La volontà di credere: dai banchi di scuola al Centro studi leopardiani

Dal liceo di Recanati che adottò il testo di William James sono usciti politici e parlamentari attenti e colti. Sul futuro dell'istituzione invece credono in pochi

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Donatella Donati

Donatella Donati

di Donatella Donati

All’inizio del novecento ebbe una grande influenza sulla cultura americana il breve libro di William James “La volontà di credere” rivolto agli studenti universitari. In esso il filosofo esponeva la sua teoria della fede che produce la sua verificazione, vale a dire dell’importanza per la realizzazione di progetti e di idee di avere la forte fiducia che se condivise e sentite profondamente possono migliorare il mondo. James era un ammiratore di John Dewey il fondatore della scuola attiva che ha dato avvio a un indirizzo pedagogico la cui validità ancora oggi è fortemente riconosciuta. Entrambi i due pensatori hanno avuto una grande influenza sul cambiamento delle modalità educative nella società e nella scuola, confidando nella possibilità attraverso l’educazione di raggiungere traguardi nuovi e il progresso della vita civile. L’idea fondatrice di William James che la società americana avrebbe avuto un progresso risolutivo se gli attori della vita civile avessero creduto fortemente nei valori proclamati dalla costituzione spinse generazioni di studenti a pensare al futuro come qualcosa di non estraneo alle loro possibilità e ai loro valori.

William James

William James

La scuola attiva fece il suo ingresso in Italia dopo la fine della seconda guerra mondiale quando il governo alleato costituì una commissione di esperti pedagogisti per la formulazione di nuovi programmi nella scuola elementare. A capo della commissione fu posto il generale Wasburne che era stato allievo di Dewey ed era molto esperto nell’organizzazione delle attività di gruppo a scuola. Questi primi programmi durarono fino al 1955 e portarono una ventata di novità nella scuola elementare italiana. Rispetto a quella avuta dai loro genitori cresciuti durante il regima fascista i bambini che nel 1946 avevano sei anni furono subito immersi in un ambiente educativo completamente rinnovato dove l’iniziativa personale, le attività di gruppo e la sperimentazione diretta erano le linee guida dei maestri. Si intendeva creare una generazione nuova di italiani quella appunto nata negli anni quaranta. Nel 1955 l’Italia ormai svincolata dalla soggezione all’America elaborò nuovi programmi per la scuola elementare che pur conservando alcune metodologie dell’attivismo puntavano sulla crescita e la formazione di “un fanciullo (sic) tutto intuizione, fantasia, sentimento …”, avendo come obiettivo la formazione integrale della personalità. Nel successivo programma del 1985 ricompare il fanciullo e vengono introdotte indicazioni di carattere didattico e psicologico più aderenti allo sviluppo della società ma solo in quelli del 2004 il fanciullo (indicazione tipicamente maschilista) scompare per far posto al collettivo fanciulli e a una visione più moderna della società.
Questa sintesi molto succinta e parziale permette però di capire come si sono formati gli uomini e le donne nati dopo la seconda guerra mondiale e come la loro formazione abbia condizionato poi la loro preparazione e la loro capacità di intervento una volta entrati con varie professioni e mestieri nel mondo adulto. E’ mancata soprattutto quella volontà di credere (the will to believe) che induce a una progressiva realizzazione dei progetti migliori. Ci stupiamo oggi e ci addoloriamo per l’inefficienza della nostra classe dirigente, l’ occasionalità degli interventi, la mancanza di ideali comuni e fortemente sentiti e lo sfaldamento della coesione sociale.

Le polemiche maceratesi sono le polemiche italiane, le polemiche di una popolazione i cui indirizzi culturali sono confusi e contraddittori e alla quale manca quella volontà di credere di cui James si faceva promotore. Il suo libro fu introdotto in Italia dalla casa editrice Mondadori edizioni scolastiche e fu oggetto di lettura per i liceali del classico dell’ultimo anno. Ricordo uno dei più illuminati professori di filosofia della nostra provincia, Giovanni Magnarelli che lo introdusse, lui comunista dichiarato, nel liceo di Recanati facendolo diventare testo di formazione di coscienza civile. Un’opera che andrebbe oggi di nuovo pubblicata e diffusa per ridare slancio a una gioventù disorientata. Da quelle classi liceali sono usciti poi politici e parlamentari italiani tra i più attenti e colti, una prima generazione il cui seguito è stato molto deludente.
Ma è sufficiente esprimere speranze o è anche necessario avere delle fondamenta su cui poggiarle?

La sede del Centro Studi

La sede del Centro Studi

In queste settimane è giunta ai soci del Centro Nazionale di Studi Leopardiani una lettera del presidente che cerca di illuminare la precaria situazione di quella istituzione con qualche luce di speranza. Anzitutto il ministro Franceschini rispettando la sua dichiarata volontà di promuovere in modo efficace tutto quello che in Italia è cultura, ha riconosciuto il valore del Centro Nazionale così come nel tempo si è consolidato e comprendendo le necessità economiche molto impegnative che ne minacciano oggi l’esistenza e la funzionalità ha assegnato un contributo doppio rispetto a quello degli anni passati primo avvio per un risanamento. Il presidente nel comunicare la notizia ai soci sente come possibile la ripresa dell’istituzione e li rassicura per quanto riguarda il futuro. Ma ci crede veramente? Ha la convinzione che quello che spera si verificherà? 

James diceva che se tutti i viaggiatori del treno verso il Texas fossero stati convinti che la ribellione di uno contro l’assalto dei banditi avrebbe provocato la ribellione di tutti gli altri, l’assalto ai treni sarebbe finito in brevissimo tempo. Ma in quel caso c’erano interessi collettivi fortissimi che giustificavano una reazione unanime. Sembra invece che l’avvenire del Centro Nazionale interessi a pochi tanto meno agli avvocati che tentano di sanare il dissidio tra Comune di Recanati e Centro Nazionale prima che si discuta in tribunale, il prossimo febbraio, la causa per la quale sono in opposizione, la legittimità di un contributo e di una convenzione. Per questo i soci non possono far altro che restare in attesa anche se molti tra loro sentono ancora interesse e affetto per quella istituzione.



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