di Giancarlo Liuti
Nel novembre del 1822 il ventiquattrenne Giacomo Leopardi si recò per la prima volta a Roma e quel suo viaggio da Recanati durò sei giorni, a bordo di una carrozza che potremmo definire “di linea”. Sei interi giorni, con varie pause per il cambio dei cavalli e per le soste notturne in locande che lui stesso ebbe a definire ben diverse dallo stile di vita cui era avvezzo in famiglia sin dalla nascita . Deluso, quindi, di Recanati e anche di Roma, come dimostra una frase un po’ ardita scritta da lui in una lettera alla sorella Paolina: “Le romane, purtroppo, non la danno”. Non si creda, comunque, che la mia intenzione sia d’indagare sugli appetiti sessuali di Giacomo, la qual cosa sarebbe una volgare dissacrazione di un mito che per tanti aspetti della mente e del cuore merita di essere elevato al rango sublime della “sacralità”. Nient’affatto. Ciò che ora dico di lui come testimone di un’epoca ormai lontana mi serve per porre in evidenza le infinite diversità con l’epoca nostra, viaggi compresi.
Ai tempi di Giacomo il viaggio non aveva un significato e un valore di per sé ma era una “cosa da fare” per recarsi in luoghi più o meno lontani. Quindi uno strumento, un modo – l’unico – per arrivare in un certo posto o incontrare una certa persona. Oggi è diverso. Lo scopo di cui ho detto può rimanere, intendiamoci, ma può pure accadere che lo scopo del viaggio sia il viaggio stesso, una trasvolata oceanica o l’attraversamento di un lungo tratto di mare a bordo di una transatlantico. In questi casi, allora, lo strumento diventa lo scopo e, con l’importanza imprenditoriale e dunque economica assunta non solo dal turismo ma dal commercio intercontinentale, sta salendo al ruolo di scopo prevalente.
C’è qualcos’altro che prevale? Sì, il tempo e la comodità. A prescindere insomma dalla lunghezza, un qualsiasi viaggio è gradito al viaggiatore, che è disposto a spendere anche parecchio quanto più il viaggio è veloce nel tempo e quanto più comoda è la “poltrona” sulla quale si siede. Sono queste, insomma, le esigenze di chi viaggia. E le imprese pubbliche e private che vi si dedicano debbono tenerne conto. La qual cosa, purtroppo, non si verifica sempre.
E adesso veniamo a noi, ossia a noi marchigiani. Giorni fa un volo da Fiumicino ad Ancona è stato, non so perché, cancellato ed è stato sostituito da un pullman sul quale sono saliti i venti passeggeri già muniti del biglietto aereo. E sia, sono disagi che possono capitare. In aereo il tempo del volo Fiumicino-Ancona sarebbe stato di cinquantacinque minuti. In pullman quei venti sfortunati temevano che i minuti potessero arrivare a circa tre ore. Illusione! Partiti da Fiumicino alle 9,30 del mattino, loro sono arrivati ad Ancona – e ai maceratesi, poi, mancava ancora Macerata – alle 4,50 del pomeriggio, più di otto ore. Il tutto organizzato dall’Alitalia. Complimenti! E perché più di otto ore? Perché l’autista del pullman ha sbagliato varie volte strada, scalando montagne e ritrovandosi spesso ad Assergi! Tempo: moltissimo. Comodità: non parliamone. Se questo è il progresso che la modernità esige, a noi marchigiani certi viaggi ce li farebbero meglio squadre di cammelli.
Volo Roma-Ancona cancellato “Sette ore in autobus, un incubo”
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Veramente Leopardi confidava l’umiliante pena della propria verginità al fratello Carlo, non alla sorella Paolina, per ovvi motivi.
“Carlo mio. V’accerto ancora che quanto alle donne, qui non si fa niente nientissimo piu’ che a Recanati… Quanto al sostanziale (in materia di donne) si fa molto di piu’ a Recanati che a Roma.”.