di Gabriele Codoni
Una nota di mistero e di ignoto avvolge le vicende della famiglia Claudi. La vita e le opere e del pensatore Claudio Claudi, figlio maggiore della famiglia Claudi, e di sua madre, la pittrice Anna Pioli sono immerse in una nebbia che difficilmente pare diradarsi. Pochissime, infatti, sono le ricerche e le pubblicazioni intorno a queste due figure artistiche della prima metà del ‘900. La Fondazione Claudi cerca di gettar luce su queste due figure di indubbio valore, già posto in evidenza dalle importanti recensioni scritte sulle opere fin ad ora conosciute. Istituita nel 1999 dal figlio più piccolo dei Claudi, Vittorio, e ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica nel 2002, la Fondazione, con sede legale a Roma e operativa a Serrapetrona, coltiva la missione di custodire e mantenere il carattere unitario dell’archivio dei manoscritti di Claudio Claudi e dell’opera pittorica di sua madre Anna. Oltre a questa costante e certosina opera di archiviazione dei documenti della famiglia, la Fondazione promuove ricerche e studi sull’opera, la vita e il pensiero dei due autori. Una missione quindi di vasta portata e difficilmente pianificabile, se si considera inoltre il gran numero di documenti ancora da archiviare e da studiare.
Il pensiero di Claudio Claudi unisce la riflessione filosofica a quella poetica e si condensa in moltissime opere, commenti e traduzioni da lui prodotte, tali da connotarlo come autore molto prolifico. La prima impressione che si ha imbattendosi nella sua opera è tuttavia lo stupore. Uno stupore generato dalla profonda discrasia tra le opere edite e quelle inedite. Unica opera da lui pubblicata è Lettere Tibetane, un libro di 25 brevi prose a carattere filosofico diffuso in maniera privatissima dallo stesso Claudio. Una vita scandita dal silenzio e dalla solitudine, segnata dalla malattia e dal dolore che si riflette inevitabilmente nella volontà di restare nell’ombra; uno spirito solitario e ramingo che cerca oltre l’apparenza del mondo e del suo frastuono. Paolo Marletta in La sua notturna poesia (contenuto nella plaquette, uscita all’indomani della sua morte nel 1972, AA.VV., Omaggio a Claudio, p. 25) definì Claudi «Amico scontroso e pudico […] capace d’inattesi modi di tenerezza». Un carattere schivo quindi, che si riflette immediatamente nell’intero corpus delle opere, come ad indicare da una parte un pensiero essoterico aperto ad un dialogo con il mondo e dall’altra parte un pensiero esoterico, che è lirica di uno spirito che cerca incessantemente un sentiero per poetare nuovamente.
Ricostruire la biografia di Claudio Claudi è quindi un lavoro arduo viste le poche notizie che siamo fin ad ora riusciti a recuperare. Entro l’anno 2014 sarà pubblicata un’edizione critica delle sue poesie curata dalla prof.ssa Cristina Ubaldini che si è occupata già in passato della figura del Claudi, con due articoli: La poesia di Claudio Claudi (in Sincronie, n. 23, 2008, pp. 195-210) e Il silenzio e la sperduta Orione. Dieci poesie inedite di Claudio Claudi (in Sinestesie, n. 2, settembre/ottobre 2012). Con la pubblicazione nel 2007 dell’opera “L’Anatra mandarina e altri scritti” (in cui ritroviamo rieditate le Lettere Tibetane), fortemente voluta dal fratello Vittorio, è iniziata la pubblicazione delle opere edite e inedite di Claudio Claudi.
Le origini della famiglia Claudi sono maceratesi. Claudio Claudi infatti nasce il 20 maggio del 1914 a Serrapetrona, un piccolo paese appenninico in provincia di Macerata da Adolfo Claudi e Anna Pioli. Il padre è una figura eclettica, dedita a svariati mestieri. Oltre a gestire l’azienda agricola ereditata dal padre Venanzio Claudi, Adolfo si dedica alla professione di geometra e farmacista. In particolare quest’ultima attività lo impegnerà particolarmente, soprattutto per quanto riguarda la creazione di prodotti galenici e lo sviluppo di innovazioni tecniche sia in ambito medico che in quello farmacologico. Considerato il gran numero di documenti archiviati, appare di grande importanza l’apparecchio Vaporizzatore Χαιρε, antesignano del moderno Aereosol. Questa sua vena creativa non si limitava al solo ambito tecnico-inventivo, (che per esigenze di sintesi non possiamo approfondire, ma molti altri brevetti sono stati depositati da Adolfo anche per macchinari e prodotti agricoli), ma trovava espressione anche in senso artistico-letterario. Molte, infatti, sono le poesie dialettali che Adolfo si dilettava a scrivere e a pubblicare su varie testate locali. Ma la vera anima artistica della famiglia Claudi è la madre di Claudio, Anna Pioli in Claudi. Anna è una pittrice romana discepola di Adami, famoso affreschista romano, che ha intrattenuto vari rapporti artistici soprattutto con il pittore francese Renoir. Anna è un’artista affermata a livello internazionale. Molte infatti sono le capitali europee dove la Claudi ha esposto le sue opere: nel ’37 a Parigi, nel ’50 e ’53 a Roma, nel ’52 inviò a New York un gruppo di opere che vennero tutte acquistate da collezionisti. Negli anni seguenti tenne mostre anche ad Anversa, Zurigo e in altre città italiane ed estere. Inoltre opere di Anna Claudi figurano in collezioni pubbliche e private in Italia e altrove. Il clima familiare in cui il giovane Claudio nacque e crebbe era quindi ricco d’arte e di spirito imprenditoriale. Anche i suoi fratelli Dina, nata 17 dicembre 1915, e Vittorio, nato nel 20 novembre 1920, risentiranno di questo ambiente. Dina conseguirà l’abilitazione all’insegnamento per le materie artistiche, mentre Vittorio diverrà un noto e affermato medico-chirurgo, brevettando vari strumenti per l’innovazione sanitaria e costruendo unità chirurgiche mobili all’avanguardia (oggi montate ed utilizzate a scopi umanitari nella Repubblica Democratica del Congo). Vediamo quindi che l’estro può essere considerato il file rouge che accomuna questa famiglia. L’ispirazione, sia essa declinata in senso tecnico oppure artistico, è un fattore che permane costante sia nella prima sia nella seconda generazione della famiglia.
Terminati gli studi liceali a Perugia, Claudi era destinato a frequentare la Facoltà di Farmacia di Camerino, ma l’incontro con il professor Gaetano Chiavacci (originario di San Severino Marche e prossimo vicedirettore della Scuola Normale di Pisa) cambiò il suo destino professionale. Chiavacci parlò col padre di Claudio convincendolo a lasciare che il figlio affrontasse l’esame di accesso alla prestigiosa Scuola; nel caso di insuccesso, sarebbe diventato farmacista e avrebbe affiancato il padre nella gestione della locale farmacia di San Severino Marche. Claudi, vinto il concorso da convittore interno per la classe di lettere, entrò alla Normale nel novembre 1932, legandosi in salda amicizia con Dessi e Marletta. Appena cinque mesi dopo, tuttavia, ne venne espulso per una goliardata contro il regime fascista (aveva ammesso di aver partecipato in notturna alla celebrazione di goliardici funerali della libertà), insieme a Salari, Fradelli, Lo Bue e Pedrini. Si iscrive quindi all’Università di Firenze, dove redigerà una tesi sulla presenza del divino nella poesia di Giovanni Pascoli sotto la guida di Momigliano (di cui restano bozze autografe e dattiloscritte). Durante gli anni universitari partecipa alle attività delle “Giubbe Rosse”, in compagnia costante di Mario Luzi, Alfonso Gatto e Sergio Baldi. In questo periodo ha una relazione sentimentale con Imelde (Jim) Della Valle, allieva dell’orientalista Giuseppe Tucci e studiosa a sua volta delle culture orientali, nonché poetessa, che lo inizierà allo studio delle filosofie orientali. Chiamato alle armi nel 1937-38, Claudi frequentò il corso di allievi ufficiali di Salerno. Dopo l’Università si mantiene, finché la salute glielo consente, insegnando nei licei vicino Firenze, a Sassari e Macerata; nel 1939 nella città marchigiana viene accusato da tre vescovi di insegnare principi in contrasto con la confessione cattolica; di lì a poco contrae la TBC che non riuscirà mai a curare e che, ricomparsa nel 1957, lo costringerà a continui ricoveri in cliniche e sanatori. Dopo la guerra raggiunse parte della famiglia trasferitasi definitivamente a Roma, dove frequenta i maggiori intellettuali ed artisti dell’epoca, impegnandosi come critico d’arte e di letteratura. Fra i più assidui frequentatori del salotto di casa Claudi, animato dalla madre Anna, si annoverano Sante Monachesi e Sebastiano Carta che lo cita in una poesia dedicata a Corrado Cagli: «A quei tempi andavamo con Claudio e Piero / A scoprire un’infanzia oltre i cieli e il vento. / Era la nostra inconfondibile voce». Agli anni Quaranta risale la sua unica opera stampata in vita, una plaquette di riflessioni filosofiche intitolate Lettere tibetane, che hanno tiratura limitata e diffusione privatissima. Nel 1954 riceve un rifiuto da Renato Solmi direttore dell’Einaudi per una raccolta del medesimo tenore, il che lo induce a rinunciare per sempre all’impresa di pubblicare. Nel 1957 l’aggravarsi delle sue precarie condizioni di salute gli impedisce di svolgere qualsiasi attività, spingendolo in un isolamento psicologico profondo e costante, rotto appena dalla cura familiare e dall’attenzione dei sopravvissuti rapporti con gli antichi amici cultori di poesia. Morì il 2 maggio del 1972 dopo anni di sofferenze e malattia, testimoniati nell’amarezza dei racconti e nel lirismo delle sue poesie. All’indomani della sua morte, viene pubblicata la plaquette Omaggio a Claudio Claudi poeta che raccoglie pensieri e ricordi degli amici Werther Angelini, Rosario Assunto, Guglielmo Cascino, Nicola Ciarletta, Libero de Libero, A. G. Ferrara, Jean-Claude Ibert, Leo Magnino, Paolo Marletta, Ercole Patti, Guglielmo Petroni, Marino Piazzolla, Leonardo Sinisgalli, Giuseppe Tucci. Nel 1973 Giacinto Spagnoletti cura, con profonda stima ed affetto, l’antologia di poesie (composte dal Claudi fra il 1950 e il 1968) intitolata Poesie editata dalla Rebellato di Padova.
Da queste notizie bibliografiche risulta arduo comprendere ed esporre il suo pensiero. Questa difficoltà è ulteriormente complicata dalle tradizioni filosofiche che alimentano il pensiero di Claudio, culture e tradizioni poco conosciute o distanti dalla “nostra cultura occidentale”. Egli infatti attinge a piene mani dalla cultura taoista ed è facile ritrovarne alcune immagini nei suoi scritti. Questo emerge immediatamente dai titoli degli scritti fin qui citati come Anatra Mandarina e Lettere Tibetane. L’apertura di queste opere è affidata alle citazioni di proverbi e massime di antichi testi cinesi. Oltre alla tradizione orientale, il pensiero del Claudi ha una profonda connessione con la cultura filosofica del 1400 e del 1500. Mediante tale confronto, egli cerca di raggiungere nuove piste filosofiche attraverso uno studio approfondito dei prodromi della scienza, quando la differenza tra magia e scienza non era ancora così netta e delineata. Il richiamo alla magia operato dal Claudi va inteso come antidoto alle riduzioni materialistiche di matrice scientista più che come passione per l’esoterismo. Nel concetto di magia egli cerca una concezione non meccanica dell’essere, ma “in divenire” e olistica. In questo passaggio dell’Anatra mandarina è possibile assaporare il pensiero del Nostro, nella sua interdipendenza da queste tradizioni:
“Considerate l’unità cosmica. Nulla c’è che non sia in strettissima correlazione con il resto del cosmo, e nulla c’è che non sia vivente, in movimento. Ogni nostra azione atto o pensiero si ripercuote nel cosmo, armonizzandosi o meno, rientrando comunque nella sua misura del processo vivente universale. Di modo che noi possiamo e dobbiamo considerarci sempre responsabili di fronte alla vita. E consideriamo che tuttavia, per quanto si possa immaginare che nella vita lottino forze contrarie diverse ed antagoniste, nel suo complesso, quanto è dato sapere, l’universo procede verso forme superiori, sì che possiamo pensare che le volontà positive della creazione danno in definitiva l’orientamento dell’esistenza, che la tenebra, il non essere, il male possono prevalere solo temporaneamente dissolvendosi infine di fronte a ciò che è. Nella sua totalità, dunque, un ritmo creativo, poiché un’esistenza che si muove realizzando il suo fine, attua un movimento unitario, “un’unità in movimento”, che appunto è il ritmo. Ritmo e cosmo sono appunto la stessa cosa.” (Anatra Mandarina, p. 81)
L’immagine del Tao, formata dello scontro tra gli opposti yin (nero) e yang (bianco), emerge sullo sfondo come un grande affresco in cui è possibile rintracciare le coordinate per comprendere il resto del suo pensiero. Da questo passaggio, infatti, emerge una realtà che si sviluppa e si crea dallo scontro tra gli opposti, dove al termine del processo di dissolvimento si afferma comunque l’essere. Il non-essere, il male sono momenti di un’incessante tensione che vede come affermazione finale l’Essere. A questo passaggio dell’Anatra fa eco la citazione di un antico codice cinese posta come overture alle Lettere Tibetane:
“Caratteristica della creatura è il movimento, del creatore l’immobilità; di modo che la suprema stasi s’identifica con la suprema potenza. Dall’immobile il mobile come dal nulla il mondo. – Creatore è per tutto questo ciò-che-non-è. Se fosse ciò-che-è, noi lo potremmo conoscere.” (Lettere Tibetane, p. 167 in Anatra Mandarina)
Nelle Lettere Tibetane si è trasportati, rileva Rosario Assunto, in un’aria cristallina e leggera, in una zona dove è possibile che l’essere e il non essere, in quanto categorie, siano dominati dall’alto di un pensiero che sta oramai più su delle proprie stesse categorie, e si è identificato con l’Essere in una assolutezza per la quale lo stesso dire “essere” è poco, perché “essere” è ancora una categoria, mentre il luogo delle Lettere Tibetane di Claudi si situa (e ci situa, se lo raggiungiamo) al di là – non al di qua, come vorrebbero i teorici dell’esperienza antepredicativa – di ogni riflessione categorizzante l’essere come proprio contenuto. (Immagine di Claudio Claudi, poeta p. 9 in Anatra Mandarina)
La sua è una poesia che vuole spingersi verso la radura dell’Essere, cercando una poetica che abbia il coraggio di ricercare un linguaggio che non tenda ad entificare ma a ridestare l’attrattiva per l’Essere. Non quindi un pensiero che parli delle cose alle cose, ma che dalle cose giunga alla Cosa.
Questa ricerca costante, propria di uno spirito mai domo, non avviene in astratto, non nasce per semplice vezzo artistico. Come per Leopardi l’esperienza del “natio borgo selvaggio”, da lui definita come “tomba de’ vivi”, è necessaria per riscoprire le ampiezze infinte a cui tende il cuore umano, così è per il Claudi l’esperienza della malattia. L’esperienza del dolore e dall’impotenza forgiano il suo spirito cosicché il pensiero possa entrare nella vita senza ridurla a concetto.
Nell’ultima fase della vita, quando la malattia sarà sempre più forte e dolorosa, ne emergerà una poetica indirizzata ad un nichilismo cosmico, totalizzante. L’uomo è chiamato ad accettare stoicamente la prova, afferma Cristina Ubaldini, come un guerriero mitologico cui non può perdere perché l’essere tende sempre alla composizione: le traversie accidentali del singolo sono necessarie per il completarsi dell’opera finale. (Cfr. C. Ubaldini, La poesia di Claudio Claudi, p.201). La sua poesia può essere quindi considerata elitaria ed aristocratica; affermazione che viene confermata dall’apertura di Anatra Mandarina sotto il segno di Nietzsche: «Nietzsche affermava di aver appreso molto dal Leopardi. Sono in realtà i due più orientali scrittori europei dei nostri tempi» (Anatra Mandarina, p. 17).
Tuttavia, come afferma Paolo Marletta,
“nelle poesie prevalgono l’amarezza, il confronto ostinato – a cui la lunga malattia lo costringeva – con il Mistero impassibile, e il dolore di non potervi intravvedere […] nessun barlume. Così ogni suo verso è scaturito da una sofferenza accettata sino in fondo, da un dolore spremuto sino alla feccia. A quel dolore si accompagna una robusta vena di canto dove non c’è posto per l’elegia, per la commiserazione di se stesso, per la carezzevole richiesta d’un conforto.” (Paolo Marletta, Omaggio a Claudio Claudi, p. 25)
Addio, sogno della mia vita, addio
L’albero sciolse le foglie
al vento impietoso dell’autunno.
Addio, luce fuggente, addio.
E tu, tenero volto, gli occhi tuoi non volgi
più alla mia ombra, né la tua voce odo
per mia speranza chiamare più il mio nome.
Addio. Ora volge il destino. La tua mano
chiude il messaggio estremo, sigillato
il labbro al segreto. Addio,
più non udrai le grida di gioventù
più il sole non schiuderà gli abissi
bianchi della sua gioia. Ombra straziata
addio, per la tua pace un giorno
sopra al pianeta non sorgerà l’aurora.
Come poi emerge in questi altri versi:
La cella della morte ora attende, l’ultima, la più buia,
La più fredda e triste. L’impossibile boia
attende all’ultima soglia
Nonostante il pessimismo cosmico permei l’opera del Claudi, vogliamo concludere con due brevissimi aforismi dell’Anatra mandarina, lasciando al lettore l’arduo compito di giudicare una figura ancora tutta da scoprire; il nostro era solo quello di raccontare o tutt’al più di manifestare:
“L’unico modo di rispettare l’uomo è di vedere in esso una reale essenza divina, l’unico modo di amarlo volere che questa essenza si manifesti.” (Anatra mandarina, p. 32)
“Una sola passione è rispettabile: quella della verità.” (Anatra mandarina, p. 32)
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Ecco i recapiti per rimanere in contatto con la Fondazione Claudi e per seguire gli eventi in programma per la stagione 2014:
il sito http://www.fondazioneclaudi.it
la pagina di fb https://www.facebook.com/pages/Fondazione-Claudi/194818803949034
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