di Maria Stefania Gelsomini
Che succederebbe se la biblioteca più prestigiosa e fornita del nostro Paese, che so, poniamo la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, decidesse di stilare un elenco (piuttosto ristretto, non più di qualche decina di titoli) dei libri di autori nostrani più importanti in assoluto per la formazione degli italiani? Chissà mai quali ne farebbero parte, non è mica un’impresa facile scegliere fra centinaia di migliaia di opere pubblicate nel corso di vari secoli. In realtà un’operazione simile, seppur circoscritta nell’arco temporale, è stata tentata lo scorso anno al Salone del Libro di Torino per i festeggiamenti dell’Unità d’Italia: i 150 libri che hanno segnato la storia (unitaria), più o meno uno per anno, selezionati per la mostra “1861-2011. L’Italia dei libri” dal curatore Gian Arturo Ferrari, presidente del Centro per il Libro e la Lettura.
Ma attenzione, l’ipotetica ricerca non sarebbe rivolta all’individuazione dei libri più belli, dei capolavori conclamati, dei classici di tutti i tempi piazzati ormai di diritto nell’Olimpo editoriale. Anche di questi certo, ma non solo: il super-elenco dovrebbe comprendere piuttosto quei libri che in qualche maniera hanno plasmato idee, hanno influenzato costumi e indirizzato stili di vita, dettato mode, cambiato visioni e visuali. Sempre più difficile si dirà. Eppure l’America l’ha fatto. Mica Malta, Tonga o San Marino con tutto il rispetto, ma l’America! Quanti libri scritti da autori americani saranno stati pubblicati negli Stati Uniti fino ad oggi? Milioni, sicuramente. E allora avranno avuto il loro bel daffare e il loro gran discutere i curatori della Biblioteca del Congresso di Washington per compilare la lista degli 88 libri “che hanno fatto l’America”: romanzi di fama mondiale accanto ad opere sconosciute al di fuori dei confini statunitensi, o magari diffusissime alla loro epoca e ora dimenticate, raccolte di poesie, testi per il teatro, saggi, ma anche manuali d’argomento scientifico, linguistico, gastronomico, pubblicazioni illustrate per l’infanzia.
La Library of Congress è una delle istituzioni federali più antiche e venerande degli Stati Uniti, sorta nel 1800 sulla collezione libraria personale del terzo presidente Thomas Jefferson, collegata a filo doppio con il Governo e la sede del potere politico. E se non bastasse è anche la maggiore depositaria di conoscenza e di informazioni al mondo, e proprio qui, il 3 dicembre di quest’anno, verrà inaugurata in anteprima con un grande evento dedicato ad Amerigo Vespucci l’iniziativa “2013 – Anno della Cultura Italiana negli Stati Uniti”.
Tutti gli 88 volumi selezionati, con numerose edizioni originali provenienti dalla divisione Libri rari e Collezioni speciali della stessa Biblioteca, sono anche oggetto della mostra “Books that Shaped America”, aperta fino al prossimo 29 settembre nella Southwest Gallery del Thomas Jefferson Building a Washington, evento che dà avvio a una pluriennale Celebrazione del Libro che nei giorni 22 e 23 settembre vede in programma anche la dodicesima edizione del Library of Congress National Book Festival. Sì, ma con Macerata che c’entra? Un po’ di pazienza. La questione si fa interessante, e fa riflettere. Perché mentre l’ebook rosicchia a rapidi morsi ingenti fette di mercato, l’America ipertecnologica (che ne è la principale consumatrice), sempre attenta a preservare con orgoglio le sue pur relativamente giovani memorie, non commette l’imprudenza di dimenticare il valore del libro cartaceo, anzi lo festeggia con tutti gli onori. Insomma, rinsalda spirito e unione attorno alla letteratura celebrando i volumi più importanti della propria storia, riconoscendoli come pietre miliari della fisionomia d’una civiltà ma anche come oggetti di culto fisici, testimonianze concrete e preziose del panorama letterario a stelle e strisce.
Archiviata questa scoperta con piacevole stupore (che fa ben sperare chi continua ad amare il profumo della carta), nuove sorprese altrettanto piacevoli e altrettanto stupefacenti si avranno dando un’occhiata agli 88 libri. In effetti, a scorrere questa lista ci si spassa parecchio. È un po’ come imboccare una scorciatoia divertente per penetrare a fondo nell’anima americana, duecentocinquant’anni (dal 1751 al 2002) condensati in una manciata di righe.
Il primo salto sulla sedia e il primo tuffo al cuore arrivano allo spuntare di un titolo, “Common Sense” di Thomas Paine… ma allora è vero, da Washington a Macerata il passo è breve visto che l’edizione italiana, “Senso Comune”, l’ha stampata Liberilibri nel 2005. Pubblicato anonimo nel 1776 (lo stesso anno della “Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America”, redatta guarda caso dal futuro Presidente Thomas Jefferson di cui sopra, e pubblicata anche questa, guarda caso, da Liberilibri nella collana il Monitore Costituzionale) e distribuito per le strade di Filadelfia, questo pamphlet ha riscosso un successo clamoroso vendendo ben 100.000 copie solo in quell’anno. È addirittura lo scritto che gli studiosi definiscono il più efficace e decisivo per la storia d’America, avendo esercitato un’influenza fortissima sull’opinione pubblica delle tredici colonie tanto da indurre numerosi americani ancora indecisi a sposare senza esitazione la causa dell’indipendenza dall’Inghilterra e dell’opportunità (e fattibilità) della secessione. Maceratesi suvvia il sussulto è d’obbligo, è uno degli 88 libri che “hanno fatto” l’America, e l’ha pubblicato in italiano una casa editrice cittadina!
Una volta metabolizzata l’emozione si continua a leggere e accidenti, si incontrano ancora autori del catalogo Liberilibri, seppur presenti con altre opere. Come la paladina del capitalismo Ayn Rand, che teorizzò l’oggettivismo, col romanzo-baluardo del pensiero libertario “Atlas Shrugged” del 1957. Di questa autrice Liberilibri ha pubblicato “Antifona”, “La virtù dell’egoismo” e la pièce teatrale “La notte del 16 gennaio”. E come due altri mostri sacri della narrativa: Herman Melville con “Moby Dick” del 1851 e Mark Twain con “Le avventure di Huckleberry Finn” del 1884, dei quali Liberilibri ha tradotto in italiano rispettivamente “Lettere a Hawthorne” e “Lettere dalla Terra”.
Un bel campionario non c’è che dire, che al di là dell’interesse professional-campanilistico suggerisce inevitabili paragoni e ben più d’una considerazione. Ne basti una, volendo restare in ambito maceratese: compaiono nella lista tale Amelia Simmons e tale Irma Rombauer, due amabili signore che resteranno nella storia per le loro pubblicazioni a tema culinario. La prima ha scritto nel lontano 1796 “Cucina americana”, il primo libro di cucina di un autore americano mai stampato negli USA, la seconda è autrice di “Gioia di cucinare” del 1931. Regine incontrastate dell’arte mangereccia e delle classifiche di vendita delle rispettive epoche, sembrano a tutti gli effetti le legittime antesignane delle odierne Clerici e Parodi.
Ora la domanda è: nell’immaginaria lista dei libri che hanno fatto, fanno o faranno l’Italia troverebbero posto gli antichi ricettari che rappresentano la storia della tradizione gastronomica italiana? Verrebbero rispolverati “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi del 1891 (inserito non a caso tra i 150 libri della mostra di Torino) e “Il Cuoco Maceratese” del nostro Antonio Nebbia datato 1779? O sarebbero scansati dai best-seller mediatici contemporanei confezionati ad hoc da ex giornaliste che non sanno cucinare per signore e signorine che non sanno ancora (o non sanno più) cucinare? Il dubbio viene.
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Auguri a voi tutti della Redazione e ad Aldo Canovari. Il lavoro che da diversi lustri la “nostra” ( maceratese) casa editrice sta portando avanti è un vanto, prima di tutto per “il libro”, e poi per Macerata. Accade raramente di trovare “in periferia” case editrici solide e sicuramente nazionali. Se dovessi\volessi fare un paragone relativo al mio campo, che è quello della letteratura, l’unico riferimento all’altezza ( dico della solidità e importanza) fu Scheiwiller, e, anticamente Carrabba. Ancora auguri.