“Ricordati, uomo! Polvere sei e polvere tornerai!” Così tuona la voce di Dio nel libro della Genesi contro Adamo che ha osato cibarsi del frutto proibito. Ma se usciamo dalla metafora biblica la parola “polvere” acquista un significato reale, direi fisico, con la cremazione, che per l’appunto riduce il cadavere in autentica polvere. A Macerata sono sempre più numerosi coloro che per quando saranno morti scelgono di essere cremati. Nel 2010 furono 22, l’anno dopo 28, poi 47, poi 51 e nella prima metà di quest’anno già 46 ed è probabile che si arrivi a sfiorare i 60. Questi dati, raccolti da Franco Veroli per le pagine locali di un quotidiano, sono ufficiali, di fonte comunale. Sarà anche per ragioni di opportunità dei privati e delle civiche amministrazioni per le quali la gestione urbanistica dei cimiteri sta diventando un problema (loculi su loculi, lapidi su lapidi, scalinate, ponteggi, ringhiere e lampioni, i cimiteri somigliano ormai a centri abitati in continuo sviluppo), sta di fatto che il fenomeno della cremazione è destinato a un’inarrestabile crescita.
Come su quasi tutto in Italia, anche sulla cremazione c’è una legge: la “130” del 2001, che disciplina tale pratica funeraria partendo dalla volontà espressa in vita dal defunto e arrivando alla obbligatorietà di un’autorizzazione dell’ufficiale civile circa la sorte delle ceneri , che possono finire in appositi spazi cimiteriali, laddove esistano, o essere disperse in ambienti naturali (nel mare, ad esempio) o custodite in urne da tenere in casa. Norme tassative, la violazione delle quali prevede, nei casi più gravi, multe di oltre diecimila euro e perfino la reclusione fino a un anno. Perciò questa legge non vieta la cremazione ma certamente la burocratizza oltremisura e in qualche modo la complica, la qual cosa non deve sorprendere giacché sulla politica italiana continuava a pesare – oggi molto meno – un’ipoteca di carattere religioso che per un verso era ideologica e per l’altro di opportunità di potere. E questo lo dico senza alcun disprezzo per i valori e le tradizioni della religione, che ci sono e meritano un laico rispetto. Infine, non ultima, una ulteriore difficoltà riguarda il forno crematorio, che nella nostra provincia non c’è. Per cui, in contatto con le imprese di pompe funebri, i familiari del morto debbono rivolgersi agli impianti di San Benedetto del Tronto o di Perugia. L’ultimo viaggio? Sì, come s’usa dire. Ma se fosse meno lungo sarebbe più umano.
Novembre è il mese dedicato alla memoria dei defunti, alla non rassegnata mestizia per la loro scomparsa e alla loro sopravvivenza nel cuore di chi resta. Ecco perché – proprio a novembre, ripeto – mi occupo di cremazione, uno dei modi di andarsene, dopo essersene andati, da questo mondo. Lunga storia, quella della cremazione, cioè del fuoco – forza divina o diabolica, secondo le fedi – che annienta, distrugge, smaterializza, spiritualizza o purifica ogni entità fisica. Da millenni i cadaveri son cremati in India, la cremazione si diffuse nella politeistica Grecia tremila anni fa ed era riservata alle persone più illustri, e si estese anche nell’Impero Romano. Una svolta epocale si ebbe poi in Occidente con l’avvento del Cristianesimo e del Cattolicesimo in ossequio al dogma evangelico della Risurrezione dei Morti, che nel giorno del Giudizio Universale saranno riportati in vita esattamente come sono stati da vivi, cioè nelle loro fattezze anche fisiche. In un antico Concilio Ecumenico – mi pare Nicea – si sostenne addirittura che sacrilego fosse tagliarsi i capelli e le unghie, presentandosi così alla Risurrezione con un corpo diverso da quello naturale. Niente fuoco, dunque. Ma inumazione, sepoltura, custodia del cadavere in terra, in tombe, in cappelle, in loculi.
Successivamente, nel Novecento, l’atteggiamento della Chiesa Cattolica è a mano a mano mutato, ma non del tutto. Tant’è vero che il Concilio Vaticano Secondo – 1963 – ha ammesso la sepoltura ecclesiastica per le ceneri di coloro che si son fatti cremare, ma a condizione che la loro scelta non significhi negazione dei dogmi cristiani. E, comunque, permane l’invito ai fedeli di praticare l’inumazione. Nel 2012, infine, la Cei ha accettato la cremazione ma a condizione che le ceneri siano conservate nei cimiteri e non disperse in ambienti naturali né tenute in casa o in giardino. Passi avanti, quindi, nel segno della modernità. Ma per la Chiesa Cattolica l’argomento teologico della cremazione continua ad avere una pur evolutiva problematicità che deriva dalla non facile impresa di mantenere un rapporto coerente fra l’immutabilità dei sacri principi e la mutevolezza della storia degli uomini. E non si dimentichi che sul finire della prima metà del Novecento l’immagine nient’affatto diabolica della cremazione ricevette un durissimo colpo dai forni nei campi di sterminio nazisti, dove il fuoco – stavolta sì, e orribilmente – assunse il malefico volto di Satana.
Tornando a Macerata e dopo alcuni giorni di un silenzio apparentemente imbarazzato è giunta la notizia ufficiale che l’ex sindaco Gian Mario Maulo – persona di ferma fede cattolica, già diacono laico della Curia – aveva scelto di farsi cremare e ora la sua salma giace a San Benedetto del Tronto in attesa di trovar posto in quel fuoco (leggi l’articolo). Le straordinarie e corali manifestazioni di affetto e di stima che senza distinzioni politiche si sono avute nella cerimonia funebre svoltasi nella chiesa di Santa Madre di Dio l’hanno reso una figura verso la quale una plebiscitaria valenza pubblica ha avuto il sopravvento sulla sua dimensione privata e mi sono chiesto per quale ragione la città non potesse sapere fin da subito dove, quando e se sarebbe stato sepolto, magari per deporre un fiore sulla sua tomba, o se sarebbe stato cremato. Silenzio, appena interrotto da qualche mormorio. Poi, quattro giorni più tardi, l’annuncio della cremazione. Una scelta dignitosissima, forse già anticipata – lui, sindaco poeta e poeta sindaco – da uno dei suoi ultimi versi: “La mia casa è una lingua di fuoco … quando la morte non recide la vita ma la compie”. Dignitosissima scelta, ripeto, e non priva – per come era lui e per come aveva interpretato la sua missione civile – di un afflato pubblico: la città, la comunità dei cittadini, il movimento “Città dell’Uomo” che lo vide promotore e leader. Perché quattro giorni di silenzio? Forse per marcare una distanza fra la chiesa Santa Madre di Dio e San Benedetto del Tronto? Forse perché in qualche ambiente della “Civitas Mariae” la cremazione è ancora considerata una “sconvenienza”? E qui mi fermo, non senza inviare un pensiero solidale ai suoi familiari, per i quali l‘intimità della dimensione privata è, giustamente, quella che conta di più.
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…e vogliamo parlare dei costi ???
Io intendo farmi cremare e – mi spiace per la Chiesa – farmi disperdere in un bosco (non dico dove), quantomeno le mie spoglie mortali serviranno come concime e, auspico, ad aiutare la vita.
giustizia non permette né nascita né morte…
Apprezzo molto questa calma e dotta riflessione di Giancarlo Liuti, ma non concordo sulle domande che lui si pone sui “quattro giorni di silenzio” da parte dei familiari di Gian Mario. La poesia ” albero di vita” (….non abito parole di bronzo né loculi in cemento armato …..”, chiarissima nel suo significato, ha radici profonde nelle riflessione evangelica e biblica (“la mia casa è una lingua di fuoco …..”. E’ stata letta da sua figlia Sara durante il funerale nella chiesa della Santa Madre di Dio, è stata ancora letta dal consigliere Garufi nella recentissima commemorazione dell’ex-sindaco in Comune. I familiari hanno fatto quello che dovevano fare: far parlare Gian Mario, senza intromettersi. Non credo, in nessun modo, a possibili resistenze alla cremazione “in qualche ambiente della Civitas Mariae”: la cremazione è accettata dalla Chiesa e praticata anche, di recente, all’interno di alcuni ordini e congregazioni religiose.