Se si chiede alla gente per strada cosa fanno le Province, pochi sanno rispondere in modo corretto, ma se lo si chiede ai Sindaci dei Comuni, non solo essi ti sanno rispondere compiutamente, ma ti dicono anche perché i Comuni non possono far a meno della presenza attiva delle Province. Una riprova di questo è venuta dalla seduta straordinaria del Consiglio Provinciale che si è svolta oggi pomeriggio a Macerata, in contemporanea con tutte le altre Province d’Italia. Tra i sindaci intervenuti, Martini (San Severino), Fiordomo (Recanati), Luciani (Pievebovigliana) e Pierozzi (Sefro) hanno preso la parola per sottolineare come la Provincia sia l’interlocutore primo e privilegiato per affrontare i problemi legati direttamente al territorio, alla sua tutela e al suo sviluppo.
L’iniziativa assembleare, voluta a livello nazionale dall’Upi, ha avuto lo scopo di illustrare alle comunità locali il ruolo e le funzioni che le Province oggi esercitano, ma è stata anche un’utile occasione di dibattito e di confronto con le altre istituzioni del territorio e con le forze economiche e sociali. Anche quest’ultime presenti alla seduta “aperta” del Consiglio provinciale a livello di categorie produttive e sindacali hanno espresso, tramite gli interventi di Benfatto (Cgil), Ferracuti (Cisl) e Mincio (Ugl) la loro testimonianza circa il ruolo attivo svolto dalla Provincia.
E sulla stessa linea anche i rettori delle due università, Luigi Lacché di Macerata e Flavio Corradini di Camerino. Entrambi hanno ricordato che senza il “collante” della Provincia sarebbe stato impossibile per i due atenei addivenire alla fase di “cooperazione rafforzata” in atto tra le due università. Lacchè, da storico, ha ricordato che le Province sono nate come “ente naturale” come “misura di spazio amministrativo” di stampo franco-napoleonico e che sono sempre vissute in “simbiosi” con i Comuni. Proprio questo camminare insieme per un secolo e mezzo – ha sottolineato in apertura di seduta la vice presidente Paola Mariani – ha permesso di costruire quel principio di sussidiarietà tra istituzioni a favore del cittadino che ha nella Provincia un elemento centrale ed insostituibile.
Il prof. Guido Meloni, docente di istituzioni pubbliche, chiamato ad esporre il suo punto di vista sotto l’aspetto dell’architettura costituzionale ed amministrativa dello Stato, ha evidenziato come l’assetto italiano poggi da tempo su tre livelli: Comuni, Province, Regioni. Se una viene a mancare, o viene svuotate delle sue funzioni, c’è il rischio di “collassamento” del sistema. Occorre fare, quindi, un’attenta riflessione sul disegno delineato dall’attuale Governo, prescindendo – ha aggiunto il prof. Meloni – da dati economico-finanziari. Le Province – ha ricordato il docente, citando dati statistici recenti – rappresentano l’ 1,35% delle spesa pubblica complessiva. In termini assoluti questa spesa è rappresentata per 11 miliardi di euro dal costo delle funzioni (strade, scuole, difesa del suolo, ecc), che – se tolte alle Province – qualche altro dovrà pur svolgere e quindi senza un reale beneficio a livello di spesa pubblica. Il costo degli organi politici per il complesso delle Province italiane è di 111 milioni. La domanda che sorge: vale la pena eliminare un grado di democrazia ? Per giunta rischiando di creare un caos amministrativo? Perché non dare corso alla Carta delle Autonomie inspiegabilmente bloccata da tempo in Parlamento e utile a definire, in un quadro di riconsiderazione generale, “chi fa che cosa” ? Su questo si è poi aperto il dibattito proseguito fino a tardi.
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ORDINE DEL GIORNO APPROVATO
La seduta “aperta” del Consiglio provinciale di Macerata, convocata dal presidente dell’assemblea Paolo Cartechini per la discussione sul ruolo e le funzioni delle Province, si è conclusa pochi minuti prima delle 20 con l’approvazione, a maggioranza (13 voti favorevoli e 5 contrari) dell’Ordine del Giorno elaborato a livello nazionale dall’Upi e sottoposto oggi all’esame di tutti i Consigli provinciali d’Italia. Il documento si conclude chiedendo: “ai Parlamentari del territorio di farsi promotori in Parlamento di iniziative volte a garantire l’esistenza delle Province intese come strumento di partecipazione democratica dei cittadini nel governo del territorio;
alle organizzazioni sindacali di mobilitarsi contro l’abolizione o allo svuotamento delle Province, per tutelare le persone che ci lavorano;
Alle forze economico-sociali di mobilitarsi per ristabilire un punto di riferimento istituzionale certo nel territorio, per garantire il rilancio degli investimenti per lo sviluppo locale.
Ai cittadini tutti, agli uomini di cultura, alle associazioni e ai gruppi di volontariato di manifestare il loro amore per il territorio, opponendosi all’abolizione o allo svuotamento delle nostre Province, o alla loro trasformazione in enti nominati dai partiti e non eletti direttamente dal popolo”.
In precedenza era stato respinto un emendamento presentato dal consigliere Franco Capponi volto a modificare in alcuni punti l’ordine del giorno Upi sostenuto dalla maggioranza. In particolare, l’emendamento ampiamente illustrato dal capogruppo di opposizione secondo il concetto “meno politica, più amministrazione”, era volto “a garantire l’esistenza delle Province intese come enti di secondo livello di rappresentanza”. Quindi Province come emanazione diretta dei Sindaci “con un voto dei rappresentanti comunali opportunamente ponderato attraverso un mix di indicatori” (abitanti, dimensione territoriale, contributo alla fiscalità generale…). Nello stesso tempo veniva confermata la contrarietà all’abolizione o allo svuotamento delle Province, richiedendone una migliore organizzazione e razionalizzazione.
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Le provincie devono essere smantellate, trovateve un lavoro pure voi!!!
Vorrei sommessamente ricordare che le inutili e osolete Province si porteranno via anche le Prefetture, le Camere di Commercio etc..
Voglio sommessamente ricordare che la maggioranza che governa la Provincia è stata votata dal 25% degli elettori!
Quanti dei 57 sindaci erano presenti?
Aggiornamento
ORDINE DEL GIORNO APPROVATO
La seduta “aperta” del Consiglio provinciale di Macerata, convocata dal presidente dell’assemblea Paolo Cartechini per la discussione sul ruolo e le funzioni delle Province, si è conclusa pochi minuti prima delle 20 con l’approvazione, a maggioranza (13 voti favorevoli e 5 contrari) dell’Ordine del Giorno elaborato a livello nazionale dall’Upi e sottoposto oggi all’esame di tutti i Consigli provinciali d’Italia. Il documento si conclude chiedendo: “ai Parlamentari del territorio di farsi promotori in Parlamento di iniziative volte a garantire l’esistenza delle Province intese come strumento di partecipazione democratica dei cittadini nel governo del territorio;
alle organizzazioni sindacali di mobilitarsi contro l’abolizione o allo svuotamento delle Province, per tutelare le persone che ci lavorano;
Alle forze economico-sociali di mobilitarsi per ristabilire un punto di riferimento istituzionale certo nel territorio, per garantire il rilancio degli investimenti per lo sviluppo locale.
Ai cittadini tutti, agli uomini di cultura, alle associazioni e ai gruppi di volontariato di manifestare il loro amore per il territorio, opponendosi all’abolizione o allo svuotamento delle nostre Province, o alla loro trasformazione in enti nominati dai partiti e non eletti direttamente dal popolo”.
In precedenza era stato respinto un emendamento presentato dal consigliere Franco Capponi volto a modificare in alcuni punti l’ordine del giorno Upi sostenuto dalla maggioranza. In particolare, l’emendamento ampiamente illustrato dal capogruppo di opposizione secondo il concetto “meno politica, più amministrazione”, era volto “a garantire l’esistenza delle Province intese come enti di secondo livello di rappresentanza”. Quindi Province come emanazione diretta dei Sindaci “con un voto dei rappresentanti comunali opportunamente ponderato attraverso un mix di indicatori” (abitanti, dimensione territoriale, contributo alla fiscalità generale…). Nello stesso tempo veniva confermata la contrarietà all’abolizione o allo svuotamento delle Province, richiedendone una migliore organizzazione e razionalizzazione.
Il Pdl e il PPE non hanno votato il documento predisposto dall’Upi nazionale e i capigruppo Nazareno Agostini e Franco Capponi spiegano le loro motivazioni:
«Province da difendere solo se più efficienti, svolgono funzioni e servizi di area vasta in stretta collaborazione e sussidiarietà verso i comuni e si azzerano i costi della politica. Questa in sintesi è stata la nostra proposta nel Consiglio Provinciale aperto di ieri durante la discussione dell’Ordine del giorno presentato dall’UPI – affermano i consiglieri capigruppo del PPE e del PDL Capponi ed Agostini. Per questo abbiamo votato contro il documento predisposto dall’UPI nazionale che intendeva istigare tutte le Istituzioni (Regioni in primis) a ricorrere e osteggiare la proposta contenuta nella Legge 214/2011 – cosiddetta ” Salva Italia”, persino attraverso il ricorso alla Corte Costituzionale. La nostra valutazione sulla proposta Monti è positiva con richiesta però del mantenimento delle di funzioni “core” attualmente svolte dalle Province (istruzione secondaria e organizzazione scolastica, trasporto pubblico locale, gestione infrastrutture viarie e bonifica,tutela ambientale, sviluppo economico) e attribuzione di ulteriori funzioni di area vasta come indicato nel nostro ODG respinto dalla maggioranza seppur con consistenti defezioni. Solo in questo modo le funzioni della Provincia sarebbero più asciutte ed esercitate in stretta collaborazioni con i comuni che le compongono e soprattutto saranno depurate dai costi e dalle inefficienze della cosiddetta “politica”.
La cosa strabiliante è stata invece la votazione avvenuta al termine di un dibattito responsabile affrontato dai pochi Sindaci presenti, dai sindacati e con il pregevole contributo apportato dai rettori delle Università di Macerata e di Camerino. I partiti di centrosinistra e che a livello nazionale hanno fatto campagne di captatio-benevolentiae per l’abolizione tout-court delle Province qui hanno detto il contrario. L’UDC ha votato per il documento UPI e cioè per il mantenimento di tutto com’è oggi, l’IDV non ha partecipato al voto (e pensare il tradimento verso il milione e mezzo di firme raccolte), il PD ha difeso gli interessi di bottega votando per il mantenimento dello status quo con una defezione importante, il Consigliere Vesprini, che ha difeso la necessità di snellire le province e di azzerare i costi della politica e favorevole sostanzialmente alla nostra proposta.
Le nostre valutazioni partono dalla considerazione che la norma contenuta nel “Salva Italia” lungi dal conseguire cosi com’è enormi risparmi – come indicato espressamente dalle relazioni tecniche della Camera e del Senato, che non hanno ritenuto di potere quantificare alcuna cifra dai risultati delle misure stesse – produce notevoli costi aggiuntivi per lo Stato e per la Pubblica amministrazione, ingenera caos nel sistema delle autonomie e conseguenze pesanti per lo sviluppo dei territori. Inoltre la norma non tiene minimamente conto dell’aumento della spesa pubblica, pari ad almeno il 25% in più, che si avrebbe dal passaggio del personale delle Province (56.000 unità) alle Regioni o dal trasferimento di competenze di area vasta ai Comuni e che il decreto non considera la difficoltà a computare e trasferire il patrimonio e il demanio delle Province: 125.000 chilometri di strade, oltre 5.000 edifici scolastici, 550 centri per l’impiego, sedi, edifici storici, partecipazioni azionarie dotazioni strumentali, ecc.
Tale norma impone una modifica della normativa tributaria, poiché le entrate tributarie, patrimoniali e proprie delle Province dovranno passare in quota parte a Regioni e Comuni per garantire il finanziamento delle funzioni, proprio nel momento in cui si stanno verificando le condizioni per il passaggio dalla spesa storica ai fabbisogni standard nelle Province attraverso l’attuazione delle norme sul federalismo fiscale e che la norma avrà effetti devastanti sulle economie locali, poiché produrrà il blocco totale degli investimenti programmati e in corso delle Province, perché i mutui contratti dalle Province, nei casi in cui questo fosse possibile, dovrebbero essere spostati alle Regioni o alle altre amministrazioni locali, e che ostacolerà i diversi progetti, anche pluriennali, finanziati dai fondi strutturali Ue o da sponsor o fondazioni bancarie in cui sono impegnate le Province, con il serio rischio di interrompere la gestione delle attività e dei connessi importantissimi flussi di spesa.
E’ giusto anche valutare il fatto che la norma cosi com’è produrrebbe un nuovo pericolo accentramento di funzioni verso le Regioni e noi sappiamo benissimo i danni prodotti in termini di offerta quantitativa e qualitativa alla comunità Maceratese di una visione “anconocentrica della sanità”, dello sviluppo economico e dei servizi a rete.
Noi riteniamo invece non piu’ funzionale ai ruoli della nuova provincia il mantenimento in vita degli attuali apparati politico-elettivi al vertice delle Provincie, dal momento che la domanda di servizi resi dalle Provincie alle comunità provinciali e al territorio è obiettivamente formulabile, in sede di scelte politiche, principalmente provenienti dai Comuni da un lato e in stretta relazione con le Regioni dall’altro. Questo aspetto inoltre incide profondamente sui cosiddetti “costi della politica” in quanto la tanto declamata “funzione di interprete della domanda di servizi di area vasta” si rivela poco più di un espediente retorico evocato da chi si ostina a riprodurre modelli e schieramenti politici nazionali o sperimentali orientando la Provincia verso ruoli che non deve avere e che mette in crisi spesso il vero ruolo e cioè quello di operare con la dovuta legittimazione a livello sovra-comunale, senza interferire nella inter-comunalità – cioè a dire nella collaborazione orizzontale tra Comuni – ed in modo autonomo rispetto alle Regioni.
E’ indubbio però che le Province possono svolgere un ruolo insostituibile nello sviluppo di azioni e politiche di area vasta supportando, in regime di sussidiarietà, i servizi che i Comuni, soprattutto quelli di piccole dimensioni, non sono in grado di assicurare ai loro territori (Programmazione urbanistico-ambientale di area vasta, centrale unica appalti, centrale unica acquisti, sviluppo di sistemi integrati di e-governement e integrazione dei sistemi informativi, assistenza tecnico-amministrativa agli Enti di minor dimensione, produzione e condivisione delle risorse informative e la valorizzazione delle Banche Dati e dei patrimoni informativi pubblici, pianificazione delle reti commerciali della grande distribuzione, sviluppo dei distretti industriali caratteristici, piani di gestione dei reticoli idrografici minori) ed invece ipotizzare unioni di due o più ambiti provinciali per lo sviluppo di sistemi territoriali ottimali dove l’ambito territoriale, economico e sociale delle attuali provincie diviene sottodimensionato (Ambito gestione Rifiuti, Ambito gestione Trasporto Pubblico Locale, programmazione offerta formativa e dei nuovi ITS, creazione di validi Sistemi relativamente ai Distretti Turistici e ai Distretti Produttivi del Made in Italy e di altri settori, sviluppo di Poli di eccellenza Sanitaria e Socio-Assistenziali e anche il riordino delle amministrazioni periferiche dello Stato).
In questa ottica lo slogan “La Provincia Nuova” con il quale avevamo inteso dirigere l’azione della Provincia di Macerata a partire dal 2009 aveva questo obiettivo. Basta per questo valutare il ruolo della Provincia nell’accordo di programma tra il Ministero dell’Università e le due Università di Macerata e Camerino, la rivalutazione del ruolo della conferenza delle autonomie, la promozione con i Comuni le associazioni di categorie e gli istituti scolastici dei tre ITS approvati, il progetto “Provincia 2020″ e l’adesione a diversi programmi Europei a partire dal Patto dei Sindaci dell’intera Provincia (Covenant of Mejors) nell’obiettivo di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti di delle energia rinnovabile entro cui prevedere uno sviluppo del progetto di “Metropolitana di superficie”, la valorizzazione ambientale e turistica dell’area montana (Sibillini Outdoor Festival), un ulteriore qualificazione dei servizi di differenziazione e valorizzazione dei rifiuti.
Siamo anche noi convinti che la scomparsa totale dell’Istituzione Provincia porterebbe ad avere meno garanzie per i nostri territori e vi sarebbero meno garanzie di sviluppo omogeneo del nostro Paese, che verrebbero garantite meno opportunità a chi è più debole. Che diminuirebbe l’identità locale fatta di storia e cultura e le Istituzioni si allontanerebbero dai cittadini.
Siamo altresì convinti che si possono eliminare totalmente i costi della politica (almeno quattro milioni per lo svolgimento delle elezioni, le indennità degli organi e il supporto politico per ogni legislatura) e si potrebbero ottenere enormi economie da un’operazione di ridefinizione e razionalizzazione delle funzioni delle Province anche attraverso un preciso percorso di cambiamento organizzativo verso la semplificazione, la riduzione delle dirigenze e del divieto di esercitare funzioni non previste dalla Carta delle Autonomie, in modo da lasciare in capo alle Province esclusivamente le funzioni di area vasta ed eliminando tutti gli enti intermedi strumentali (agenzie, società, consorzi) che svolgono impropriamente funzioni che possono essere esercitate dalle istituzioni previste dalla Costituzione con il sostanziale impegno e rappresentanza di tutti i Comuni.
Tutte queste analisi sono anche riportate in un interessante studio che l’ Università Bocconi ha svolto di recente (Prof. Senn e Zucchetti) sul possibile riassetto delle Province Italiane. Questo documento e’ stato posto in attenzione di tutti i Consiglieri Provinciali proprio dalla maggioranza…peccato che non l’hanno letto…… questo studio giunge sostanzialmente a delle conclusioni simili a quanto noi abbiamo proposto» concludono Capponi ed Agostini.
Vorrei un parere dei lettori sul comportamento dell’UDC , del Partito democratico che in altre provincie hanno votato il contrario sull’ODG identico di difesa delle stesse portato a Macerata.
Leggete cos’e’ successo a Teramo:
“L’Ordine del giorno “No all’Italia senza Province” elaborato dall’Upi e ieri votato da tutti i Consigli d’italia è stato approvato a maggioranza: hanno votato contro l’Udc, l’IDV (promotore del referendum di abolizione delle Province); il PD, la lista Civica D’Agostino Presidente; si è astenuto il Sel.
Tutti d’accordo, tranne l’IDV, ovviamente, nel sostenere l’incostituzionalità dell’articolo 23 del decreto 201 approvato dal Governo Monti; tutti concordi sull’approccio “demagogico” all’argomento “costi della politica” che si “pretende di risolvere con l’abolizione delle Province” ma alla prova del voto, minoranza e Udc, quest’ultima dalle fila della maggioranza, hanno sottolineato “i ritardi dell’Upi nell’affrontare il problema, l’insufficienza e la poca incisività delle iniziative assunte, il divario che si è creato con i cittadini” motivando così il voto contrario (astensione del Sel).
La presa di posizione di minoranza e Udc ha sollecitato una provocatoria proposta del consigliere Diego Di Bonaventura del Pdl: “O diciamo che le Province servono e quindi da domani ci impegnano a far comprendere ai cittadini cosa facciamo e perché abolirle sarebbe un errore o diciamo che non servono ma, a partire dall’Italia dei Valori, da domani ci dimettiamo tutti. Ancora una volta il cittadino non capisce questi bizantinismi della politica”.
Il Consiglio provinciale, ieri sera, si è “aperto” a due contributi: quello di Romano Orrù, direttore Dipartimento studi giuridici dell’Università di Teramo e quello dell’architetto Raffaele Di Marcello, funzionario dell’ente, in rappresentanza della Rsu.
Il primo, citando studi economici, giuridici e storici, ha sostenuto la tesi che l’abolizione delle Province comporterà “un aggravio di costi per i cittadini, una seria limitazione dei diritti di rappresentanza delle comunità locali, una risibile riduzione dei cosiddetti costi della politica visto che le Province rappresentano l’1,35% della spesa pubblica complessiva del Paese”.
Se le “Province esistono in tutta Europa, sia negli Stati unitari che in quelli federalisti, e resistono da 150 anni è perché il livello intermedio di Governo è funzionale all’organizzazione democratica e al funzionamento dello Stato” ha chiosato Orrù.
Raffale Di Marcello, a nome dei dipendenti, ha chiesto “alla politica delle risposte. Serve chiudere le Province? Si è pensato a come riorganizzare la macchina istituzionale e se i servizi funzioneranno meglio o peggio di prima?”. Dal presidente Valter Catarra è arrivata l’assicurazione che sarà organizzato un consiglio apposito per affrontare le questioni relative al personale e al loro futuro aprendo anche un dialogo con la Regione così “come richiesto dalla Rsu”. Nel merito della questione, il presidente Catarra, intervenuto al termine del dibatto consiliare, ci ha tenuto a far rilevare due aspetti: “Un provvedimento o è anticostituzionale o non lo è e noi che rappresentiamo non noi stessi ma le istituzioni dalla Costituzione non dovremmo decidere secondo le convenienze del momento e quelle di parte. Anche per questo ho chiesto e mi sarei aspettato che la Regione impugnasse il decreto come ha fatto il Piemonte. Mi rendo conto che difendere l’stituzione Provincia oggi è impopolare perché ai cittadini è stato fatto credere che così dimuiscono tasse e i costi della politica ma noi che siamo eletti, e che sappiamo che questo non è vero, abbiamo il dovere di rappresentarlo”.
L’assise è iniziata con le parole del presidente del Consiglio Mauro Martino: “L’istituzione Provincia è quella che, negli ultimi anni, meglio è riuscita a ridurre i suoi costi di funzionamento e di rappresentanza come ampiamente dimostrato dallo studio realizzato dalla Bocconi. Invece, cedendo alla demagogia, già ora, il Governo le ha svuotate di funzioni e risorse aprendo una stagione di caos e difficoltà non per gli apparati ma per i cittadini”.
Numerosi gli interventi dei consiglieri e fra questi: D’Agostino (Pd) “Una norma incongrua e incostituzionale ma se siamo arrivati a questo punto è colpa dell’Upi che ha agito in ritardo e male”. Nori (lista Civida D’Agostino): “L’ordine del giorno è concepito male serve solo a prendere tempo e non apre un serio dibattito sulle riforse”. Micheli (Pd) “se siamo arrivati a questo punto è colpa della mancanza di credibilità e autorevolezza della classe politica, anche locale. Dobbiamo sollecitare i nostri partiti a fare le riforse”. Tracanna (Udc): “Le Province sono il capro espiatorio di una dibattito demagogico: bisogna iniziare un serio percorso di riforme istituzionali”. Di Sabatino (Pd): “da sindaco so che le Province servono perché esistono servizie e quindi problemi che possono essere affrontati solo in una logica di area vasta ma oggi rischiamo si passare per quelli che stanno difendendo se stessi”. Di Febbo (Sel): “le decisioni del Governo Monti non ci convincono perché in realtà tagliano solo la democrazia e la partecipazione: quello che va chiesto è la riduzione del numero delle Province, l’istituzione delle Città metropolitane, la revisione delle funzioni degli enti locali”; Mazzarelli “Siamo l’stituzione territoriale più debole quella più facile da sacrificare e quanto sia vero questo è dimostrayo dalla pessima figura rimediata dalla commissione parlamentare che avrebbe dovuto ridurre le indennità dei parlamentari. Dov’era la politica quando in questi 20 anni si creavano centinaia di organismi che competenze frammentarie e sovrapposte: centinaia di comunità montane anche a livello del mare, bacini imbriferi, a Teramo ne abbiamo addirittura due, consorzi per rifiuti e acqua. Migliaia di consigli di amministrazione, direttori generali, presidenti. Dov’era allora quella politica che oggi invoca riforme?”
Scontata la posizione dell’IDV (interventi di Mercante e Sacco), partito che ha promosso il referendum per tagliare le Province poi dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale: “Le Province sono già inutili proprio l’esiguità della spesa che comportano ne dimostra l’irrilevanza. Chiuderle significherebbe razionalizzare l’apparato amministrativo eliminando una pletoria di politici e burocrati”. E qui è scattata la provocazione di Di Bonaventura: “Allora dimettiamoci!”.”