di Luca Badaloni
La figura del pellegrino è di certo una di quelle imagines mentali che attraversano il pensiero umano fin dall’alba dei tempi. A partire dalle mitologiche peregrinazioni di Odisseo per tutto il Mediterraneo, fino alle più moderne forme derivate dall’evoluzione tecnologica. Il pellegrinaggio come forma di ricerca, coincide, in alcune delle sue tipologie, anche con il tormento e il dolore fisico; una sofferenza di tipo profondamente intimo che coinvolge in primis lo spirito. Si potrebbe pensare a primo impatto che il pellegrinaggio sia qualcosa che coinvolge soltanto i religiosi, ma è sicuramente una conclusione erronea. Esistono viaggiatori che attraversano continenti e paesi per visitare un preciso luogo e non sono affatto religiosi; anche se essi mantengono gli stessi connotati che caratterizzano quel moto di tipo cristiano, islamico o di qualunque altra religione. Già gli antichi greci conoscevano queste pratiche ed in particolar modo interessavano Delfi ed Olimpia, due luoghi simbolo dell’intera tradizione greco antica; questi primi itinerari religiosi si sono conservati nella loro manifestazione oracolare, con gli inni orfici o grazie alla filosofia oscura di Eraclito. L’impatto decisivo è sicuramente dato dall’avvento della religione cristiana prima e poi islamica, le quali creano i presupposti necessari per la canonica figura del “pellegrino”.
I tipici luoghi di culto presi maggiormente in considerazione non hanno certo bisogno di ulteriori presentazioni a causa della loro grandissima notorietà, basta citare: Roma, Gerusalemme, La Mecca o il santuario di San Giacomo di Compostela. La letteratura ha subito preso di buon occhio questi pellegrinaggi, a partire da quelli guerreschi, dove il viaggio spirituale sembra cadere quasi in secondo piano rispetto all’aspetto militare come avviene nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. D’altra parte esiste anche una sorta di pellegrino “metafisico”, quello interiore; la cui modernità non viene mai meno; dove la poesia della Divina Commedia dantesca l’ha reso definitivamente immortale. Di stampo sicuramente più vicino alla sensibilità contemporanea sono i racconti boccacceschi, narrati dal punto di vista di pellegrini, che propose Geoffrey Chaucer nella seconda metà del quattordicesimo secolo, ovvero The Canterbury Tales. Proprio il famoso poeta inglese, deforma la figura originaria, pura, per proporne una “macchietta”, la quale funge da collegamento per un’accusa di carattere socio-politico, ovvero la corruzione umana.
Quando le crociate giungevano alla loro conclusione e l’idea di guerra santa andava scemando in favore di guerre economiche, il pellegrino come simbolo di ascesi mistica rimane forte e vero cardine irrinunciabile del fervore cristiano e vanno in particolar modo ricordati i mistici tardo-medioevali e rinascimentali. Essi costituiscono una linea filosofica che dai pensatori neoplatonici cristiani, attraversa il medioevo ed in particolar modo Meister Eckhart e Giovanni Taulero, per poi arrivare ai più moderni Tommaso da Kempis, Giovanni della Croce, Jakob Böhme ed Angelo Silesio. Questi grandi filosofi hanno mantenuto a livello contenutistico la vera essenza e spirito del pellegrinaggio: quello interiore. Al di là della mera processione fisica, essi compiono un viaggio con l’anima, alla ricerca di tutti possibili contatti(limiti?) con il divino e raggiungono solo tramite l’ascesi mistica.; basta ricordare alcuni passi della grande opera Il Pellegrino Cherubico: “Dov’è la mia dimora? Dove non siam nè io nè tu / Dov’è il mio fine ultimo a cui devo giungere? / Dove nessun fine si trova. Ove dunque mi volgerò? / Ancora oltre Dio, a un deserto, devo tendere.”. Proprio in questo nodo concettuale viene a galla il collegamento fondamentale tra lo spirito analitico e la fede, tra il pensiero greco ed il pensiero ebraico-cristiano; con tutte le contraddizioni insite in questo epicentro filosofico dell’intera storia occidentale.
I mistici pongono in risalto, l’annullamento di sè nei confronti dell’immensità divina, rispecchiantesi in un platonico “distaccamento” dall’aspetto terreno della vita; alcune delle caratteristiche peculiari del pellegrino così si rispecchiano tranquillamente. Basta ricordare tutte le pratiche di autoflegellazione, di sofferenza, martorianti di origine medioevale che ancor oggi non vengono meno, ma che mantengono vivo lo spirito di demistificazione corporea che permane nell’origine neoplatonica del pensiero religioso occidentale. Così come il viaggio dell’animo umano non può avere mai fine, per quanto ripetitivo possa sembrare, così allora non ha nemmeno fine la modernità del pellegrinaggio. Esso quindi trascende facilmente il confine del prettamente religioso e sconfina nel laico con forza travolgente ed in particolar modo è l’intero movimento romantico a far propria questa figura religiosa per poi infine di nuovo trasformarla. Si arriva così al bohémien del decadentismo e dell’arte novecentesca. Questa metamorfosi alla fine si rivela qualcosa di puramente esteriore, qualcosa che non mina la fede fondamentale che si nasconde dietro al viaggio spirituale. Il pellegrinaggio si è fatto titanismo e la sublimazione che ne deriva, porta alla creazione di veri e propri capolavori artistici. Nella musica come non si può ricordare il continuo struggimento interiore del protagonista della Winterreise di Schubert: “Quando l’erba vuole spuntare/ al soffio di un vento tiepido/ il ghiaccio si fa a pezzi/ e la morbida neve si squaglia./ Neve, tu sai come mi struggo, /dì, dove va il tuo cammino?/ Segui le mie lagrime,/ ti convoglierà presto il ruscello.” O ancor di più rendono l’idea, i paesaggi desolati e desolanti del fin troppo noto Viandante sul mare di Nebbia di Caspar David Friedrich. Il tema divino è traslato e si fa contatto con la natura e così entra in gioco l’idealismo tanto caro all’epoca “classica” della filosofia tedesca. Emblematico è il Der Wanderer di Hölderlin:
“Natura dei miei posti, rimasta fedele, che accogli
il fuggiasco, premurosa come un tempo!
Ancora peschi in rigoglio e i tralci preziosi che crescono,
graditi come un tempo, alla mia finestra:
e il rosso seducente dei frutti del dolce ciliegio,
i rami che ricchi si offrono alla mano che coglie,
il sentiero suasivo che chiama alla frasca infinita
del bosco, dal giardino, o giù dov’è il ruscello.
Sole del mio paese, ancora fai rossi i sentieri,
e la luce ai miei occhi scalda e gioca!
Io bevo fuoco e anima al calice della tua gioia
e per te questo capo annoso non s’addormenta.
A te che mi destasti dal sonno infantile e più oltre
e più alto mi spingevi con un dolce potere,
più mite sole, ritorno più fido e più savio
per essere sereno e riposare tra i fiori.”
Questa visione idealistica di stampo tipicamente romantico, si perpetuerà per tutta la storia della letteratura mondiale e si possono citare numerosi esempi, a partire dalla particolarissima accezione filosofica dello Zarathustra di Nietzsche, passando per le peregrinazioni psicologiche dei personaggi Dostoevskiani, o le afflizioni novecentesche del grande Bardamu di Viaggio al Termine della Notte. Il nocciolo fondamentale, ovvero “Il Pellegrino” mostra la sua costituzione apparentemente malleabile, che ha visto varie manifestazioni nella storia. L’ultima vera figura, non religiosa, che incarna il viandante spirituale, sono stati i ragazzi della “Beat Generation” o i cosìdetti “Hippie”. Basta ricordare i noti viaggi per la California, o la grande meta indiana di Goa. La letteratura ha fatto propri anche questi viaggi deliranti, narrati da Ken Kesey in Sometimes a Great Notion o da Kerouac in On The Road; dove la meta sfuma a favore della ricerca del sé. Così sembra che si ritorni proprio dove tutto ebbe inizio con la famosa, ΓΝΩΘΙΣΑΥΤΟΝ “Conosci te stesso” del Santuario di Delfi. Ci si può naturalmente chiedere se il pellegrinaggio altresì non sia un qualcosa di connaturato all’animo umano, qualcosa che si manifesta in ogni popolazione e non sia un’esclusiva delle civiltà occidentali e mediorientali. Ovviamente la risposta è negativa, visto il grandissimo quantitativo di popolazioni che compiono comunque queste ricerche spirituali collegandole spesso con viaggi. L’antropologia in questo caso viene in aiuto alle domande che aleggiano attorno alla figura del pellegrino e tutto l’universo che lo circonda. Come appunto fa notare l’antropologo Victor Turner a proposito: “Come possiamo vedere, le condizioni ottimali per il fiorire di sistemi di pellegrinaggio di questo tipo, sono società basate principalmente sull’agricoltura, ma con un avanzato grado di divisione nell’artigianato, con regimi politici patrimoniali e feudali, con una ben marcata divisione tra urbano e rurale, ma, principalmente, con un limitato sviluppo industriale”. Le comunità caratterizzate da credenze religiose e fondate sulla fissità abitativa, mirano a una morale di tipo bergsoniano, quindi aperta. L’aumento delle capacità intercomunicative umane, ha concesso un ampliamento notevole delle prospettive future dell’intera umanità, ma in senso opposto vengono recuperate altrettante tradizioni antichissime ed in primis il pellegrinaggio nel suo senso originario. Turner sottolinea come anche in civiltà orientali (Nord Cina) esistono queste concezioni religiose: hsu yuan, ovvero un viaggio devozionale verso il santuario di un dio, se questi ha esaudito una preghiera e il conseguente sacrificio, chiamato Huan Yuan. Nell’Islam, lo Hajj, assume toni più perentori, e così il pellegrino diventa obbligato nella sua pratica e entrano così in comunione “obbligazione” e “libera volontà” dell’atto religioso. A questi si devono aggiungere i motivi storici che hanno permesso, grazie ai pellegrinaggi, di aprire vie commerciali tra Europa ed Asia che hanno garantito il benessere di entrambi durante tutto il medioevo e il rinascimento.
Il Medio Oriente ha fatto propria la figura del pellegrino, in maniera ancor più forte dell’occidente, garantendosi, proprio grazie a questa figura, un’unità cuturale-religiosa dalle matrici fortissime, oltre che ad un dominio economico, proprio grazie alle rotte dei pellegrini. Turner continua sull’argomento: “Tendo a considerare il pellegrinaggio come una forma di istituzionalizzazione o simbolica o anti-strutturale (o forse meta-strutturale) che succede ai maggiori riti d’iniziazione d’età puberale nelle società tribali, come forma storica preponderante. Essa è l’ordinata anti-struttura della società patrimoniale-feudale. Essa è infusa di volontarietà, anche se non è indipendente da una strutturale obbligatorietà. Il suo limite va più lontano dei riti d’iniziazione e produce nuovi tipi di liminalità e comunità secolari.”. Turner elenca luoghi di culto presenti in Africa e contesi da tempi molto antichi e come essi siano mete di pellegrinaggi caratteristici. Anche il Messico, con la Nostra Signora da Guadalupe, esistono veri e propri santuari visitati da migliaia di persone anche se essi si concentrano principalmente attorno a grossi agglomerati urbani, cosa che invece differisce dall’Europa o dall’India, dove le mete sono in luoghi extraurbani o presso piccoli centri. Questa distanza fisica dei luoghi di culto rappresenta lo stato di liminalità dei riti di passaggio ancora presenti in Africa, ora sublimato dalla cultura europea. Turner getta un’occhiata che abbraccia l’intera storia culturale mondiale e specifica: “I pellegrinaggi sembrano essere di riguardo a pellegrini autocoscienti, come occasioni nelle quali la comunità è esperita e il viaggio è come una risorsa sacra della società; dove la peregrinazione è anche vista come una risorsa di guarigione e rinnovo. Dove le ultime sono anche osservate come una risorsa di guarigione e rinnovo. In questo modo di pensare, anche la salute e l’integrità dell’individuo sono indissolubili dalla pace e dall’armonia della comunità: solitudine e società cessano di essere antitetiche.” Insomma, il pellegrino trova quindi nella propria pratica, una nuova tipologia di morale e di società, fraterna ed onnipresente; egli inoltre entra anche in una dimensione temporale nuova, poichè egli non è più coinvolto nella trama storico-sociale, ma anzi ne esce in favore di una di stampo religioso. D’altra parte, così come l’etica protestante ha contribuito ideologicamente allo sviluppo del capitalismo, le vie dei pellegrinaggi, con i loro grandissimi interessi commerciali, hanno permesso economicamente lo sviluppo dei mezzi del capitalismo stesso. Victor Turner allora arriva ad una conclusione: “Il pellegrino diventa sé stesso un simbolo totale; ovvero, un simbolo di totalità, ordinariamente egli è incoraggiato a meditare come egli peregrina verso gli atti altruistici e creativi di santi e divinità, le quali reliquie e immagini formano l’oggetto del viaggio.” La ricerca di un’esistenza sacra che mira al raggiungimento di un’unità tra corpo e anima, è quindi lo scopo finale “platonico” di colui che compie il viaggio religioso. Vanno quindi considerati gli svariati aspetti che si convogliano attorno a questa figura umana dal sapore così medioevale e così religioso.
Il Pellegrino si presenta come un qualcosa di apparentemente antico, qualcosa che in realtà coinvolge una dimensione molto più profonda e moderna della psiche dell’uomo: il viaggio. Quest’ultimo è la base ideologica che fonda il pellegrinaggio, soprattutto nella sua forma di “ricerca” spirituale. Lo sviluppo della tecnica e della scienza ha permesso un enorme ampliamento delle capacità intercomunicative umane, e di conseguenza della sua capacità di viaggiare sia ideologicamente sia fisicamente. Questa espansione tecnologica ha coinvolto così anche “Il Pellegrino” rendendolo protagonista dello sguardo destrutturante della macchina da presa e scindendolo in due parti tra loro antitetiche, ma che compongono insieme lo spirito umano. Il cinema ha assorbito in molteplici forme la figura del viaggiatore, così come ha fatto la letteratura o altre arti figurative, ma sono due i casi tra loro opposti, ma che se riproposti sotto un occhio attento contribuiscono a capire che essi fanno parte di una stessa medaglia.
Nel film “i Racconti di Canterbury” di Pier Paolo Pasolini, che si attiene strettamente all’originale di Chaucer, emerge una psiche umana interamente votata alla bassezza morale, una vera e propria grettezza spirituale che coinvolge tutte le classi sociali ed intacca inesorabilmente anche la spiritualità stessa. Ciò che ne viene fuori è una caricatura ridicola, ma che viene all’ultimo salvata, grazie al distacco critico che la risata suscita nello spettatore. L’uomo con i suoi vizi, altro non fa, che mostrare il suo lato più umano. Pasolini quindi si distacca dalla concezione strettamente bergsoniana del riso per approcciarne una di tipo diverso; la risata diventa qualcosa che rettifica la natura umana. Nell’ottica pasoliniana, il pellegrino diventa un viatico boccaccesco dei grandi difetti umani, così proletari ed umili quanto aristocratici, una sorta di riproposizione post-moderna resa ancor più caricaturale e grottesca dell’opera originale di Chaucer. Qualcosa di completamente diverso è stato proposto da Werner Herzog nel suo mediometraggio “Pilgrimage”. Egli ritorna così come Pasolini, alle origini, ma riporta in vita, la dimensione seria, quasi seriosa del pellegrino e ancor di più riporta in vita la sua dimensione tragica e sofferente. Herzog getta una luce del tutto mistica nel complesso intreccio umano chiamato “pellegrinaggio”, egli lo rende di nuovo medioevale, lo trasforma nella fede assoluta e nella sofferenza che comporta intraprendere il viaggio fideistico, poiché questi sono aspetti centrali ed irrevocabili della religione. Sembra che tutto si possa giocare in quest’antitesi, tra Pasolini ed Herzog, tra modernità e medioevo, dove il pellegrinaggio mostra il suo vero volto; la ricerca per trovare una fede, sia essa metafisica o meno. Ad ogni modo, anche “il pellegrino” ricade nella sua necessaria umanità, con i suoi punti tragici ed i suoi risvolti comici. Non è difficile comprendere come una tale figura sociale sia ancor oggi presente nel mondo contemporaneo e che essa meriti una trattazione filosofica di maggior profondità; essa non va soltanto letta nel suo “risvolto” sociologico, ma vanno anche ricercate le cause che portano tante persone a cercare la fede nel viaggio spirituale.
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Bibliografia
Friedrich Holderlin, Le Liriche, Adelphi Edizioni, Milano, 1993
Victor Turner, “The Center Out of There: The Pilgrim’s Goal”, in History of Religions, Vol.12, Nr.3 (Feb., 1973)
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