Bianco Natale sulle pareti della scuola

Ottava puntata della rubrica "Il grande quaderno" dedicata al mondo della scuola

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di Maria Luisa Lasca

Dicembre senza neve aveva solo coriandoli di luce alla sera e al mattino la brina nei giardini, confusa con la nebbia della valle. Anche quel giorno era iniziato nella dimensione della più banale normalità e come sempre gli studenti stavano raggiungendo a gruppi la loro scuola secondaria di primo grado. Le tre terze avevano la verifica generale, prima delle vacanze di Natale. I professori pensarono di effettuarla con una simulazione dell’esame del prossimo giugno.

Erano sessantaquattro studenti distribuiti in un lungo corridoio, forse di venti metri, piuttosto stretto, con le sedie e i tavoli accostati alle pareti laterali. Lo spazio centrale era appena sufficiente per il  transito e il severo controllo dei professori. Le verifiche scritte si svolsero senza nessun problema e alla fine i docenti attraversarono il corridoio vuoto, e si riunirono nella grande aula dell’assemblea per la correzione degli elaborati. I tavoli erano ancora al loro posto, addossati ai muri, ma tutto sembrava svuotato di vita.

Là dove una matassa di capelli rossi e due occhi verdi attiravano lo sguardo, confondendo lo sfondo, appariva ora l’immagine di un muro lasciato all’incuria. Nella postazione dalla quale aveva sorriso nervosa  la ragazza alta e magra dai capelli lunghi e lisci non c’era più luce, solo graffiti. I muri erano decisamente  grigio  neri,  prima non si notava, solo ora, senza i ragazzi che distraevano con lo splendore dei loro sguardi, tutta la tetraggine dell’ambiente emergeva imponendosi.

Il professore di lettere, quasi sessantenne, dai capelli grigi, era sconfortato, quanto sporco e nessuna speranza di pulizie e addobbi per il Natale in arrivo. Ne aveva parlato con i colleghi: la linguista, lo scienziato, l’artista, l’atleta e tutti gli altri. Erano così chiamati familiarmente tra di loro in base alle materie di insegnamento e alle personali attitudini, per evocare una professionalità diventata parte costitutiva del fisico e del carattere. Nessuno s’era preoccupato più di tanto.

Qualche giorno dopo  i ragazzi affrontarono, a piccoli gruppi, la simulazione della prova orale. I colloqui procedevano regolarmente, professore, posso fare un collegamento con scienze, porto l’energia atomica, poi vorrei parlare di Hiroshima e Nagasaki… Il professore ogni tanto sorrideva  a certe ingenuità degli studenti, battute spontanee, fresche risate, lievi timori… Poi fu il turno dello studente magro, alto, appena curvo, dalla maglietta bianca stampata nell’ora di laboratorio artistico. Posso parlare dei principi fondamentali della Costituzione italiana? Di quale articolo vuoi trattare, ecco il testo, scegli, leggi e commenta, rispose un po’ preoccupato il  professore. Il ragazzo allontanò con la mano il manuale, veramente conosco a memoria i primi dodici articoli, cioè i principi fondamentali della nostra Costituzione. A memoria,  par coeur, by heart, intervenne la professoressa di francese, bene. Scelgo l’articolo due della Costituzione della Repubblica Italiana: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Cosa si può osservare?, riprese forza il professore.

Vorrei approfondire l’enunciato, parlando della scuola e della necessità di una catena di solidarietà che sostenga un’istituzione fondamentale  a cui la politica non bada come dovrebbe. Dobbiamo organizzarci in prima persona per risolvere i piccoli e grandi problemi che riguardano la scuola. Io ne ho già parlato con i miei genitori,  vorrei risarcire la scuola dedicando alcune giornate delle mie vacanze natalizie a ripulire i muri dai graffi, dalle pedate, che abbiamo provocato nel triennio, insieme ad altri miei compagni. Il corridoio di fronte alle  aule e ai laboratori sarà rimesso a nuovo, naturalmente bisognerà parlarne con il Preside per l’autorizzazione e l’organizzazione. Il ragazzo stava facendo una lezione di solidarietà ed educazione civica, chi l’avrebbe mai pensato, pareva gli interessassero solo l’arte e la ragazza dai capelli rossi.

Che strano, il grigiore dei muri e l’effervescenza dell’anima, la scuola malridotta, senza risorse finanziarie e l’allegria di giovani nel giorno precedente le vacanze natalizie. Nonostante tutto, siamo salvi, noi contaminati dalla cattiveria e dalla crudezza di un mondo che ci sfugge via, loro invece sembrano venirne fuori intatti, bene, bene, pensò tra sé il professore. Vedeva allontanarsi sempre di più il giorno della sua pensione e in fondo sentiva che la  ricompensa a ciò sarebbe stato il completamento del  processo di crescita dei suoi studenti attraverso l’educazione.

La campanella delle tredici e dieci suonò, fu aperto il portone di legno massiccio, solido e forte, che sembrava reggere da solo tutta la scuola e all’improvviso entrò nel corridoio l’odore della neve. Mille e mille fiocchi aerei e leggeri e decine di nasi all’insù. Un’attrazione del cuore e della mente, capitata proprio nell’ultimo giorno di scuola, ancora più bello questo periodo di vacanze fra il bianco del fuori e il rosso vivo del camino di casa.

E non solo, per lo studente magro, alto, appena curvo, dalla maglietta bianca  come pure per la studentessa da capelli rossi e per altri allievi il focolare domestico durante le vacanze natalizie fu quel grigio squallido e stretto corridoio che li aveva visti crescere nei tre anni di scuola. Lì riversarono tutto il loro essere con il loro sapere e donarono a quelle mura ciò che a sua volta la scuola aveva dato loro. Il credo nella vita e il senso di civismo furono impacchettati, incartati e guarniti con nastri come regali sotto l’albero per la  scuola e i loro professori.

Quell’albero di Natale va messo più vicino al portone, disse la ragazza dai capelli rossi mossi, altrimenti nel corridoio stretto non si può passare. Detto, fatto, spostato. Risistemato e pronto a dare il benvenuto il sette gennaio a tutti gli studenti di  ritorno dalle vacanze di Natale. Che bel lavoro abbiamo fatto, disse a voce alta lo studente alto e magro e mentre stavano andando tutti via accese per un attimo le luci dell’albero. Fuori il freddo mordeva a passi svelti, dentro, all’ingresso, le lucine allegre correvano lungo i rami senza lasciarsi prendere dal gioco della notte.

Il sette gennaio a studenti e professori apparve il corridoio rimesso a nuovo, pareti bianche candide, pulite, nessuna traccia del ragazzo che nervoso tirava calci al muro, e di quello che si divertiva a fare incisioni e dichiarazioni  d’amore con una piccola punta graffiante. Tutto finito, l’anima dell’adolescenza non c’era più, come celata nella metamorfosi del cambiamento, sarebbe riapparsa nell’età più matura.

Quanto tempo ci vorrà, si rivolse il professore alla  linguista, accorato, lei guardò quel collega  sensibile, le ispirava frasi in lingua. Ton morceau de ciel, gli rispose e lui parve rassicurato. Con il regalo della vita a ciascuno è garantito quel pezzettino di cielo che gli spetta, perché è importante e vitale, è come un pezzo di pane, quella parte di cielo.

Il professore, incantato dalla frase della collega e dal tono con cui l’aveva detta, sulla soglia della sua aula, si preparava sereno ad riaccogliere gli studenti, che sulle scale incalzavano come per prendersi la loro parte di cielo e di vita. Siate esigenti, pretendete il massimo, la scuola è vostra, lasciate le vostre impronte. Chiedete, sempre, imparate a ripulire là dove è sporco. Intanto già vedeva le candide pareti rianimarsi, pronte ad accogliere un graffito, un’impronta, e una lacrima di ragazza confusa con il primo rimmel.



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