La marchesa e il Belli
(l’amore proibito di Morrovalle,
ovvero un gossip dell’800)

LA DOMENICA con Mario Monachesi
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Mario Monachesi

di Mario Monachesi

Tra il 1820 ed il 1842/44, il poeta romano Giuseppe Gioacchino Belli visse una storia d’amore con la marchesa di Morrovalle Vincenza Roberti detta dai parenti e conoscenti “sora Cencia”. I due si erano conosciuti a Roma grazie alla moglie di lui (era sposato, poco convintamente, con la ricca Maria Conti vedova Pichi, di dieci anni più anziana) che era amica della madre di Vincenza. Da Morrovalle mamma e figlia raggiungevano spesso Roma per questioni burocratiche relative al dissestato patrimonio familiare e andavano ad alloggiare nel palazzo di “Mariuccia” Conti Pichi. Galeotte furono le passeggiate dentro Roma con “Peppe” Gioacchino che faceva spesso da cicerone alle due nobildonne marchigiane. A differenza di “Mariuccia”, donna semplice, anche di non nell’aspetto e di mediocre cultura, Cencia era colta, giovane e piacente.

CENCIA

Vincenza Roberti “Cencia”

Con la scusa di respirare aria più salubre, soffriva di ipocondria, e di riposarsi meglio, il poeta inizia a trascorrere le estati a Palazzo Roberti di Morrovalle. Tra una serenità riacquistata e un approccio amoroso voluto, Giuseppe Gioacchino Belli, scrive qui una nutrita serie di sonetti in lingua, poi confluiti nel 1831 nel “Canzoniere amoroso”, oltre ad una importante raccolta di “Lettere a Cencia”. Dice dei due il giornalista e scrittore Corrado Augias: “Una passione a metà tra il trionfo della carne e quella letteraria”. Voci narrano che i due s’incontrassero, non solo a palazzo Roberti, ma pure a Macerata, in periferia, lungo l’attuale via dei Velini. Questo passionale amore proseguirà anche quando la marchesa Vincenza andrà sposa al farmacista e medico condotto “de Moro” Piero Perozzi. Domenico Gnoli, primo biografo del poeta, a proposito di questa calda storia scrisse: “Vincenza Roberti occupò il cuore di Belli vuoto come un appartamento e ci prese stanza “. Sarà proprio a Morrovalle Che Giuseppe Gioacchino Belli prenderà la decisione di scrivere, da li in poi, solo ed esclusivamente in dialetto romano.

BELLIÈ senza dubbio grazie alla conoscenza e alla frequentazione di questa bella e disponibile nobildonna morrovallese che il poeta ha modo di raccontare le Marche e il maceratese. Tante sono le poesie e i sonetti dedicati alla “Marca” o “Marca stellata” come da un altro punto di vista, la definiva San Francesco. Tra i molti scritti, “Più pe la Marca annamo, più mmarchiscian trovamo”, “Li polli de li vitturali”, oltre a versi corrosivi contro il cingolano Francesco Saverio Castiglioni, salito al soglio come Pio VIII, ecc ecc. Il Belli, detto anche il “Dante di Roma”, colpito da Vincenza per la sua vivace intelligenza, per la sua curiosità e vivace cultura seppur ragazza di provincia, impiegava anche una settimana per raggiungere le Marche e lo faceva percorrendo la via Lauretana. Attraversava Foligno, Colfiorito, Serravalle per spingersi nel maceratese ed arrivarere, da “innamorato ardente”, a Morrovalle.

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Giuseppe Gioachino Belli

Tutto ciò lo si apprende leggendo il “Journal du voyage” che lui stesso teneva per annotare tutti i suoi movimenti. Da questo suo “diario” si viene a sapere che a Villa Potenza una volta mangiò la frittata con le salsicce. Un’altra in prossimità delle Cervare dovette star fermo più giorni in casa di contadini e mangiare quello che c’era perché per la tanta pioggia era caduto il ponte sul Trodica. “Cencia”, da parte sua, lo aspettava e lo accoglieva sia con il fuoco dei sensi, sia per i suoi spesso “spinti” versi. Un amore, insomma, per metà sensuale e per metà petrarcesco. Una storia d’amorosi sensi e sacrifici pur di vedersi. Morrovalle ne è stata la gelosa custode.

 



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