I dati dell’indagine trimestrale “Giuria della Congiuntura” di Unioncamere Marche, tra aprile e la fine di giugno, segnano in calo del 3% della produzione industriale, mentre il fatturato è sceso del 3,9 per cento e gli ordinativi del 3,7. Stabile il fatturato estero (0,1) che nei trimestri precedenti era sempre cresciuto. Note positive non sono previste prima dell’inizio del prossimo anno.
Il 27 per cento degli imprenditori marchigiani intervistati da Unioncamere si aspetta per la fine di settembre un ulteriore calo della produzione, mentre il 29 per cento prevede che diminuiranno anche fatturato e ordinativi. Gli ottimisti, ossia coloro che si aspettano per la loro azienda un pur lieve aumento di produzione, fatturato e ordinativi non superano il 12 per cento mentre per il 60 per cento non cambierà nulla. “La prudenza e la cautela dei nostri imprenditori – commenta il presidente Unioncamere Marche Adriano Federici -sono dovuti soprattutto alla debolezza della domanda interna, mentre tra le imprese esportatrici soltanto il 12 per cento teme di veder diminuire gli ordinativi esteri e 18 imprese su 100 prevedono un aumento dell’export. Quello che il sistema produttivo si aspetta dalle istituzioni nei prossimi mesi sono provvedimenti capaci di rilanciare i consumi, riducendo il prelievo fiscale su imprese e lavoratori”. Intanto l’andamento della produzione industriale ha fatto registrare l’ottavo trimestre consecutivo di recessione.
Da giugno 2011 il sistema produttivo marchigiano non cresce più. Da due anni sono in calo anche fatturato e ordinativi. Nel secondo trimestre 2013, secondo la “Giuria della Congiuntura”, la produzione industriale ha perso il 3 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente mentre il fatturato è sceso del 3,9 per cento e gli ordinativi del 3,7 per cento. Si ferma anche al corsa del fatturato generato dagli scambi con l’estero, rimasto sostanzialmente invariato (+0,1) mentre nei trimestri precedenti aveva sempre mostrato segnali di crescita. Ad andar bene sui mercati esteri rimangono l’abbigliamento (fatturato +4,4 per cento ) e la meccanica (+2,6) mentre gli altri settori perdono quote di mercato. A pagare il prezzo più alto della crisi sono ancora una volta le micro e piccole imprese dove la produzione è crollata del 5,2 per cento, con le imprese artigiane che hanno perso il 4,5 per cento. Soltanto le aziende di grandi dimensioni mostrano di avere ancora risorse per fronteggiare la crisi, con la produzione (-0,4) quasi allo stesso livello dell’anno precedente. Il calo di produzione, fatturato e ordinativi, nel secondo trimestre del 2013, ha colpito tutti i settori. Peggio di tutti vanno il calzaturiero (-5,3 la produzione e –4,5 il fatturato) e l’abbigliamento (-4,2 e –4,5) mentre il mobile tiene i livelli produttivi (-0,8) ma sacrifica il fatturato (-4,0). Perdite contenute per gli alimentari ( produzione giù dell’1,2 per cento) e la meccanica (-2,2). Le difficoltà del settore calzaturiero hanno penalizzato le imprese del fermano, che hanno perso il 4,2% dei livelli produttivi, e quelle maceratesi (-3,7%); per le altre province, il calo della produzione ha oscillato tra il 2 e il 3%, con perdite con perdite del fatturato anche superiori. Diminuendo produzione e ordinativi, le imprese marchigiane continuano a lavorare a ritmo ridotto, utilizzando gli impianti solo al 73,9% della loro potenzialità, contro il 74,1% del trimestre precedente. In ulteriore diminuzione anche le settimane di produzione garantite dagli ordinativi: 5,2 settimane rispetto alle 5,5 di fine marzo, ma per gli artigiani le settimane di produzione assicurata sono appena 3.
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ma come nn era finita la crisi?
va a finire che è vero che la crisi delle banche è colpa della crisi industriale…. o la crisi industriale è provocata dalla crisi delle banche??
Il lavoro si crea e la crisi si supera facendo le riforme che tutto il mondo ci chiede. Riforme liberali si intende e non altre ricette keynesiane che hanno portato l’Italia sull’orlo della bancarotta. Liberalizzazioni, privatizzazioni, riforma del mercato del lavoro rendendolo più flessibile sia in entrata che in uscita (se le imprese non hanno convenienza ad assumere, non assumono), taglio della spesa pubblica improduttiva, taglio altrettanto netto della pressione fiscale sia sulle imprese che sui cittadini, avviare una serie di grandi opere infrastrutturali, sburocratizzare l’economia, abbattere la durata dei processi. Il resto è tempo perso e significa buttare soldi pubblici per favorire i soliti noti.