di Giacomo Alessandrini
Jordan Belfort, apprendista broker per la società LF Rothschild, nel 1987 è costretto dal crollo della Borsa a trovare un nuovo impiego. Entrerà così a far parte della ciurma di una nuova “boiler room” di Long Island, all’assalto di nuovi titoli, alla scoperta di quel metodo di investimento che farà la fortuna del protagonista: il Penny Stock. Si tratta di titoli considerati a rischio altamente speculativo a causa della loro mancanza di liquidità. A differenza dei comuni titoli azionari, cui solo il-2% del costo per azione diventava contante nelle tasche del broker, i penny stock prevedevano addirittura un guadagno del 50% sul prezzo di vendita. E’ l’inizio di una inesorabile discesa agli inferi: sesso sfrenato, macchine di lusso e droga a volontà; “perché è così che si gioca”, lo istruisce il suo ex datore di lavoro e broker d’avanguardia (Matthew McConaughey). Se vuoi rimanere vigile e in sella al sogno americano la soluzione è una sola: cocaina. Jordan, in breve tempo, diventerà il “lupo di Wall Street”, l’antieroe maledetto braccato dall’FBI; l’osannato e odiato genio del male di cui tutti parlano.
L’ormai consolidata unione tra Martin Scorsese e Leonardo Di Caprio porta in sala un altro capolavoro, diretto in maniera magistrale.
Tre ore di ordinaria follia, tra fughe di capitali in Svizzera e abuso di droghe. L’attore hollywoodiano, accompagnato da un cast d’eccezione, fa suo quel personaggio a tinte fosche, portandolo a livelli di recitazione da Oscar. Il regista italoamericano, autore di numerosi capolavori quali Taxi Driver, Cape Fear, Fuori orario e Toro Scatenato (per citarne alcuni), subisce il fascino della Wall Street sporca, decide di “entrare” nel romanzo autobiografico Belfort, scegliendo uno stile che ricorda – per tempi di ripresa e stile – il suo precedente Casinò.
Questa volta non abbiamo De Niro e Joe Pesci, o la bellissima Sharon Stone, ad accompagnarci in un’orgia di immagini al limite del pittoresco, bensì attori inusuali per il taglio cinematografico (escluso ovviamente l’attore protagonista), bravissimi nel completare il mosaico. Troviamo il “redento” Matthew McConaughey che, dall’ultimo film di William Friedkin (Killer Joe, 2011), non sbaglia più un colpo; un giovanissimo Jonah Hill, cresciuto a pane e commedie (Suxbad, Walk Hard), ora co-protagonista e braccio destro di Jordan; Jon Bernthal, l’irriducibile Shane in Walking Dead e Joe Teague nel recente Mob City di Frank Darabont, ora spacciatore e uomo d’affari in preda a violenti scatti d’ira; da segnalare anche un cameo di Shea Whigham; e tanti, tanti altri.
Terence Winter, sceneggiatore di serie televisive del calibro di Boardwalk Empire e The Sopranos, crea un quadro di personaggi burleschi a cui è difficile non affezionarsi, con dialoghi e situazioni grottesche al limite della decenza; sarà in gran parte sua la “colpa”, se i ragazzi di Hollywood porteranno a casa la statuetta quest’anno. Eccellente anche la fotografia, a firma di Rodrigo Prieto.
Insomma, siamo disposti a scommettere sulle sorti di questo film. E ben disposti a suggerirvi di non lasciarvelo scappare.
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Noioso e vecchio. Un’ora in meno forse l’avrebbe reso accettabile. Scorsese non ama la sintesi e confonde chiarezza con lunghezza. La musica usa oramai poche note, la pittura pochi segni, ma Sorsese non può dimenticare la sua indole barocca.