di Marco Ribechi
(foto di Lucrezia Benfatto e Andrea Petinari)
L’artista lavora per chi non ha tempo o voglia di analizzare in profondità la realtà. Forte di questa missione Niccolò Fabi spiega al pubblico de “La Controra”, accorso numeroso nel cortile del palazzo comunale di Macerata, come nasce l’idea di una canzone e cosa significhi fare il musicista. Lo spunto arriva dalla domanda del poeta e giornalista Ennio Cavalli, quest’oggi in veste di presentatore: «Tra le domande banali all’attore chiedono come faccia a ricordare tutti i testi, allo scrittore quanto tempo ci vuole a scrivere un libro, al poeta a cosa serve la poesia. Per il cantautore invece la domanda è: nasce prima la musica o il testo?». Fabi, da cantante e uomo maturo, con i capelli ormai imbiancati che lo hanno portato alla fama, raccoglie la provocazione e risponde:
«Credo che prima di tutto la musica nasca da un’esperienza. E’ fisiologico che di fronte a fatti che colpiscono ognuno di noi tende raccontare tutto ad un amico per condividere l’accaduto. Al cantante invece viene naturale prendere un foglio di carta e imbracciare una chitarra. I nostri confidenti non sono le persone ma gli strumenti e le parole. Forse è per questo che nella vita non sono riuscito a coltivare bene le amicizie come avrei dovuto, per me prima è venuta sempre la musica. Penso ora per la prima volta che musica e amicizia non vanno poi tanto d’accordo». E’ un Fabi a suo agio, eloquente nel doppio ruolo che riveste a Musicultura, che racconta intimamente i tempi del bar del Fico a Roma, quando lui, Daniele Silvestri e Max Gazzè, senza alcuna vergogna, presentavano le “bozze” delle proprie canzoni creando una seconda scuola romana.
«Avevamo la fortuna di poter avere un riscontro col pubblico quasi immediato alla scrittura dei pezzi, questo è fondamentale. Inizialmente quando ci si rende conto che musica e testo si incastrano ci si trova quasi di fronte ad un piccolo miracolo, ci si sente immensi. Poi però c’è un secondo passo, cioè la risposta del pubblico, se ci sono delle falle, delle crepe, la canzone si rompe, si distrugge». Con piacere ricorda la fortuna del suo primo contratto discografico, un 3+2 «come gli affitti delle case – aggiunge l’artista – oggi i musicisti invece devono passare sotto le forche caudine del talent show, l’interlocutore è una telecamera o il televoto, non c’è un confronto creativo. Ad esempio la mia prima canzone “Capelli” era malinconica, è solo grazie a un fastidioso ma prezioso discografico che ho potuto fare quei cambiamenti che l’hanno resa famosa. Prima le case discografiche erano autorevoli, sceglievano i cantanti più promettenti, ora invece rimane quasi solamente l’industria».
Contemporaneamente una splendida donna intrattiene il pubblico che affolla il cortile del palazzo Conventati raccontando la storia della sua famiglia. E’ Catherine Spaak, dall’intramontabile bellezza che legge una lettera dedicata a suo padre Charles, per la rassegna “Le parole che non ti ho detto”. In una confessione intima, quasi segreta, l’attrice parla della relazione tormentata con la sua famiglia: il padre grandissimo artista e autore di veri e propri capolavori come il film “La grande illusione”, la madre, prima donna senatrice del Belgio, il nonno, direttore del teatro di Bruxelles e lo zio, importantissimo politico belga. Una famiglia unica ma divisa per la mancanza di amore «L’affetto non era il primo valore nella mia famiglia – dice l’attrice – mio padre si era sposato la prima volta perchè suo fratello non riusciva a lasciare la sua fidanzata. Si divertiva a metterci in difficoltà, non manifestava il suo affetto. Solo ora a distanza di tanti anni riesco a scrivere e a dire di fronte a tutti caro papà. Ho dovuto imparare con gli anni il perdono e ho costruito un giardino con tutte le storie meravigliose che non ci siamo mai detti». Nella giornata di ieri invece protagonista de “Le parole che non ti ho detto” è stato Mauro Coruzzi in arte Platinette, che si è confidato con il suo alter ego. In piazza Vittorio Veneto a riscuotere grande successo è stata l’esibizione del gruppo “El Sistema”, un’orchestra di bambini della scuola civica di musica Stefano Scodanibbio che propone, come attività pedagogica ispirata al grande Josè Antonio Abreu, la pratica collettiva della musica come mezzo di sviluppo personale e sociale.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati