Nell’anniversario della morte di Giacomo Leopardi

Due libri recenti cercano con stile e argomentazioni diverse di risolvere un enigma

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Donatella Donati

Donatella Donati

di Donatella Donati

Il 14 giugno del 1837  moriva a Napoli alle ore venti, nella casa di Vico Pero che condivideva con Antonio Ranieri, il grande recanatese. Alle cinque e mezzo del mattino successivo  i due fratelli minori di Ranieri  vanno a denunciarne il decesso nella sede del Circondario Stella all’ufficiale di stato civile. Questi si reca al numero due di Vico Pero e registra la morte di Don Giacomo Leopardi, conte di Recanati di 38 anni di età, ne avrebbe compiuti 39 il prossimo 29 giugno. Tutto qui. A rigor di logica,  in tempo di pericolosissima pestilenza,  avrebbe dovuto essere sepolto nelle fosse comuni del cimitero delle Fontanelle, ma le ipotesi più varie si sono succedute nel tempo sul  luogo della sepoltura e il destino dei suoi resti. Cerchiamo senza  pedanteria  di ricostruire la storia in base alle testimonianze e il primo a saperne qualcosa di più deve essere.  Antonio Ranieri che racconta nel famoso libro sul loro sodalizio di aver sottratto ai monatti il corpo dell’amico e di averlo fatto seppellire nella chiesa di San Vitale. Ma su di lui si sono appuntate gravi critiche per discreditarne la sincerità e la fedeltà accusandolo di tradimento per la citazione di episodi poco edificanti sul comportamento di Giacomo, con particolari giudicati malevoli.   Lo stesso suo discendente attuale, Pier Lorenzo Ranieri Tenti,  nella prefazione alle lettere di Giacomo ad Antonio da lui pubblicate,  ha affermato che in famiglia non si aveva buona opinione dell’ antenato. Fatto sta che per tutto l’ottocento San Vitale è stato meta di pellegrinaggi laici per onorare la memoria del  poeta  finché non si decise la riesumazione per il restauro del sepolcro. Fu una sorpresa trovare solo un femore lungo 45 centimetri, non di Giacomo perciò che era piccolo di statura, qualche frammento osseo e una pantofola sbrindellata. Fu messo tutto. Tranne la pantofola comprata da Beniamino Gigli, in una cassetta riposta nel  sepolcro restaurato e lì restò fino al 1939 quando  Mussolini  ne dispose la collocazione nella collina di Posillipo accanto alla tomba di Virgilio.

giacomo-leopardiDal duemila in poi sono successe le cose più strane. Prima un autore televisivo,  Silvano Vinceti, si è messo in testa di chiedere la riesumazione dei pochissimi resti per  il confronto del dna con quello di un discendente e avere così una prova definitiva. Nonostante le pressioni, il viaggio a Recanati per presentare il progetto, la richiesta ufficiale al Comune di Napoli, si ebbe l’indignato rifiuto della famiglia Leopardi, del direttore del CNSL Franco Foschi e dell’allora sindaco di Napoli  Rosa Russo Jervolino. Da allora però si è animato un interesse nuovo  sulla morte di Leopardi e sono usciti due libri recenti sull’ argomento, Un giallo a Napoli di Loretta Marcon e All’apparir del vero – il mistero della conversione e della morte di Giacomo Leopardi  di Marcello D’ Orta. Entrambi cercano con stile e argomentazioni diverse di risolvere un enigma da loro stessi in parte creato.  Intanto un noto romanziere francese, René de Ceccatty,  nel saggio-romanzo  Noir souci  si è fidato di Ranieri e nella  brillante interpretazione dei suoi rapporti con Leopardi ha parlato di “ perfetta amicizia”.



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