di Mario Monachesi
Il 7 maggio 1857 nasce a Macerata (via Crescimbeni, con battesimo nella chiesa di San Giorgio) Oreste Calabresi, uno dei più importanti attori teatrali italiani in scena tra la fine dell’800 ed i primi del ‘900. Trasferitosi giovanissimo a Roma come commesso di sartoria, inizia la sua carriera nella Filodrammatica “Pietro Cossa” (una delle più briose e non professionistiche compagnie romane di fine secolo), inizialmente nella veste di guitto e, in seguito, di generico. Dopo l’esordio avvenuto a Pitigliano nel 1881 firma nuovi contratti con le compagnie “Ruta”, “Lollio” e “Salvini-Serafini”. Il primo vero consenso giunge però con la compagnia di “Giovan Battista Marini”. Successivamente passa a quelle di “Garzes”, “Paladini”, “Zampieri” con il ruolo però di generico primario. Il 18 agosto 1894 si concretizza infine l’atteso esordio maceratese. Al teatro Marchetti (l’ex cinema Cairoli) porta in scena “Casa paterna” di Sudermann, “L’erede” di Praga e “Un fallimento” di Bjornson. Nel 1897 va in tour con “La gelosa” di Alexandra Bisson assieme a Virginia Reiter e C. Leigheb. Nel 1900, oramai riconosciuto come uno dei grandi della scena, fonda con Irma Gramatica e Virginio Talli la “Gramatica-Talli-Calabresi”, la compagnia più seguita ed applaudita per almeno un quinquennio e con la quale porterà in giro per l’Italia opere sia di prestigiosi scrittori quali Verga (“Dal tuo al mio”), Giacosa (“Tristi amori”, “Il più forte”) e Ferrari (“La medicina di una ragazza malata”), che di nuovi talenti come Bracco (“Sperduti nel buio”, “La piccola fonte”). Tra i componenti del giro figurano attori quali Dina Galli, Ruggero Ruggeri ed Alberto Giovannini. Questo periodo lo vede impegnato anche come autore. Nel 1906 gli arride il successo con “Papà eccellenza” di Rovetta. In seguito, tra il 1906 e il 1909, diviene socio di E. Severi, successivamente direttore della “Calabresi-Mariani” ed infine, nel 1912, entra nella “Sabbatini-Ferrero”. Nel 1910 presenta per la prima volta al teatro Manzoni di Milano “Il rifugio” di Dario Niccodemi. Nello stesso teatro porterà in scena molti altri importanti lavori tra i quali, nell’ottobre del 1912, “La nemica” di M. Sobrero. Risale a questo periodo un’altra sua magistrale interpretazione, quella cioè che lo vede protagonista de “Il mantellaccio” di Sem Benelli. Il suo maggiore trionfo coincide comunque con la rappresentazione, avvenuta il 3 marzo 1904 al Lirico di Milano, della prima dell’opera dannunziana “La figlia di Iorio”. In quell’occasione il Vate pescarese gli fa dono di una sua foto con dedica: “All’indimenticabile Lazaro di Rojo”. Contemporaneamente, la critica così scrive di lui: “Ha impresso potenza d’arte alla carnalità del personaggio artefice tra i primi di quel grande avvenimento drammatico che rimane quale mirabile esempio di evidenza scenica e di stile poetico”. Nel 1914 si lascia sedurre dal pressoché ancora pionieristico mondo del cinema, sperimentando così le sue innate doti recitative in ben tre film: “Amore senza stima”, “Il gran giudice” e “Le vie del cuore”.
Tra tutti questi trionfi sembra che solamente Macerata non dimostrasse alcun interesse per la sua arte davvero raffinata, connotata per l’intero arco della sua carriera da ruoli sia tragici che comici. Alla sua morte (predetta trent’anni prima da una zingara: “Farai carriera, avrai onori e ricchezze e morirai a cinquantasette anni”), che avvenne appunto il 15 febbraio 1915 a Lecco, qualcuno vuole riportarlo nella città natale ma Oreste, nelle sue ultime volontà, ha già disposto che mai il suo corpo avrebbe dovuto far ritorno nella ingrata Macerata. Nel 1955 ci riprova, ma senza risultato, il Sindaco Otello Perugini. Altri tentativi verranno fatti negli anni successivi ma ogni volta sarà il suo testamento a sprevalere. A tutt’oggi il suo corpo riposa nel cimitero di Lecco. A Macerata il ricordo per questo straordinario attore resta legato ad una via, intitolatagli nel centenario della nascita nonché alla compagnia teatrale Gad Calabresi, oggi confluita nel CTR(Compagnie teatrali riunite – Calabresi-Tema).
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Caro Oreste,
stia tranquillo che la stessa sorte è toccata a tutti, anche agli attuali (vedi l’esempio Ferretti o Orazi…). Ma state tranquilli che dopo la morte sarete tutti riqualificati alla grande, perchè fa sempre comodo avere dei maestri morti da festeggiare e glorificare e soprattutto per ottenere e gestire soldi per fare le celebrazioni.
Matteo Ricci non ha nemmeno la statua, le pare sia stato trattato meglio? Anche la compagnia non si chiama più così?!
Era il 1857, siamo nel 2012 e adesso stia sicuro che sarebbe stato trattato peggio.
Con affetto e la speranza che la mai generazione sia meno affamata di soldi e potere di questa.
Tipico atteggiamento maceratese! 100 anni fa come oggi! poi però giustamente gli hanno dedicato una viuzza secondaria dietro al campo sportivo dei pini!