La lezione politica
del ragazzo di Princeton

La modernità del futuro, più moderna della moderna. Idee e fatti, “moralismo” e “immoralismo”

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liuti-giancarlodi Giancarlo Liuti

Se moralismo significa interpretare con astratti principi morali ogni aspetto della vita individuale e collettiva e porre la morale a giudice unico della storia, allora non sono affatto moralista. E sbaglia di grosso chi mi ritiene tale per certe mie considerazioni sulla grave crisi di eticità e legalità che caratterizza l’Italia degli ultimi decenni e minaccia di farla degenerare nella dantesca “nave sanza nocchiere in gran tempesta”. Quando, a proposito del passaggio, nell’idea di sviluppo, dal cemento alla green economy, ho cercato di porre in evidenza che esso ha poco da spartire con la morale ma dipende da fattori culturali, sociali ed economici che riguardano l’evoluzione del concetto di “bene comune”, intendevo dire che il cemento non è morale né immorale in sé, come non lo è la green economy, non lo è la globalizzazione e non lo fu la rivoluzione industriale del Settecento.

Ciò non toglie tuttavia che la morale – eticità, ripeto, e legalità – entri poi in campo allorquando certi  mutamenti  epocali vengono tradotti nel concreto delle singole situazioni e dei singoli fatti da coloro che nella società civile e nei poteri pubblici ne hanno la possibilità e la responsabilità. Per intenderci:  negli anni in cui il cemento – case, supermercati, capannoni – era considerato un primario fattore di progresso furono varati piani regolatori assai generosi nel consentire l’edificabilità di vastissime aree e ciò rispondeva a un’idea di sviluppo che poteva essere giusta o sbagliata ma non aveva nulla di immorale, mentre era decisamente immorale che un terreno diventasse indebitamente edificabile solo perché fra il suo proprietario e il soggetto pubblico estensore del piano regolatore era intercorso un oscuro rapporto di reciproca corruttela.

Lo stesso dicasi oggi per la green economy, che non ha nulla di immorale – anzi! – nel propugnare uno sviluppo più rispettoso della qualità della vita (la natura, il verde, le energie alternative, l’eolico, il fotovoltaico, il biogas) ma poi rischia di aprire varchi all’immoralità se nel concreto si lascia irretire dall’avidità di interessi individuali o di gruppo che nulla hanno in comune con la sua visione del mondo e addirittura la tradiscono. Tutto qui. E a chi finge di non capire questa distinzione attribuendomi la qualifica di ingenuo o ipocrita “moralista” rispondo che lui, al contrario, è un astuto e incallito “immoralista” immerso nell’ideologia ultradecennale del “fare da sé” e dell’arrangiarsi da soli, in adorazione dell’interesse suo particolare e in totale disprezzo dell’interesse generale.

Qualcosa del genere – osservavo la scorsa settimana – è capitato anche nel Pd maceratese, dove lo slogan caranciniano della “nuova storia” gli esponenti della “storia vecchia” l’hanno interpretato non come un segnale di passaggio fra due diverse idee di sviluppo – un passaggio sul quale apertamente e dialetticamente riflettere – ma in chiave di cieca , viscerale, astiosa e nascosta difesa dei casi di sospetta “immoralità” che pure ci sono stati in passato, così prescindendo  da un’oggettiva valutazione del mutare dei tempi e masochisticamente alimentando, nell’opinione pubblica, severe reazioni  di esclusivo carattere etico.

Già, interpretare l’evoluzione dei tempi. Non è forse questo il primo dovere della buona politica? Ebbene, se la politica non ce la fa, una lezione indiretta ma stimolante può giungerle da un ventiduenne americano che si chiama David Kong,  frequenta l’università di Princeton nel New Jersey (una delle più autorevoli a livello planetario, basti dire che c’insegnava Albert Einstein) e ha trascorso quattro settimane a Macerata grazie all’ottimo progetto “Summer school” voluto dal nostro ateneo. Ventidue anni, attenzione:  nuova o nuovissima generazione, quella che ben più delle precedenti è proiettata nel futuro e ne intuisce l’energia propulsiva.

Ma ecco la lezione. Venuto a contatto con la realtà maceratese, ossia di una città che molti dei suoi stessi abitanti considerano immobile, superata, paralizzata da retrogradi e sonnolenti costumi, questo geniale ragazzo di Princeton ne è rimasto a tal punto innamorato da dedicarle uno spontaneo ritratto video che nessuno gli ha chiesto o commissionato ma che sta facendo il giro del mondo.

DAVID-KONG-00Macerata non è abbastanza moderna? David Kong non la pensa affatto così. Forse, lui dice, è proiettata in una modernità che sta più avanti dell’attuale modernità. E ben più che nel suo video (l’immagine di corso della Repubblica con, sullo sfondo, la chiesa di San Giovanni, è il documento di una straordinaria bellezza antica ma, ripeto, più moderna della modernità), il suo felice sbalordimento l’ha espresso nell’intervista rilasciata su Cm a Filippo Ciccarelli (leggi l’articolo). Sentite: “Non volevo fare un video emozionante perché la cosa che più mi è piaciuta di Macerata è che essa non è emozionante, ma un luogo di pace, di semplicità, di vita tranquilla. La forza di Macerata, insomma, è la sua debolezza”.

E ancora: “Io vivo in un posto caotico come Princeton, dove si ha così tanto da fare che non ci si ferma mai a riflettere su come si vive, non si ha il tempo di rilassarsi e godere la vita, a me piace che a Macerata si dia valore a queste cose”. E ancora: “Credevo che Princeton fosse una università antica (1746, ndr.), ma ho scoperto che quella di Macerata (1290, ndr.) è tanto più antica ed è stato bello per me studiare in un posto che ha così tanta storia”. E ancora: “Qui ho scoperto la poesia, cosa che non avevo mai fatto prima di venire a Macerata”.

Tutto si può discutere, intendiamoci.  Anche quel po’ o quel tanto di sognante utopia che si nasconde nell’animo di David Kong. Ma le sensazioni di questo ragazzo di Princeton lasciano intravedere un’idea di sviluppo che, per l’appunto, allude a “nuove storie”. Senza alcuna demonizzazione moralistica delle “vecchie”, sia chiaro, e tuttavia aperte a una concezione della “qualità della vita” in cui s’affaccia una modernità più moderna della moderna, dove il benessere materiale – importantissimo, si badi bene – non è l’unico valore che conti  e dove, quando l’economia viene inquinata da ignobili traffici pubblici e privati, la morale – sì, la morale – avrà pure il diritto di ribellarsi contro il costume, tuttora diffuso, degli immoralisti di turno.



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