del 1969 e che essa si manifestò concretamente a seguito dei movimenti studenteschi del ’68 e soprattutto in concomitanza con l’acuirsi delle lotte sindacali operaie durante il cosiddetto “autunno caldo”. Alla base di tutto c’erano la guerra fredda tra le due superpotenze, Usa e Urss, e il timore che in Italia – anche per la sua posizione geografica strategica – il comunismo arrivasse al potere, così come era accaduto dopo la fine della seconda Guerra mondiale in molti paesi, anche vicini all’America (Guatemala e Cuba). Uno scontro diretto tra Usa ed Urss avrebbe significato – come le stesse due superpotenze ben sapevano, ha ricordato Ventrone – una guerra atomica e quindi nei paesi dove i due colossi intendevano espandere la rispettiva influenza politica essi si “combattevano” indirettamente con i metodi propri della “dottrina rivoluzionaria”: attentanti tesi a destabilizzare o, come avvenuto in Italia, volti a far credere al pericolo di una destabilizzazione. Da Piazza Fontana alla metà degli anni Settanta – come si scoprirà in seguito – tutti i principali attentanti vennero messi in atto utilizzando esponenti della destra eversiva come “manovalanza” e attribuendo poi la responsabilità all’estrema sinistra o, più spesso, agli anarchici. Alcuni di questi, infatti, per la loro storia personale, erano in grado di far pendere l’etichetta politica a volte verso la sinistra e a volte anche verso la destra. L’obiettivo, infatti – ha osservato Ventrone – era spaventare l’opinione pubblica e tenerla lontana dalla sinistra, ma anche ventilare un possibile “golpe autoritario” che avrebbe potuto provocare una pericolosa (il ricordo del ’43-’45 era ancora vivo) insurrezione. Ventrone l’ha definita una “messinscena”, studiata e teorizzata per creare artificiosamente un’atmosfera di paura. Secondo Mirko Dondi la stessa strage di Piazza Fontana, che è stata politicamente dirompente, probabilmente non era stata voluta in tutte le sue tragiche conseguenze. Le “forze occulte” (servizi segreti stranieri e parti deviate dello Stato) avevano il solo obiettivo di tener viva la tensione nell’opinione pubblica, senza provocare un elevato numero di morti. Una dimostrazione di ciò è data dai tanti attentanti falliti e probabilmente “fatti fallire” all’ultimo momento. Gli attentati trasformatisi in vere e proprie stragi sarebbero stati conseguenza, quindi, di una volontà ulteriore della manovalanza “nera” che avrebbe approfittato della situazione per propri fini sovversivi. Utilizzare la destra per colpevolizzare la sinistra – ha aggiunto il magistrato Leonardo Grassi – fu una “messinscena” smascherata con l’attentato al treno Roma-Genova, quando all’estremista di destra Nico Azzi scoppiò tra le mani la bomba rudimentale che si apprestava ad abbandonare nella toilette del treno. I “teorici” della “strategia della tensione”, comunque, non si fermarono. Essi cambiando in seguito solo il “colore” degli esecutori materiali degli attentati. In questo “passaggio”, che avrebbe avuto ragione di essere almeno fino alla caduta del Muro di Berlino, potrebbe inquadrarsi anche il delitto Moro del 1978. Grassi ha anche evidenziato come, per ragioni all’epoca contingenti, molte questioni non siano state correttamente individuate dalla magistratura nel corso delle indagini giudiziarie. Ora però si sta facendo nuova luce grazie alle ricerche degli storici e – ha sottolineato il rettore Francesco Adornato durante un breve intervento in chiusura dei lavori – il metodo di ricerca che è specifico del mondo accademico può far compiere ancora molti passi avanti verso la scoperta della verità. Va ricordato che due docenti dell’università di Macerata, Luigi Lacchè e Angelo Ventrone, sono stati recentemente chiamati a far parte del Comitato consultivo di esperti che deve sovrintendere all’archiviazione della documentazione relativa ai fatti delle stragi terroristiche dal 1969 al 1984. La tavola rotonda, ospitata presso il Polo Pantaleoni dell’ateneo di Macerata, si è svolta nell’ambito di un ciclo di incontri, “A cinquant’anni da Piazza Fontana”, organizzato dalla Cattedra di Storia contemporanea del Dipartimento di Scienze politiche.
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