“Da una finestra”… Sirolo

La soglia di un sogno

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SCARABICCHI

Francesco Scarabicchi

di Francesco Scarabicchi

Prima ancora che un luogo della costa adriatica e del Cònero, Sirolo è la soglia di un sogno di luce calcinata e morbida, una provincia del vento cui si accede con la civile discrezione che ogni frammento della bellezza del mondo domanda. Qualunque sia la stagione che abita fra le sue mura e le sue vie, l’umile dignità aristocratica del paese non muta, sebbene il sole estivo incendi le pietre e releghi le ombre nell’odore delle vene dei vicoli. Raggiungerlo d’inverno, sotto il cielo di nuvole in transito o ferme come convogli senza ora, significa varcare il confine che lascia, in un certo senso, il mondo oltre la frontiera del Monte per camminare lungo la Via Giulietti come in una sorta di corridoio che guida verso l’isola immobile del centro, dal belvedere che apre sul fianco del Cònero e sul mare per lasciare la Piazza del primo mattino nel silenzio colmo d’imminenze, tagliato da un’aria gelida e trasparente che sceglie il vialetto d’alberi fino alla prua di ringhiera dove si compie il mistero dello sguardo che non riesce mai a saziarsi e a contenere, da quell’altura, il bianco della pietra del Monte e la fitta macchia  verde che precipita sotto il piombo di nubi compatte senza pioggia. I passi lungo Corso Italia hanno lo stesso incedere di quelli perduti lungo una via del sud, quasi un frammento della Bari vecchia, un bagliore rapido nella memoria (al santo di quella città è intitolata la Parrocchia e la chiesa a croce latina con l’alto campanile bianco e cupola a cuspide) che la piccola Chiesa del Rosario cancella insieme con la porta medioevale sotto il cui arco gotico leggo la gran lapide che traccia i sentieri della  storia e lascia immaginare la memoria del vino delle vigne del tempo senza poter sapere com’era rispetto a questo che beviamo oggi, sogno d’oriente e vena dolce di una costa mediterranea e meridiana, color del sale e del sole quando la incendiano le siepi di ginestre. Sirolo è un nome che oscilla tra il condottiero al quale Belisario Imperatore, sconfitti i Goti, affidò il feudo nel 550 d.C. (Sirio) e, per me, la stella più luminosa della costellazione di Orione, quella del Cane Maggiore, l’ardente, la bruciante, conosciuta anche come Sothis, l’astro fondamentale del calendario egizio. A contemplare il candore del paese, quasi la luce dei millenni si fosse fermata nella materia calcarea delle pietre e la serbasse in eterno, meglio si intuisce quello splendore nel cuore della costa, quel salto interiore che, sulla curva, coglie chi, provenendo dalla strada del Cònero, scopre il miracolo incastonato, un’emozione che si rivela nell’evento imprevedibile e inatteso, come a me accadde, nel 1958, quando, con mio padre e mia madre, entrai in un mattino di giugno attratto dalla leggenda di Francesco d’Assisi che venne a parlare ai pesci del mare e nell’attuale Villa Vetta Marina, allora convento dei frati minori di Sirolo, piantò un ciliegio, l’albero di San Francesco, “a cento passi dal Castello”, secondo una cronaca del Seicento di Lukas Wadding.

Sirolo

Sirolo, “la perla dell’Adriatico”



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