“Moderni mattatoi culturali”

DAVOLI A MERENDA - Le associazioni sono state fatte languire fino a spegnerne come meglio possibile la voce

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di Filippo Davoli

Davvero in città non ci si annoia. Specie ora che finalmente sembra arrivata stabilmente l’estate. No: non per vivibilità assoluta e assolutamente ricca che il Signor Sindaco individua (deve trattarsi di proprietà dell’ufficio che ricopre, una sorta di grazia di stato che gli consente di vedere oltre le nebbie) e non smette di dichiarare ad ogni occasione (beh, se non altro ha cambiato il mantra, o quanto meno lo affianca all’altro celeberrimo del “non-ci-sono-i-soldi”: niente non è).

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Scoppia, nel frattempo, un’altra bombetta: che fare dell’ex-mattatoio? Massimiliano Bianchini ribatte sull’ipotesi di aprire un concorso per idee sulla destinazione d’uso dello stesso, con particolare riguardo alle diverse forme associative della realtà maceratese. Ovviamente – sa va sans dir… – la Giunta è di tutt’altro avviso: hanno sposato la linea dei musei, a cominciare da quello diffuso (formula magica per dire che l’antico che esiste basta di suo a far cultura e dunque non serve nient’altro). Un paio di giorni fa, il combattivo Bianchini usciva sulle colonne di un quotidiano per difendere il ruolo attivo delle associazioni nella crescita culturale del territorio: aveva ragioni da vendere. Non lo difende Filippo Davoli (ossia quello che pare non perda occasione per dare addosso all’amministrazione), bensì Jean Clair, che non è propriamente l’assessore alla cultura di Rocca Cannuccia (con tutto il rispetto per Rocca Cannuccia) e nemmeno il cronista svagato del foglio parrocchiale di Santa Cesarina (non so nemmeno se esista, una santa Cesarina…).
MUSEO DIFFUSO*
Scrive Clair nel suo ultimo libro, “L’inverno della cultura” (Skira, 2011), che musei ed esposizioni – senza l’anima degli artisti che li abitano (ancorché li abitino artisti degni di questo nome e non solamente amici degli amici che si spacciano per artisti, mentre gli artisti veri son fatti morire nella dimenticanza: lo dice Clair, ripeto. Non lo dice Filippo Davoli…) – sono solo luoghi di deportazione estetica o “moderni mattaoi culturali”. Della serie che, se annichilisci la vita culturale “quotidiana”, il museo rappresenta solamente una tomba.
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“Moderni mattatoi culturali”. Mai definizione più indicata: qui – con la faccenda del mattatoio di mezzo –  forse l’intenzione recondita è proprio quella di dare il colpo di grazia alla cultura, visto che le associazioni – che pure hanno tenuto in vita Macerata nei decenni trascorsi, ognuna dedita ad un campo e quasi tutte con grande professionalità; associazioni dove l’amatorialità spesso è stata semplicemente uno status di vita e non una qualità dei prodotti e delle proposte; le associazioni, dicevo, sono state fatte languire fino a spegnerne come meglio possibile la voce (naturalmente, mi riferisco a quelle senza altre bandiere che non la propria storia e la propria attendibilità: quelle “targate”, per così dire…, uno spazio ancorché minimo lo trovano ancora).
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Allettate con gli Stati generali della Cultura (nome sinistro che richiama alla mente Robespierre…), ossia con un caravanserraglio di non meglio chiarita funzione, han fatto loro sposare la dimensione dialettica allontanandole progressivamente da quella operativa: per un amante di Mina come me, una riedizione incarnata di un successo come “Parole parole”, ma ovviamente non basta. Mentre sarebbe stato bello – e vorrei dire opportuno – integrarle nel variegato calendario musiculturese, sferisteriale, museale, per fare di Macerata, per davvero, una città con una potente risorsa naturale in più. E se proprio non si avevano gli strumenti per giudicare la qualità delle proposte e cernitare le migliori, lasciare che fosse la piazza a dirlo, con il suo infallibile sesto senso. Cassarle a priori, in forza della povertà di cassa (che tuttavia si rimpingua miracolosamente per i grandi eventi…), assomiglia molto da vicino a un autogol.
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Penso a quanto potrebbe essere proficuo, ad esempio, lavorare a un cartellone di incontri sulla poesia, avendo alla porta a fianco nell’ex-mattatoio un’associazione che si occupa di musica e un’altra di letture teatrali. Quante occasioni in più potrebbero darsi? E anche quante chances di maturazione per tutti quanti, dalla contaminazione reciproca?
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C’è provincialismo nell’essere orgogliosi di vivere in una città con tante associazioni che organizzano cose? Forse. Ma chiedo: non c’è sufficiente provincialismo anche nel reputare che solo ciò che viene da fuori e magari fruisce di un bel bigliettone da visita mass-mediale valga la pena di essere preso in considerazione?
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Ad maiora.

 



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