di Gianluca Ginella
Chissà cosa si vedeva dalla casa di Silvia. Per chi ama la letteratura, di Silvia ne esiste una sola. È la protagonista dei pensieri, e di un canto immortale, di Giacomo Leopardi che dalla sua casa, lasciate le “sudate carte”, s’affacciava per osservare la ragazza intenta in mansioni domestiche. Di Silvia si è detto e scritto di tutto, a cominciare dal fatto che non si chiamava Silvia ma Teresa Fattorini e la sua famiglia era alle dipendenze dei conti Leopardi. Nessuno però si è mai affacciato dalle finestre di Silvia. Per chi volesse dare uno sguardo al rovescio della poesia di Leopardi, magari fantasticare sui pensieri di Silvia-Teresa, dal 16 luglio la casa sarà aperta per la prima volta al pubblico. L’annuncio arriva in occasione dell’anniversario della nascita di Leopardi (29 giugno 1798). «Il restauro di uno degli edifici maggiormente legati alla poetica leopardiana e all’emotività di Giacomo, in un momento di tale fragilità per le Marche – dice Olimpia Leopardi – è la nostra scommessa sul potere della cultura come motore per la ripresa del territorio. Abbiamo voluto dare un segnale di rinascita perché crediamo che la cultura non debba rimanere sotto le macerie. Lo abbiamo fatto con le nostre forze, ma anche grazie al prezioso contributo di tutti gli amici che hanno deciso di credere in questo progetto». La famiglia Leopardi ha completato il restauro dell’edificio dove c’erano le scuderie di casa Leopardi e sorto per volere di Monaldo Leopardi nel 1796. Il restauro comprende la messa in sicurezza dello stabile e il ripristino del colore originale dei prospetti (leggi l’articolo). Nella casa di Silvia-Teresa sono state allestite sale per far conosce l’ambiente in cui la ragazza, prima di una morte prematura, aveva vissuto gli anni sul limitare della sua gioventù. Un recupero che è stato fortemente voluto, specie dopo il sisma. «Non ci siamo fatti abbattere dalla paura del terremoto né dal conseguente calo del turismo – commenta il conte Vanni Leopardi -. Occorre andare avanti e superare al più presto questo momento di depressione per far ripartire le Marche. Ed è guardando al futuro che si ricomincia con volontà e tenacia». Le stanze di Silvia saranno aperte e visitabili, gratuitamente, per due mesi. La “Casa di Silvia”, sarà anche uno dei punti di raccolta fondi per il progetto Fai di ricostruzione dell’oratorio della Madonna del Sole, un capolavoro del XVI secolo, a Capodacqua, frazione di Arquata del Tronto, gravemente danneggiato dal terremoto del 24 agosto.
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Sulla scia dell’ultimo bellissimo film con protagonista Massimo Girotti, “La finestra di fronte”, ecco aprirsi questa opportunità di vivere nello sguardo di Teresa e scorgere da dietro il verone dell’ostello di fronte la sagoma di Giacomo.
In questa semplice occasione, si prova un brivido che rende concreta e quotidiana la vita di uno dei più grandi poeti di tutti i tempi: ogni volta che si scende dall’Olimpo e si atterra dentro la vita di tutti i giorni – sia pure di qualche secolo fa – si compie, a me pare, un miracolo.
un poeta sa solo scrivere poesie e le poesie nascono dal sogno, dal superamento della realtà in una solitaria estasi più o meno dionisiaca poi un poveraccio che vuole pubblicare le proprie poesie deve per forza scriverne qualcuna su una donna amata, è un tema obbligato in letteratura no? ma è sottinteso che questo amore è irreale, che Silvia non è mai esistita, che la casa di Teresa Fattorini ha lo stesso valore culturale di una bottiglia di Carmelo Bene.
Che poi, per un altro sguardo al rovescio della poesia di Leopardi, bisognerà che chi ama la letteratura faccia anche una capatina sulla luna.
Però è commovente pensare agli sguardi scambiati da Giacomo e Silvia, ai loro desideri, pensieri, sogni. Il tutto condito dalla distanza ( non geografica ) ma sociale dei due, alla supponiamo timidezza del poeta e alla speranza di lei di un improbabile incontro tra i due, magari tra il profumo delle ginestre, sul Colle dell’Infinito, baciati dalla Luna e accompagnati dal cinguettio di un passero solitario che cerca la sua metà.Ma poi ecco la malattia, straziante, incurabile e la morte che implacabile porta via tutto, lasciando soltanto il rimpianto di quel che poteva e non è stato. Certo, che a volte la fantasia è ancora più tragica della realtà!! Sono riuscito a deprimermi e si che mi ero alzato di buon umore. Mannaggia a tutti i poeti sfigati o fortunati di esserlo, così hanno materiale per scrivere le loro poesie.
Micucci, la commozione ce l’hanno pure i cagnetti, la grande poesia è allenamento, faticaccia disumana:
Di seguito sono riportate le figure retoriche presenti nell’idillio:
Apostrofi v. 1: «Silvia»; v. 29: «o Silvia mia»; v. 36: «o natura, o natura»; v. 43: «o tenerella»; vv. 54-55: «cara compagna dell’età mia nova, mia lacrimata speme»; v. 61: «tu misera»;
Numerosissime allitterazioni: è ripetuta varie volte la sillaba «vi», che compare anche nel nome «Silvia»: «vita» (v. 2), «fuggitivi» (v. 4), «salivi» (v. 6), «sedevi» (v. 11), «avevi» (v. 12), «solevi» (v. 13), «soavi» (v. 28), «perivi» (v. 42), «vedevi» (v. 42), «schivi» (v. 46), «festivi» (v. 47), «mostravi» (v. 63); si verificano anche allitterazioni delle lettere «t», «m» ed «n».
Diversi enjambements: «sonavan le quiete / stanze» (vv. 7-8); «peria fra poco / la speranza mia dolce» (vv. 49-50); «negaro i fati / la giovanezza» (vv. 52-53); «questi / i diletti» (vv. 56-57); «la fredda morte ed una tomba ignuda / mostravi» (vv. 62-63);
Chiasmi: «io gli studi leggiadri… e le sudate carte» (vv. 15-16); «fredda morte, tomba ignuda (v. 62)»;
Metonimie: «sudate carte» (v. 16); «faticosa tela» (v. 22); «lingua mortal» (v. 27);
Iperbati: «ove il tempo mio primo / e di me si spendea la miglior parte» (vv. 17-18); «agli anni miei anche negaro i fati / la giovanezza» (vv. 51-52);
Climax: «che pensieri soavi, che speranze, che cori…» (vv. 28-29);
Ossimoro: «lieta e pensosa» (v. 5);
Epifrasi: «io gli studi leggiadri / talor lasciando e le sudate carte» (vv. 15-16);
Zeugma: «porgea gli orecchi al suon della tua voce / e alla man veloce» (vv. 20-21);
Anagramma: «Silvia…salivi» (vv. 1 e 6);
Metafore: «il limitare di gioventù» (v. 5); «il fior degli anni tuoi» (v. 43);
Parallelismo: «e quinci il mar da lungi, e quindi il monte» (v. 25);
Geminatio: «o natura, o natura» (v. 36); «come, / come passata sei..» (v. 53);
Anafore: «Che pensieri soavi, / Che speranze, Che cori» (vv. 28-29); «perché non rendi poi…./ perché di tanto…» (vv. 38-39); «questo è quel mondo? Questi / i diletti… / Questa la sorte…» (vv. 56-59)
Pavoni, e io che pensavo che le poesie venivano scritte di getto, presi da un improvvisa ispirazione. Povero Leopardi, se per scrivere una poesia si è dovuto inventare una donna, una storia inesistente e se come spesso si dice Silvia non solo non è esistita ma neanche un Silvio che forse per l’epoca sarebbe stato poeticamente poco apprezzato. Se scrivere una poesia è così faticoso, meglio scrivere un racconto su Montalbano o anche li ci sono tutte queste difficoltà linguistiche da immetterci? Eppure ci sono altri poeti definiti grandi che non credo che è grazie a tutti i chiaismi, metonimie, o iperbati che sono diventati celebri.