di Giuseppe Bommarito *
C’è chi l’ha definito come un nuovo Colosseo, sia per le dimensioni che per il fatto di ospitare anch’esso lottatori per la vita provenienti in gran parte dal Medio Oriente e dall’Africa (come gli antichi gladiatori). Altri, puntando sul traffico di droga che di continuo vi si svolge ed al giro di violenta delinquenza che inevitabilmente ne consegue, l’hanno paragonato alle tristemente famose Vele di Scampia, proponendone senza tanti giri di parole l’abbattimento. Altri ancora usano il termine di “melting pot”, inteso come crogiuolo, come calderone di razze, nazionalità e religioni diverse, con la lingua italiana da tutti faticosamente parlata come unico denominatore comune.
Stiamo parlando dell’Hotel House, l’enorme condominio costruito nei primi anni settanta (la posa della prima pietra, con tanto di cerimonia e con autorevoli presenze ministeriali, avvenne, in realtà, il 22 luglio 1967), che svetta imponente nelle vicinanze di Porto Recanati, ai margini della strada statale Adriatica, un monumentale casermone di cemento a forma di croce di 17 piani, alto più di 50 metri, le cui assemblee di condominio ricordano in qualche modo le sedute plenarie dell’ONU.
Il condominio consta di ben 480 appartamenti, ognuno di quasi 70 metri quadrati, dove vivono, infatti, persone appartenenti a 35 etnie diverse (!!!), circa duemila residenti (un centinaio appena gli italiani, oggi la vera minoranza), destinati a raddoppiare nei mesi estivi, allorchè arrivano a frotte gruppi di nordafricani, ospitati dai connazionali, che ogni giorno si riversano sulle spiagge della costa anconetana e maceratese: sono i “vu comprà” che offrono ai turisti i prodotti contraffatti forniti dalla camorra, quelli con i marchi di prestigio platealmente taroccati. Estate a parte, circa un sesto dell’intera popolazione di Porto Recanati (tra italiani e stranieri, i cittadini residenti complessivamente superano di pochissimo la soglia delle dodicimila unità), sicuramente una percentuale da record a livello nazionale, vive in questo gigantesco blocco di cemento. Tra gli immigrati che abitano nell’Hotel House, prevalentemente di religione musulmana, le nazionalità più numerose sono quella senegalese, e poi, a seguire, quella bengalese, tunisina, pakistana, nigeriana, cinese, macedone, marocchina. Un enorme concentrato di extracomunitari, tanto che, di tutti quelli residenti nella provincia di Macerata, il 20% vive proprio a Porto Recanati, per la maggior parte allocati appunto nell’Hotel House (una città nella città, è stato pure detto, e sicuramente a ragione, considerato che oltre la metà dei comuni della provincia di Macerata non raggiunge la soglia dei duemila abitanti).
Una realtà in continua evoluzione (o, meglio, involuzione). Da vivace residence di appartamenti per vacanze estive nel periodo del boom economico, tendenzialmente autosufficiente, con piscina e negozi, a cupo luogo di passaggio, negli anni dell’abbandono, per gente di ogni genere (terremotati di Ancona, ballerine dei night della zona, camorristi latitanti, brigatisti in clandestinità, militari delle vicine caserme in odore di trasferimento), per poi divenire quello che oggi è: un megacontenitore di migliaia di persone venute da tutto il mondo nel nostro paese in cerca di una vita migliore, tenute vicine alla comunità locale, ma al tempo stesso confinate in uno spazio territoriale autonomo e non integrato dal punto di vista urbanistico (ad esempio, mancano marciapiedi e strade di sicuro e facile collegamento al centro cittadino). Una integrazione a metà, insomma: inserimento fruttuoso nelle varie attività produttive della zona, dove i lavoratori stranieri servono, eccome, ma sostanziale isolamento territoriale ed urbanistico dal cuore della comunità locale (fatta eccezione per la notevolissima presenza dei circa 400 bambini nelle scuole di Porto Recanati). Come a dire: integratevi, ma senza esagerare, è bene per tutti che ognuno stia al posto suo!
C’è molta, anzi, moltissima gente perbene tra questi lavoratori stranieri, che si guadagna il pane quotidiano con il proprio sudore, che vuole vivere tranquilla e che negli anni della tranquillità economica è riuscita a realizzare un vero radicamento nel rispetto della legalità: oggi circa la metà degli appartamenti dell’Hotel House è di proprietà degli immigrati che vi abitano; alla base del casermone vi sono ben sedici esercizi commerciali, nonché una moschea ed una chiesa pentecostale; e l’esigenza di sicurezza e di controlli assidui, fortemente sentita, non è solo degli abitanti della zona, ma anche della maggior parte degli stessi stranieri residenti.
Questo mostro urbanistico deve quindi la sua pessima fama solamente ad una frangia di delinquenti che vivono e operano al di fuori della legge, all’interno e nei pressi del gigantesco condominio multietnico. Una frangia minoritaria, ma organizzata in gruppi criminali violenti e senza scrupoli, che delinque fortemente, senza mezzi termini. Le cronache degli ultimi anni, anche a causa della colpevole sottovalutazione della penetrazione della criminalità organizzata nel nostro terrritorio, hanno registrato di tutto e di più: accoltellamenti, sparatorie, guerre furibonde tra bande di spacciatori, regolamenti di conti, risse continue, auto incendiate per ritorsione, spaccio e traffico di droga a cielo aperto, carabinieri brutalmente aggrediti durante le perquisizioni, giovani morti per overdose nel piazzale antistante, un clandestino di 26 anni ucciso a coltellate nello stesso piazzale pochi mesi fa nell’ambito di scontri all’ultimo sangue fra pusher. Una escalation che sembrava inarrestabile, tanto da far assurgere l’Hotel House, considerato un terminal dei clan camorristici, a problema di ordine pubblico di rilevanza nazionale, come se fosse una bomba atomica ormai prossima ad esplodere.
E’ la camorra, infatti, che ha sempre garantito nel mostro di cemento l’approvvigionamento costante non solo delle merci taroccate, ma anche, e soprattutto, delle sostanze stupefacenti di ogni tipo. Ed è la droga che ancora una volta si svela come motore e vero business della criminalità organizzata e che, per un verso o per un altro, determina gli atti delinquenziali di maggior spessore criminale. Non a caso, tutte le recenti operazioni dei carabinieri e della polizia nell’Hotel House, che ormai non si contano più, hanno portato all’arresto di bande di spacciatori ed al sequestro di ingenti quantità di sostanze stupefacenti destinate al mercato locale, particolarmente fiorente specialmente nel periodo estivo. Ed anche nel caso del condominio multietnico di Porto Recanati la lotta contro le mafie, contro la criminalità organizzata italiana e straniera, passa necessariamente attraverso la lotta, sempre più dura, sempre più decisa, alla droga, che punti a recidere i canali di approvigionamento e i flussi di traffico e di spaccio.
Bisogna però riconoscere che la sempre maggiore gravità della situazione ha finalmente indotto le autorità a prendere di petto il problema. Alcuni segnali, infatti, vanno nella giusta direzione: ad esempio, il progetto sicurezza, stipulato poche settimane fa, che vede uniti nella sorveglianza del territorio il Comune di Porto Recanati e la Provincia di Macerata, nonché la Regione Marche, con la previsione sia di progetti di reale integrazione degli stranieri che di impianti di sorveglianza in alcuni punti cruciali della città, tra i quali, in particolar modo, gli interni e tutta l’area esterna e limitrofa all’Hotel House; gli ormai continui, e non più occasionali, blitz delle forze dell’ordine, che oggi conoscono il palazzone come le loro tasche e che costituiscono, al contempo, attività di repressione e di prevenzione; ed è un bel segnale anche la nuova, più grande e più funzionale caserma dei carabinieri, inaugurata di recente ed ormai prossima alla piena operatività.
* Avvocato e Presidente dell’Associazione onlus “Con Nicola, oltre il deserto di indifferenza”
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Sarebbe il caso che il Sindaco di Porto Recanati si dimettesse e lasciasse a chi ha veramente intezione di fare una politica operativa, una politica di soluzioni e non di problemi.
il palazzo multietnico non è solo criminalità ci abitano gente per bene che ogni giorno vorrebbero andare lavorare onestamente ma purtroppo il loro stato diclandestinità e extracomunitario visto la molta discriminazione razziale e l’ipocrisia che gli italiani ha sono costretti a vivere di espedienti e emarginati dalla società italiana con l’etichetta di criminale o di spacciatori ma se troverebbero un lavoro onesto e dignitoso non sarebbero costretti a delinquere vendendo morte.
Caro Avvocato i suoi articoli sono diventati un appuntamento imperdibile.
La sua descrizione è equilibrata e del tutto condivisibile, solo non credo molto nelle iniziative intraprese che lei indica come segnali positivi o, meglio, sono appunto solo segnali e per giunta molto timidi.