di Maurizio Verdenelli e Gabriele Censi
“Quanto tempo ho? 5 minuti? Bene”. Umanista ma con il controllo matematico dei tempi, ha detto tutto in meno di 5 minuti. Barbara Pojaghi era appena tornata da una breve vacanza estiva dopo ferragosto e le avevamo chiesto un contributo video per ricordare il Messaggero dopo la sua chiusura. Ora vorremmo, per la prima volta in questo mestiere impietoso, che ti impone pure tagli sull’altare della comunicazione, rapida ed incisiva, che per la prima volta non ci fosse stato alcun rispetto per i tempi imposti.
Un video che era rimasto inedito perchè di quel servizio, che raccoglie molte testimonianze, e non poteva mancare la sua, anche come docente e preside del corso di Scienze della Comunicazione, è stata rinviata la pubblicazione di terremoto in terremoto. Ora diventa un ricordo di lei e del suo modo di esporre, al di là del tema c’è tutta la sua competenza e umanità in queste immagini che offriamo alla città che l’aveva vista ai vertici dell’amministrazione pubblica, e soprattutto ai suoi amatissimi allievi. Manca forse la parte migliore non registrata quando dice di voler continuare a insegnare per altri tre anni come consente la normativa per i professori universitari. “Fortunati questi ultimi studenti” le dico, e mi ringrazia. Anche chi scrive ha avuto questa fortuna e lei ricorda quel periodo con nostalgia. “Lavoravamo su un materiale umano di qualità e si poteva parlare dando per scontata una cultura di base che oggi purtroppo non c’è più”. Il lavoro di gruppo era il suo metodo e non finiva nelle aule, portava i suoi studenti in una casa affittata nella campagna recanatese, come una popolosa famiglia, per una cena e due chiacchiere e si imparava anche lì.
A telecamere spente, avevamo parlato a lungo. Non lo sapevamo, ma sarebbe stata l’ultima volta tra l’ex amministratrice e il giornalista del ‘Messaggero’, dopo anni di silenzio per alcuni scherzucci da ‘dozzina’ alla maniera del Giusti (il suo intransigente impegno era stata paragonato a quello che videro protagoniste le nobili oche del Campidoglio). Ma che quegli anni di silenzio fossero pure di mutuo rispetto lo avevamo capito poco prima, all’inizio di giugno a San Ginesio, alla commemorazione nel giugno di Giovanni Cardarelli, un altro grande pedagogo, tutti ‘figli marchigiani’ di don Lorenzo Milani.E quello che era scaturito a telecamere spente, quella mattina di agosto, nel suo studio all’università dove da una parte si vede un panorama infinito e dalle finestre della professoressa, il giardino e il busto di Giuseppe Mazzini, era stata un’intervista a 360 gradi, sulla sua vita, anche sulla famiglia che emergeva a tratti dai suoi ricordi ‘politici’ e sui ‘siparietti’ di quand’era ferrea presidentessa del Consiglio comunale, degli iniziali contrasti con l’alfiere storico della destra maceratese, l’arch. Mario Crucianelli anch’egli andatosene come lei come una foglia di primavera.
Una primavera come quella breve stagione politica che coincise con la rivoluzione copernicana della vittoria elettorale di Gian Mario Maulo e della sinistra a metà dell’ultimo decennio dell’ultimo secolo del millennio. Simboleggiata da una piantina fiorita in mano a Barbara, anche lei nel gruppo dei vincitori saliti a ‘Palazzo d’Inverno’ con a capo Renato Pasqualetti, bandiera rossa fieramente in pugno come in un film di Eisenstein. Ad essere sconfitto l’ex capogruppo del Pci, Evio Hermas Ercoli: in consiglio comunale (egemonizzata a volte da un altro grande protagonista della sinistra, l’avv. Domenico Valori) c’era la madre di Barbara, Jader Pojaghi l’ultima staffetta partigiana maceratese. Per la figlia il riferimento altissimo, pieno di valori intramontabili, di tutta una vita. Parlava di Jader, talvolta, Barbara e lo faceva, con tutto il suo amore, come verso un personaggio storico. Ed anche a San Ginesio era stato così, dopo la commemorazione(ospite Philippe Daverio) del ‘preside Giovanni’ nell’ex chiesa di San Francesco adiacente all’istituto magistrale, si era andati a mangiare ospiti di Tullia Leoni Cardarelli nel ristorante di piazza. E la ‘pace’ sancita ‘coram populo’ con l’ex giornalista del ‘Messaggero’ s’era consolidata nel ricordo di Cardarelli e pure del professor Maulo, del tenero, impetuoso Gian Mario, anch’egli prima di tutto uomo di Scuola e di Cultura. L’avremmo voluta con noi l’ultima volta –ma non lo sapevamo- al convegno il 24 ottobre scorso a due mesi dalla prima scossa del terremoto, nell’Aula Magna dell’università. Alla mail, per la prima volta non rispose. Si stava spegnendo, Barbara, restando tuttavia fino all’ultimo sulla breccia con impavido, silenzioso impegno così come (quasi contemporaneamente) come Liana Lippi, un’altra grande donna della sinistra di questa terra che fu Vandea bianca. Ti sia leggera la terra, cara Professoressa.
Addio a Barbara Pojaghi, una vita per l’insegnamento e la passione politica
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