La sala d’attesa di Oncologia
di Marco Ribechi
(foto di Lucrezia Benfatto)
Un luogo speciale, dove tutto è gratis, dove è possibile fare corsi per imparare a truccarsi, dove si può scegliere una parrucca, dove i cani vengono utilizzati per migliorare le relazioni tra le persone, dove si pratica yoga, fitness e si insegnano tecniche di rilassamento, dove i bambini hanno uno spazio per giocare mentre i genitori partecipano ad un atelier artistico. Un luogo dove le persone entrano tristi, senza più un sorriso per poi uscirne felici e arricchite dal punto di vista umano. Non si tratta del paese dei balocchi e nemmeno di un nuovo centro commerciale. E’ il reparto di Oncologia dell’ospedale di Macerata, l’eccellenza sviluppata per curare il male più grande dell’epoca contemporanea che affligge moltissime famiglie, il tumore con tutte le sue varianti. Entrare in questo reparto è un’esperienza quasi surreale, che mette immediatamente in evidenza che l’ospedale non è solo il luogo della malattia e del dolore ma, al contrario può diventare il luogo della speranza, dell’affetto, della cura del paziente e della socialità, dove le persone si conoscono e riscoprono la loro umanità e il desiderio di aiutarsi. Nella giornata mondiale contro il cancro Cronache Maceratesi è entrata nel reparto per scoprire e far scoprire una realtà che ha portato l’Oncologia di Macerata ad essere riconosciuta come una delle 8 eccellenze italiane, una realtà quasi unica sia dal punto di vista scientifico che per i progetti sviluppati.
«Il nostro reparto, per la quantità di studi scientifici, per i progetti di umanizzazione che portiamo avanti e per le ridotte dimensioni della città può senza dubbio rappresentare un vanto e un orgoglio per tutti noi – spiega Lucia Montesi, psicologa e psicoterapeuta dell’ospedale di Macerata – Il nostro scopo è far dimenticare al malato di essere in un ospedale e trasformare la cura in un’occasione di socializzazione, di divertimento e di sviluppo delle proprie attitudini. I nostri pazienti, a causa della durata delle cure, sono costretti a farci visita molto frequentemente e per questo è basilare creare uno spazio di vita normale, per decentrarsi dalla malattia. Qui oltre alle cure standard combattiamo anche l’ansia e la depressione che potrebbero creare un effetto di resistenza nei confronti della cura, soprattutto quando ci si trova di fronte ad una pratica come la chemioterapia generalmente considerata molto invasiva. Se qualcuno fa un giro in reparto è evidente che non sembra di essere in un ospedale, cerchiamo di trasmettere più benessere che dolore». Varcando la porta si percepiscono subito le differenze dagli altri reparti. Una tv accesa, una libreria e dei giochi per bambini rimandano ad un ambiente di casa. Paola Centanni e Patrizia Canale, due volontarie dell’Avulss, spiegano come vivono i pazienti ogni giorno.
«Di lavoro sono una parrucchiera – dice Patrizia – e metto la mia esperienza a disposizione dei malati. Faccio parte di un progetto molto importante, soprattutto per aiutare le donne che devono affrontare una chemioterapia. Il nome è “Ritorno alla bellezza” e insieme a Anna Bartolini, parrucchiera professionista anche lei, curiamo l’estetica delle pazienti per mantenerle belle e in forma. La prima domanda di ogni donna a cui viene diagnosticato un tumore riguarda la perdita di capelli che sono forse l’elemento che più contribuisce alla seduzione femminile. Per aiutarle nel percorso terapeutico noi studiamo e doniamo gratuitamente delle parrucche che ordiniamo in un centro specializzato di Gorizia. Ne studiamo il colore, il taglio, la lunghezza. In questo modo chi si accinge ad affrontare la terapia ancora prima di iniziare sa già quale sarà il suo aspetto nei mesi di degenza e già è ben predisposta perché le nostre parrucche sono splendide. Ne ordiniamo circa 7 alla settimana». Molti pazienti chiedono quante altre conseguenze psicologiche può portare una malattia. «Esiste anche un altro progetto dedicato alla bellezza altrettanto necessario – continua Patrizia – noi lo chiamiamo “Le coccole” ed è coordinato da due estetiste professioniste che periodicamente insegnano alle pazienti a prendersi cura di sé stesse, a truccarsi, a disegnare le sopracciglia magari perse durante le cure. Questi aspetti, che non sembrerebbero fondamentali perché comunque dopo una chemio capelli e ciglia ricrescono sicuramente, vengono vissuti dai nostri pazienti come il più grande dolore. Mostrare che possono restare belle o comunque non perdere l’immagine a cui erano abituate, non ha prezzo». In reparto c’è anche un cane.
E’ parte di un progetto. «Il cane si chiama Scyma – spiega Alessandra Cervigni dell’associazione Noa – e in reparto “lavora”. Fa parte di un percorso di pet-therapy. Con questa definizione si intende l’utilizzo di animali per ricreare emozioni, per sviluppare la convivialità tra i pazienti in cura, che spesso sono costretti a passare anche 8 ore in solitudine. Allora chi meglio di un cane per rallegrare gli animi? Appena entrano i nostri amici subito si nota come l’atmosfera cambia, la tristezza si trasforma in un sorriso, alcuni pazienti mettono da parte biscotti o avanzi per coccolarli, altri ricordano i loro animali e così si sviluppa anche la conoscenza reciproca dei pazienti. Alcuni cani più esperti sono in grado di approcciare persone che appaiono chiuse ombrose, che anch’io farei difficoltà a coinvolgere, invece gli animali hanno la capacità di comprendere i sentimenti delle persone e sanno come avvicinarsi. Inoltre accarezzare i cani aiuta a mantenere bassa la pressione regolarizza il battito cardiaco, è una vera e propria coo-terapia». Dopo il cane e l’acquario ci sono anche altri progetti. «Abbiamo un servizio di accoglienza per i bambini – continua Paola – così le mamme in chemio possono portare i loro figli che vengono anche assistiti da psicologi e sociologi. Inoltre ci sono delle bellissime attività per aiutare i pazienti anche a superare i dolori fisici che la malattia comporta. Abbiamo lo yoga, tenuto da istruttori professionisti, le riabilitazioni del gruppo “Menomale” gestito da fisioterapisti e istruttori laureati in scienze motorie che aiutano a recuperare l’autonomia per le attività quotidiane.
C’è anche il laboratorio d’arte organizzato dagli studenti dell’Accademia. Grazie alla pittura, alla scultura, alla decorazione, alla scrittura e ad altri mezzi artistici la malattia diventa più affrontabile. Tutto è studiato per far sentire i pazienti a casa perché dalla malattia si esce. Quasi tutti i volontari sono entrati qui la prima volta come malati e ora c’è un clima festoso». Ma come si mantengono tutte queste attività e quanto incidono in tasse ai contribuenti? «Non costa nulla – risponde Luciano Latini, primario del reparto di Oncologia e motore pensante dei progetti – perché è tutto autofinanziato. Esiste tutto un circuito di volontariato fatto da persone che gratuitamente offrono il loro tempo e lavoro per aiutare il prossimo, sono encomiabili. Inoltre l’AOM, l’Associazione Oncologica Macerata, è una realtà veramente fondamentale per permettere l’esistenza di questi progetti. Organizzano di continuo eventi di raccolta fondi, tornei di burraco, cene che servono per pagare i professionisti e i materiali che utilizziamo nel reparto. Abbiamo fatto una cena con 750 persone e più di 500 ne abbiamo dovute mandare via perché non c’era più spazio, questo è unico. A Natale abbiamo addobbato i soffitti con degli abeti dove i pazienti hanno scritto i loro pensieri, abbiamo trovato cose che ci hanno fatto rabbrividire per la dolcezza, persone che ci chiedevano perché non siamo aperti la domenica oppure che erano dispiaciuti per la fine della chemio. E’ una cosa inimmaginabile, l’ospedale è visto come luogo di sofferenza, qui noi cerchiamo di dare la felicità in maniera però condivisa tra i pazienti. Un’altra volta abbiamo fatto una mostra d’arte, c’erano visitatori che venivano in corsia per vedere le opere, senza aver nessun parente ricoverato. Portiamo il mondo quotidiano all’interno del reparto e questo aiuta tantissimo il trattamento psicologico».
Un primario modesto Latini che in reparto tutti stimano per i risultati raggiunti. «Oncologia non è solo un luogo dove si distrae il malato, c’è tutto uno studio scientifico di prim’ordine dato dalle collaborazioni internazionali con i migliori centri al mondo. Il 60% di malati vengono qui a curarsi da fuori provincia. Molti ospedali come quello di Napoli e Ravenna sono venuti a prendere ispirazione dalle nostre pratiche perché, senza voler essere superbi, siamo una realtà unica. Abbiamo addirittura lo sportello oncologico che si occupa di tutte le pratiche burocratiche come la pensione, l’ottenimento dell’invalidità ecc. Il malato non deve pensare a niente, facciamo tutto noi. Naturalmente è un grande impegno ma siamo felici per gli effetti positivi e per la collaborazione che riceviamo ad ogni iniziativa». Un reparto che rappresenta per Macerata la stella del firmamento medico. Per sostenere l’AOM si possono fare delle donazioni oppure partecipare agli eventi che regolarmente pubblicano nella loro pagina Facebook. Un primo passo è fare un giro al secondo piano dell’ospedale, vedere come basta poco per accrescere la felicità del mondo, capire che le esigenze dei malati sono quelle di tutta la società perché tutti hanno bisogno di cure. «Così si può comprendere – dicono Centanni e Canale – che tutto quello che si dona in realtà è un guadagno. Si esce dall’ospedale con un sorriso impresso sul viso e probabilmente l’attitudine nei confronti delle frivolezze della vita cambierà allo stesso modo di come è cambiata per tutti i volontari che operano quotidianamente per donare gioia».
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati
Bravi.
Un grazie di cuore a tutto il reparto di oncologia di Macerata e in particolare all’anima di questo meraviglioso progetto
Ottimo progetto a favore di chi soffre. Un elogio anche a tutto il reparto capitanato dal Dott. Latini per la loro preparazione e professionalità.
sono delle persone .Stupende ..
Il reparto oncologico di Macerata e un esempio di ECCELENZA nelle Marche in confronto al pronto soccorso dello stesso ospedale. Un pronto soccorso in condizioni non degni di un paese civile e per niente degno di una regione come le Marche.
Basta vedere chi sono i responsabili !
Spesso e sufficiente un capo con qualità manageriale e umane per rendere un servizio al paese, anche in condizioni difficili.
Un grazie a tutto il reparto.
Bellissima iniziativa ! Complimenti al reparto e alla bravura del Dott. Latini
Ricordate la favola di Pinocchio….il personaggio viene attratto nel paese dei Balocchi …poi però? ??”
Così è successo a me e a molte pazienti di serie B perché la sfortuna ti porta a non guarireche quindi cosa succede?..
Semplice le luci dello spettacolino si spengono e tu resti solo e abbandonato perché non ci sono progettati dove ti aiurano ad affrontare l inevitabile. …perché li non si può pensare ne parlare di Morte.
ma a volte arriva e noi pazienti di serie B cosa facciamo?
scusate e grazie x lo sfogo
Il benessere psicologico cura il tumore meglio della chemio (che evidentemente, dai dati, non lo cura).
Bella iniziativa e complimenti.
le strutture sanitarie seguono un protocollo imposto da case farmaceutiche & Co ..chi crede che a qualcuno interessi della salute di un malato vive davvero nel mondo delle favole .. la prova sta nel fatto che nessun dottore e’ disposto a seguirvi in quelle che sono le cure alternative i cui risultati sono evidenti ma nn riconosciuti da questa lobby sanitaria nazionale.. chi nn fosse soddisfatto o nn disposto seguire la procedura che offre queste PUBBLICHE strutture ..verra’ abbandonato a se stesso NESSUNO che rischiera’ la carriera(quella si e’ importante)reputazione,e nn ultimo posto di lavoro per aiutarvi ..O TE MAGNI STA MINESTRA O TE SALTI DALLA FINESTRA questa e’ la realta’. ..per il resto finche regna l ignoranza e la disinformazione e’ facile ingannare la gente .. mo’censurate pure questo!
Porto la mia esperienza: una persona di famiglia, che ora chiamo Max, due anni fa gli è stato diagnosticato un tu…. e dopo visite a Milano i Medici hanno deciso di fare chemio. Max ha preferito andare al reparto di Torrette di Ancona.
Come ha detto Giovanni Lazzara, “le strutture sanitarie seguono un protocollo imposto da case farmaceutiche & Co” …… Mi fermo qui ….
Max credeva in queste chemio, ma alla fine è deceduto non per la malattia ma per le forti chemio che gli ha distrutto il fisico. Se non le avesse fatte sicuramente sarebbe vissuto alcuni mesi in più.
Personalmente, se mi dovesse capitare una cosa del genere, non me ne farò nemmeno una.