Macerata Opera Festival si avvia alla conclusione della 51esima stagione con l’ultima rappresentazione del dittico verista Cavalleriarusticana/Pagliacci, nella nuova produzione firmata da Alessandro Talevi e diretta da Christopher Franklin (leggi la recensione di Maria Stefania Gelsomini).
L’ultima chiamata in scena per Cavalleria rusticana è l’occasione per omaggiarne l’autore, Pietro Mascagni, nel 70° anniversario dalla scomparsa con un appuntamento alle 18,30 alla Biblioteca Mozzi-Borgetti realizzato in collaborazione con il Comitato Promotore Pietro Mascagni. Ospiti nella Sala Castiglioni le eredi del compositore livornese Francesca Albertini e Maria Teresa Mascagni che tra video, immagini d’epoca, racconti e letture di scritti, ripercorrono le tappe della vita di uno dei più importanti artisti del ‘900. Mascagni è noto al grande pubblico per Cavalleria rusticana, ma è stato anche uno dei primi autori di colonne sonore per film e compositore capace di interpretare le emozioni più genuine del pubblico, generando un coinvolgimento emotivo alle vicende della natura umana. Ad aiutare il direttore artistico Francesco Micheli e le nipoti dell’autore di Cavalleria rusticana a ripercorrere la storia umana e artistica di Pietro Mascagni, scritti e testi dell’autore, documenti storici che testimoniano anche la sua presenza a Macerata. Grazie alla collaborazione con il Centro Studi Carlo Balelli, impegnato in questi giorni nella mostra fotografica “Obiettivo sul fronte” allo spazio ex Upim, sono esposte infine immagini storiche del compositore.
A seguire, l’ultima rappresentazione di uno spettacolo che ha raccolto consensi diffusi e successi di botteghino, ma
che soprattutto si è distinto, anche rispetto alle altre produzioni del Festival, per un’ambientazione classica; una cifra stilistica liberty che per il regista Alessandro Talevi è stata la naturale conseguenza per mettere in risalto come le due opere siano il prodotto di un’epoca specifica, quel primo novecento in cui la borghesia del nord Italia e nord Europa volgeva lo sguardo al Meridione con curiosità e una buona dose di esoticismo. A fare da vera e propria cornice alle appassionate vicende di Turiddu/Santuzza e Canio/Nedda, una tanto imponente quanto fine balaustra decorata in pieno stile liberty, che è il vero filtro per il dolore che traspare nelle due opere in cui la bellezza, l’armonia e il folklore si scontrano con quelle che sono storie reali, i drammi e i dolori di uomini e di donne nella vita di tutti i giorni. Il dramma di Pagliacci è infatti frutto di una storia vera, come affermato dallo stesso autore, Ruggero Leoncavallo, nel prologo della prima andata in scena al Teatro Dal Verme di Milano il 21 maggio del 1892, sotto la direzione di Arturo Toscanini. “Lo squarcio di vita” trovato da Leoncavallo altro non era che un delitto di gelosia avvenuto a Montalto Uffugo e giudicato dal padre dello stesso Leoncavallo, magistrato in Calabria. Ad enfatizzare il contrasto tra realtà e immaginazione, ruolo importante lo giocano i bellissimi costumi realizzati da Manuel Pedretti che abbracciano il palco dello Sferisterio grazie all’ampia presenza di tantissimi artisti del coro che lo rendono un elegante e tenue panorama in Cavalleria rusticana prima, e in un coloratissimo affresco in Pagliacci poi. Il colpo d’occhio e l’alchimia che si creano tra la scenografia liberty di Madelein Boyd, i costumi e i tanti cantanti in scena rendono il dittico verista Cavalleria rusticana/Pagliacci uno spettacolo raffinato e innovativo, pur nella sua accogliente classicità.
(Foto Tabocchini)
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