Fiorella Conti (al centro) con Nannino Crescentini a San Donato Milanese, 1977 (Immagine tratta dal libro La Leggende del Santo Petroliere)
di Maurizio Verdenelli (foto-servizio di Guido Picchio, vietata la riproduzione) GUARDA IL VIDEO “E’ un segno positivissimo! Il sangue è vivo, è presenza: in una parola è vita palpitante”. La professoressa Fiorella Conti, già sindaco di Matelica, che in lunghi anni di studi appassionati ed attraverso numerose pubblicazioni ha legato il proprio nome alla storia di Matelica e del monastero, è assolutamente sicura. Il prodigio di Matelica (leggi l’articolo) induce alla fiducia e alla speranza. Scusi, professoressa, come fa a definire il ‘prodigio’ del sangue come di buon auspicio? In molti lo leggono come contestuale ad un periodo buio, pieno di rischi e pericoli, anche se rassicura la tradizionale protezione della Beata Mattia… “La mia fiducia ha solide radici storiche. Nel corso dei secoli le emissioni di umore sanguigno dal corpo della Beata sono state molteplici. Tuttavia la più copiosa si registrò in concomitanza di un evento, a lungo festeggiato dai matelicesi: il ritorno della Beata da Macerata dopo il trafugamento ad opera dei napoleonici, durante l’occupazione del 1811-1812…” Come fu possibile ‘rubare’ il corpo della Beata? “Pensi che il paradosso, anzi il chiaro pretesto da parte dei francesi fu che una reliquia di tale importanza non potesse essere ben salvaguardata all’interno di un piccolo centro come Matelica. In realtà il governo napoleonico opprimeva con particolare durezza città e monastero che, anche allora e soprattutto, era nel cuore della popolazione. Ed aveva richiesto per ogni suora un ‘riscatto’ (chiamiamolo così) in denaro, oro e preziosi. Tanto che con grande dignità e fierezza, la badessa suor Livia Rosati -donna di grande cultura in rapporto con il grande Giuseppe Antonio Vogel che trascrisse numerosi documenti legati alla Beata- scrisse al ministero dell’Interno protestando che più di quello che aveva dato, la comunità delle Clarisse non poteva. Inoltre il Gonfaloniere ‘spinse’ perché fosse allentata una stretta che la città non avrebbe più a lungo potuto sopportare. Così furono ridate le corde alle campane del convento perché potessero tornare a suonare. Erano state infatti serrate perché i napoleonici temevano che quei rintocchi sarebbero potuti servire a chiamare il popolo alla rivolta”. Come avvenne il trafugamento del corpo? “Di notte naturalmente, da parte di muratori camerinesi -ché mai nessun cittadino di Matelica sarebbe stato disposto ad una simile operazione. Questi demolirono il muretto sotto l’altare che ‘proteggeva’ la salma della Beata. Da Macerata tornò dopo alcuni mesi a Matelica… anche su segreta raccomandazione al proprio governo da parte di alcuni generali napoleonici che temevano un’insurrezione cittadina. Pensi che uno di questi generali si ‘pentì’ –si direbbe oggi- passando dalla parte degli italiani. Un altro miracolo della Beata? Perché no?!”. E quando la salma arrivò a Matelica? “Festeggiamenti pubblici per giorni e giorni intorno alla chiesa e al monastero. E ci fu l’emissione copiosissima di sangue, forse la più importante della storia del santuario. La badessa, che non era più suor Livia (gli avvicendamenti sono frequenti e regolari, come da tradizione francescana) tamponò il sangue che fuoriusciva con pezzetti di lino che vennero distribuiti come reliquie ai fedeli. E ad ognuna di quelle pezze, la Superiora allegò una certificazione, da lei interamente scritta, con la quale si attestava l’autenticità della preziosa reliquia. Ecco perché si può assolutamente dire che l’evento cui oggi assistiamo è assolutamente da ascrivere come ‘felice’”.
Il viaggio di papa Francesco, iniziato oggi in Terrasanta, potrebbe essere un’indicazione che vuol darci la Beata francescana, ormai prossima Santa? “E’ una segnalazione suggestiva….certo. La Beata Mattia ha attraversato tutti i cuori, anche quelli ‘contro’. Non a caso sul libro-giornale della stessa comunità delle Clarisse c’è l’annotazione di una donazione di ben 500 lire d’allora da parte di un alto ufficiale tedesco, durante l’occupazione nell’ultima guerra. Nel 500 e nel 600, inoltre, all’interno del monastero operò un educandato che riuniva non solo ragazze del posto ma da tutte le Marche (in particolare da Ancona, Jesi e Treia) e perfino da San Marino. La giovani della nostra regione ebbero una solida formazione religiosa e culturale grazie alle clarisse della Beata matelicese. E voglio aggiungere che in queste ore, mentre cresce il pellegrinaggio in una chiesa ormai stracolma, tanti sono i giovani intorno a Lei”.
In quella bella chiesa dove su una colonna a fianco dell’altare, dove ora sfilano tanti fedeli, c’è una targa che ricorda San Giovanni Paolo II. Papa Wojtyla, da poche settimane agli onori dell’altare insieme con papa Giovanni XXIII, si fermò in preghiera nel tempio amato dai matelicesi, il 19 marzo 1991, al termine del suo viaggio di due giorni a Camerino e Fabriano dove celebrò San Giuseppe, la Festa dei lavoratori. Poi a sorpresa sulla strada del ritorno a Roma, il bianco elicottero del vaticano atterrò sul campo sportivo del paese di Enrico Mattei per l’omaggio alla ‘Santa’ clarissa, dopo il ricevimento in comune con il sindaco Nannino Crescentini (nella foto con la prof. Fiorella Conti) e mons. Liberati -entrambi tanto avevano voluto quella ‘fermata’ non prevista del corteo papale. Fu un momento breve ma intenso rimasto nella storia del monastero dove c’è un’altra targa, significativa.
La badessa suor Rosaria Maria con don Giuseppe Branchesi
Suor Rosa Maria Papa
Quella dedicata al grande benefattore Enrico Mattei, l’uomo che ricostruì a proprie spese (miliardi d’allora) il monastero. Fu definito un intervento “per cui ci voleva un cuore da leone” -disse il tecnico restauratore- e che ebbe del prodigioso. Per decenni intere capriate si erano rette fino ad allora quasi sul nulla addirittura, in un caso su un solo chiodo! Tanto che nel libro-giornale della Comunità si parlò, a proposito del mancato crollo, di un ‘miracolo’ della Beata. Uno dei tanti. Il restauro si realizzò completamente tanto che le buone suore francescane si crucciavano un po’ dei troppi agi (cucina modernissima, riscaldamento) per loro che avevano fatto voto di povertà. Tanto da rinunciare spesso a riscaldarsi così che il presidente dell’Eni –che aveva avuto dal vescovo l’autorizzazione d’entrare nella clausura- spesso controllava di persona se i radiatori fossero accesi. “Madre abbadessa, vi riscaldate? Non dica bugie… e questa cucina, suor Bernardina, la usa davvero?”. Alle suore chiedeva spesso di pregare per lui “perché ormai si riteneva vicino alla fine”. Nel portafoglio, Mattei aveva una reliquia della Beata e due ‘immaginette’. Tutto miracolosamente trovato intatto nel bosco di Bascapè quando di tre uomini -Mattei, McHale e il pilota Bertuzzi- furono trovati solo quattro, cinque piccoli frammenti ossei. E vicino, l’anello da sposa, di Angela Mattei , la madre adorata di Enrico, che sottoposto al carbon12 svelò a distanza di 33 anni da quel tragico 27 ottobre 1962, il primo dei grandi misteri italiani fino ad allora volutamente insoluto e delittuosamente ‘coperto’.
“Abbiamo paura che questo evento possa bloccare l’iter ormai giunto alla conclusione, della santificazione” dice un assessore comunale, uscente, da sempre legata al culto della Beata. Fu lei, ormai oltre vent’anni fa, a segnalare a chi scrive un evento che le autorità ecclesiastiche, a conclusione del lungo iter di prassi, hanno classificato tra quelli non spiegabili con la scienza umana. In una parola: un miracolo. Chi scrive, ricorda quel signore magrissimo, dal viso scavato e pallidissimo, con addosso un loden verde, circondato da numerosi familiari, venuto a rendere ’grazie’ alla Beata. Un signore di Napoli, un farmacista, malato di tumore osseo, con prognosi infausta. Un signore che non credeva, ma che poi credette seppure nelle dichiarazioni al ‘Messaggero’ volle essere prudente. Intorno a lui, quel giorno d’autunno pieno di sole, tutta la città, ‘abituata’ (anche chi scrive) alla mano provvidenziale della Beata e alle sue grazie.
“Vengono da tutt’Italia, in particolare dalla Campania” ci dice un matelicese dirimpettaio del monastero. “Noi qui ci sentiamo protetti grazie alla nostra Beata. Terremoti, bombardamenti (mancati come nell’ultima guerra, quando al posto della città videro nubi scuri e poi un prato in fiore) non ci possono far paura”. Mentre i grandi parcheggi intorno al santuario intorno vanno riempiendosi velocemente di fedeli in arrivo, credono e pregano anche ragazzi e ragazze, salgono lungo l’erta malati, anziani e con gravi problemi di deambulazione. Tutti, per stare ‘vicini alla Beata’. C’è chi è profondamente commosso, vorrebbe parlare ma si allontana perché non riesce a trattenere le lacrime e l’emozione. Ci sono pure le bambine del gruppo Boys Scout di Matelica, le ‘coccinelle’ in divisa completa e gagliardetti, insieme con le loro guide. “Appena abbiamo saputo…eccoci qua: le nostre patrone sono due clarisse. Santa Chiara e naturalmente la Beata Mattia, tutte nel segno di Francesco d’Assisi, come il nostro papa. Ad accompagnarlo nella sua missione di pace, lo sappiamo, c’è ancora di più la ‘nostra Santa’”. E c’è infine chi, negando decisamente un’aura di pericolo nel fenomeno dell’emissione dell’umore sanguigno, lega anzi a questa l’attuale missione di pace in Terrasanta di papa Francesco e alla recentissima santificazione di papa Wojtyla, pellegrino nel santuario della Beata.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati
Allora sarà ora di seppellirla sa pora cristiana e lasciarla riposare in pace no?
Se il fenomeno è positivo allora voglio augurarmi che trasudazioni di umori non ben identificati si diffondano tra le nutrite schiere dei beati del Bel Paese, magari già a partire da stasera verso le undici.