Con un post sulla propria bacheca Facebook Maurizio Serafini racconta l’esperienza tra la vita e la morte vissuta nella recente spedizione in Nepal. Un viaggio che Maurizio in un post precedente aveva definito come il più duro della sua vita (leggi l’articolo) a causa delle difficoltà riscontrate lungo il cammino, tra cui la violenta bronchite che lo ha colpito poco dopo l’inizio del tratto più difficile dell’escursione. Pubblichiamo di seguito alcuni passi del racconto condiviso da Serafini.
«Quando ho preparato la spedizione nel Lumba Sumba, est del Nepal, in quel territorio di mezzo tra i giganti Kanchenjunga e Makalu mi ero accorto di forti dislivelli, rarefazione di villaggi, mancanza di informazioni e quindi di frequentazioni. Insomma un tuffo nell’esplorazione e nell’ignoto, ma dopo dieci anni di Nepal, un’esperienza un po’ più forte, “into the wild” a dirla alla Krakauer, sembrava matura e i compagni di viaggio idonei a questo percorso sperimentale e impegnativo[…]
Sono stanco e provato dalla bronchite e mi sento la febbre alta ma la riunione con i miei compagni di viaggio è necessaria. Decidiamo di seguire il pastore per raggiungere l’indomani Topkegola. La notte, l’insonnia, la febbre e l’altitudine mi rendono uno straccio e la mattina, per la prima volta in vita mia chiedo a Sibì se il pastore può darmi indicazioni sulla strada che dovremmo percorrere. “Due colli da risalire gradualmente e poi ci fermeremo al lago Tin. Non è dura, Mauri, almeno così dice il pastore”. Entriamo sbandando nelle montagne senza nome, nelle cime senza nome. Così ci dice la mappa. Ricordo, nell’appannamento della malattia, le vertiginose pareti che abbiamo solcato a volo d’uccello, gli aspri fondovalle, gli sguardi preoccupati dei portatori, le nuvole basse e le leggere precipitazioni nevose. Ricordo l’infinita salita e una respirazione ormai giunta al lumicino, le lunghe pause, la carovana ormai lontana davanti a me e poi una serie infinita di montagne, piccoli bacini lacustri glaciali, circhi glaciali, le fredde sagome rocciose inospitali […]
Le giovani guide che hanno condotto Serafini e compagni sulle catene montuose del Lumba Sumba ad est del Nepal
[…]Ricordo la luna sopra di me, sotto di me, dentro di me. Poi non ricordo più nulla. Mi sveglio con un grande dolore alla bocca dello stomaco. Una vertebra in movimento si ostina a rigirarsi nel mio diaframma. Sono sulle spalle di Migma, sherpa 28enne, poi passo su quelle di Pemba, di nuovo su quelle di Migma. Per portare un sacco di patate di 80 kg per le salite senza nome al crepuscolo ci vogliono i due portatori più forti. Ad uno dei tanti valichi (siamo a 4800 mt) mi indicano la tenda che mi aspetta, la zuppa calda. Quant’è lontana… La discesa prima (in giù ci vanno pure i cocomeri) e poi mi rimettono in salita di peso sulla loro fronte. Arrivo di notte e al buio nessuno riesce a vedere la mia faccia sconvolta. Mi lasciano solo in tenda, qualcuno comincia ad accusare gli stessi sintomi ed ha paura, per una notte di sogno ad occhi aperti e delirio.
I polmoni sono pieni di liquidi, la febbre è da visione, la tachipirina non fa effetto, gli antibiotici sono partiti ieri e non danno risultati. A fotogrammi impazziti rivedo momenti apparentemente dimenticati di tutta la mia vita. Una processione di paese che mi chiama. Gli abitanti tutti mi tendono la mano. “Siamo a Costacciaro” mi dicono “vieni, vieni con noi”. C’è un certo Fabio che mi presenta le bellezze del paese. Io non l’ho mai sentito Costacciaro e non ci voglio andare. Fabio sorride, tutti sorridono: “E’ il posto più bello del mondo. Qui ti troverai bene”. Costacciaro esiste, si, è la prima cosa che ho cercato su google quando mi son seduto davanti al computer. Costacciaro esiste, è in Umbria, vicino a Monte Cucco. Costacciaro è la porta a me destinata per entrare nel regno dei morti. All’alba, sopravvissuto, ho scritto, per non dimenticarlo, il nome di Costacciaro nella moleskina […]
Oggi arriviamo a Topkegola” dice Sibì che riporta ciò che gli ha detto il pastore. No, oggi non saremo a Topkegola. Fermiamoci qui, al diavolo l’aereo che ci aspetta. Montiamo le tende. Domani riproviamo di giorno. Oltre a me, anche gli altri del gruppo ormai sfiniti, malati, in balia del proprio destino, ma pronti tutti a lottare fino alla fine.
Un pastore. “Topkegola? Lontano, lontano… Gli avete girato attorno. Oltre quelle montagne…” La chiamerei la maledizione di Topkegola. Anche lui viene coinvolto dalla carovana. “Portaci a fondo valle. Chi se ne frega di Topkegola”. Dietro al suo bastone a scendere per luoghi improbabili: tra fenditure di rocce, per ghiaioni esposti e poi per traversi invisibili fino a toccare le prime piante e poi giù giù per pietre scivolose, costeggiando fiumi bianchi di schiuma fino al ritorno ai luoghi nominati. 2000 metri di dislivello dietro un bastone nodoso di un pastore. Un bastone che ci ha salvato la vita risparmiandoci l’ennesima notte in alta quota, quella che sarebbe stata a noi fatale, quella della tempesta e delle valanghe che avrebbe portato a Costacciaro centinaia di persone dalle cime nepalesi[…]
Le condizioni meteo sono peggiorate proprio quando Serafini e compagni avevano raggiunto da poco il fondo valle
Ora sono sul letto di casa a capire quanto sono fragili le nostre esistenze, a curare le ferite del corpo e dell’anima, ma soprattutto a cercar di non sprecare niente di quanto mi è stato dato e di quanto mi sono preso dalla roulette della vita. Una cosa mi è sempre più chiara: con Dio ci si parla e ci si può trattare.
(Foto di Stefano Lucchetti)
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Fantastico racconto di un Uomo fantastico! Ciò che scrive mi è reale. Al di là dello sforzo psicofisico e della febbre, l’esperienza del portale “Costacciaro”, che avrebbe potuto attraversare (e lo ha fatto), sarebbe potuto essere fatale. Poteva non ritornare indietro. Avrebbero detto che è morto per un infarto, a quelle alte quote… Provai qualcosa di simile nel Sud Sudan. Laggiù ero solo, portato a spalla da un capitano dei guerriglieri. A volte ero fuori dal corpo e mi vedevo dall’alto. In quegli attimi non sentivo più la stanchezza, l’arsura per la mancanza d’acqua. Lo stesso capitano mi afferrò a volo mentre stavo “coscientemente” per volare in un burrone, indifferente per la morte del corpo.
Consiglierei Maurizio Serafini di scrivere un libro sulla sua interessante esperienza nel Nepal.
Maurizio Serafini vedeva sequenze di immagini della sua vita all’indietro, ossia da quelle più recenti a quelle più antiche?
………no, le vedeva solo rallentate e sentiva la voce di Biscardi che urlava “ci vuole la moviola in gampo!”
Racconto stupendo