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Nella sfida fra sindaco e nudisti
sono in gioco alti principi morali?

Mica tanto, vista la relativa modestia del caso di Porto Potenza. Ma vanno di moda - e fanno notizia - le parole grosse. Per favore, comunque, lasciamo stare i bambini, che stavolta non c’entrano nulla. E adesso? Tutto finirà, mediocremente, in tribunale

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liuti giancarlo

 

di Giancarlo Liuti

Da qualche tempo Potenza Picena è al centro di un problema apparentemente serio che però, se si riesce a metter da parte vari pregiudizi, tanto serio non è. E, anzi, dal mio opinabilissimo punto di vista, va preso con una punta di sarcastica ironia. Mi riferisco alla sfida in atto fra il sindaco Francesco Acquaroli, cui si deve un’ordinanza che vieta di girar completamente nudi in un quasi deserto tratto di spiaggia al confine tra Porto Potenza e Porto Recanati, e alcuni nudisti – non tanti, pare, e non giovani, uno di ottant’anni – che invece intendono prendersi, abusivamente, questa libertà, e sono strenuamente difesi da vari esponenti provinciali e regionali dell’ideologia naturista. Sotto il profilo giuridico la tesi del sindaco non fa una grinza: quell’ordinanza esiste da tempo e va rispettata. Ma nella sua “crociata” – lui si rifiuta di chiamarla così, e però si comporta da “crociato”, come del resto fanno pure i nudisti benché privi del potere della legge – c’è qualcosa di più e forse di troppo quando dice che all’applicazione dell’ordinanza è stato indotto dalle proteste di alcune famiglie indignate per la presenza relativamente vicina dei nudisti, famiglie nelle quali figurano bambini che, poverelli, non sopporterebbero la vista di persone con le parti intime senza veli.

Ed è questa parola – “bambini” – a indurmi al sarcasmo, perché se c’è qualcosa che ai bambini piccoli non fa alcun effetto è proprio la circostanza di esser nati i maschi col “pisellino” e le femmine con la “farfallina”. D’estate son solito sostare sotto l’ombrellone a due passi dal mare e li vedo giocare, i bambini, a pochi metri da me, maschi e femmine insieme, senza alcun riguardo ai “pisellini” e alle “farfalline”, come se tale differenza fosse la stessa che c’è fra capelli biondi e capelli castani. Ma più tardi, diciamo sui cinque anni, ecco che comincia ad avere effetto su di loro una sorta di sospettoso ritegno sulla diversità sessuale, un ritegno che gli proviene dai genitori, i quali gl’insegnano che certe parti del corpo – le cosiddette “pudenda” o “vergogne” – vanno tenute rigorosamente nascoste.

E’ un occultamento sessuale, questo, che ha una storia plurisecolare e colpisce soprattutto la femminilità (si rilegga, in proposito, ciò che afferma l’Antico Testamento sul ciclo mestruale, con la donna ritenuta infetta, appestata e perciò segregata). Ora non siamo a questo punto, per fortuna, e l’emancipazione femminile è andata avanti in vari campi della vita sociale. Ma qualcosa rimane, nel profondo delle coscienze e delle sensibilità. Per farla corta, insomma, bisogna coprire sia i “piselli” sia le “farfalle”, e non per la loro funzione di far la pipì, che grazie al cielo è comunemente accettata, ma perché viene proprio da essi il piacevole, e tuttavia insidiosissimo, rapporto sessuale, il cui scopo non dev’essere il reciproco godimento del fisico e dello spirito ma quello di far figli (“Non lo fo per piacer mio – era scritto nelle camicie da notte di alcune mogli – ma per dare un figlio a Dio”). Il che, specie se prima o fuori dal matrimonio, rischia di sconfinare nella “lussuria”, uno dei sette peccati capitali della tradizione cattolica.

Vi sono fotografie scattate nei primi del Novecento proprio sulla spiaggia di Porto Recanati nelle quali belle signore che nelle feste danzanti esibivano audacissime scollature ma poi, in riva al mare, luogo pericoloso per possibili incontri individuali con l’altro sesso, indossavano dalla testa ai piedi autentici scafandri tipo burka talebani o tute da astronauta. Successivamente, coll’andar dei decenni, molto cambiò, fino ad arrivare ai tanga e addirittura ai seni nudi, ma rimase – e rimane – l’obbligo di coprire, magari ai minimi termini, “pudenda” e “vergogne”. Ed è questo, per l’appunto, il limite invalicabile. Tuttavia valicato, ahinoi, dal movimento del naturismo, che sempre nel corso del Novecento ha iniziato a battersi per la scopertura di qualsiasi parte del corpo. Perché mai, si sostenne e si sostiene, liberare tutto ma non i “piselli” e le “farfalle”? Non ci ha fatti così madre natura? E non erano così anche Adamo ed Eva prima che fossero colpiti dal virus di un ossessivo senso del pudore? Ora in molti paesi del mondo i nudisti dispongono di spazi riservati e separati da quelli frequentati dalla maggior parte delle persone, ma qua e là vi sono iniziative anche parlamentari per eliminare tali “riserve del nudo” e prima o poi, come accadde per i seni “open air”, non è da escludere – meglio: è probabile – che si giunga a un’accettata mescolanza fra chi prende il sole con le mutande e chi lo prende senza. Qualche cifra: i nudisti integrali sono 40 milioni negli Stati Uniti, 20 milioni in Europa e mezzo milione in Italia.

Ma torniamo a Porto Potenza. L’ordinanza comunale c’è e, ripeto, va applicata. Essa, fra l’altro, prevede che la sua violazione comporti una multa di 166 euro per ogni contravventore, il che contribuisce, magari in modesta misura, alle finanze municipali. Ma per questa spiaggetta, priva di attrezzature balneari, con scogli dietro cui ripararsi da sguardi indiscreti e abbastanza isolata dai bagnanti diciamo “normali”, si poteva, al limite, non dico chiudere un occhio, ma socchiuderlo e consigliare di socchiuderlo pure alle famiglie con bambini che invece l’han tenuto troppo aperto e si sono avvicinate, per curiosare, al luogo dello scandalo.

Mi rendo conto di non rispettare in pieno la legalità, sulla quale, insisto, il sindaco non ha torto. Ma, come sentenziavano i nostri padri latini, “est modus in rebus”, c’è una misura in tutte le cose, il che vale pure nella gestione della politica, che per definizione è l’arte del compromesso. Per i nudisti questa è una sfida, una provocazione? Vero. Ma a livello istituzionale sarebbe stato meglio, forse, non prenderla come sfida che fa tremare i polsi ed evitare di porre in gioco i valori supremi. In che modo? Magari parlare con gli sfidanti, tentare di mitigarne l’irriducibilità, indurli, con le buone, a nascondersi dietro gli scogli e a non approssimarsi al lungomare più popoloso. E invece, proprio l’altro ieri, il sindaco è ritornato ai toni della “crociata” affermando quanto segue: “Intendo rispettare il diritto in primis delle famiglie con bambini che frequentano quel tratto di litorale. Questa spiaggia è un’eccellenza marchigiana, è un’oasi fra le più belle della costa e non vedo perché rovinarla”. Quel tratto, dopo la chiusura, anni fa, del retrostante “Babaloo”, è anch’esso una meravigliosa oasi? Ed è un delitto rovinarla? Beh, non esageriamo. E infine, di nuovo, la solita furbata sui “bambini”, il che non mi pare edificante.

Nel frattempo c’è stato un ulteriore sviluppo della questione, uno sviluppo che anziché alleggerirla l’ha appesantita. Ed è stata la decisione dei carabinieri di denunciare quei nudisti per il reato di cui all’articolo 726 del codice penale: “atti contrari alla pubblica decenza”, arresto fino a un mese e ventimila euro di ammenda. Non più, insomma, una semplice contravvenzione per “divieto di sosta”, come faceva supporre quell’ordinanza. Ma è da immaginare che questo non dispiaccia ai nostri nudisti, cui si offre l’occasione di alzare il livello della sfida portandola in un’aula di tribunale, coram populo e magari con echi nazionali. E qui torno all’ironia chiedendomi come ci andranno, loro, davanti ai giudici. Con le mutande o senza mutande? Staremo a vedere.



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