C’è solo il rispetto
della storia
nelle scritte
di Montecassiano?

LA DOMENICA DEL VILLAGGIO

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di Giancarlo Liuti

Cosa dire delle scritte fasciste di Montecassiano che il sindaco Mario Capparucci ha riportato alla luce con un’operazione di “restauro conservativo”? L’altro giorno, all’inaugurazione, ci sono stati cartelli di protesta e indignatissimi cori. Ma lui ha spiegato che ogni testimonianza storica va rispettata senza pregiudizi di parte. “Siete voi a non rispettare la storia”, ha replicato Giulio Pantanetti, presidente provinciale dell’Anpi. Già, cosa dire? Riflettiamoci. E cerchiamo di capire i metodi e gli scopi di questo cosiddetto restauro.

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Tutto è testimonianza storica. Lo è il Palazzo dei Priori, che risale al Quattrocento. Lo è l’aula magna che vi fu realizzata nel 1905. Lo è la vernice bianca e fascista delle scritte che nel 1938 furono dipinte sulle travi per la visita di Badoglio. Lo è la vernice, anch’essa bianca ma antifascista, che le coprì nel 1946. Allora non si comprende quale criterio di rispetto per ogni testimonianza storica sia stato seguito nel cancellare la vernice antifascista a vantaggio di quella fascista. Oppure, se si ritiene che le cose venute dopo debbano cedere il passo alle cose che c’erano prima, non si comprende per quale ragione non sia stata cancellata anche la testimonianza fascista, riportando l’aula magna a com’era nel 1905.  In questa vicenda, del resto, non è corretto parlare di “restauro conservativo”. Infatti le nuove scritte sono diverse dalle originali, giacché dal bianco calce si è passati alla porporina dorata. Non “conservativo”, dunque, ma, semmai, “innovativo”. Il che fa a pugni col concetto stesso di “restauro”. E in tal senso sembra muoversi la Soprintendenza regionale ai monumenti (il Palazzo dei Priori è vincolato e protetto) nel verificare se sono state richieste le indispensabili autorizzazioni ai lavori.

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Ben altro sarebbe il discorso se la vernice antifascista fosse stata applicata sopra un’opera d’arte o di qualche valore culturale. Ma sotto questo aspetto le scritte fasciste non hanno nulla che meriti di essere tramandato a noi e ai nostri posteri. Esse sono retoriche frasi littorie con le quali si volle dare maggior lustro a una pur importante cerimonia pubblica. E’ giusto rispettare – e spesso ammirare – le tante opere architettoniche d’epoca fascista. E’ giusto rispettare – e spesso ammirare – la pittura di Mario Sironi, la scultura di Arturo Martini, la poesia di Ezra Pound. Ma qui siamo allo slancio encomiastico di modesti graffitari di regime. Uno slancio burocratico e perfino meno spontaneo delle scritte “Credere Obbedire Combattere” che ancora si leggono, a fatica, in lettere sbiadite dal tempo, sui muri di vecchie case rurali. Restauriamo anche quelle? Perciò, se davvero il sindaco è stato mosso unicamente da un presunto intendimento culturale, l’auspicio è che ci ripensi e faccia marcia indietro. Meglio le travi delle scritte.

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Si dirà che da rispettare, in una scritta, è soprattutto il suo contenuto, si dirà che la questione dei criteri e dei metodi passa in secondo piano. E sia. Dunque leggiamole, queste scritte. “Il nuovo impero è stato fatto dal popolo”, “Abbiamo conquistato il nostro posto al sole”, “Porteremo la forza, la giustizia e la civiltà di Roma”. E con più esplicita e totale dedizione: “Duce, duce, duce, a noi!”. Era il 1938. Pietro Badoglio venne a Montecassiano coperto di gloria per le imprese coloniali (il “nuovo impero”, il “posto al sole”, la “civiltà portata da Roma”) compiute in Etiopia e in Libia con stragi, deportazioni e internamenti di massa. Imprese per le quali l’Italia, oggi, s’inginocchia davanti al colonnello Geddafi e umilmente gli chiede perdono. Ed era anche l’anno delle leggi razziali, varate con l’attivo contributo dello stesso Badoglio. Storia, certo. Pure Dachau è storia, terribile storia. E che si direbbe se il municipio di Monaco decidesse di sottoporre a “restauro conservativo”un’eventuale scritta nazista inneggiante allo sterminio degli ebrei?

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Non tutto è uguale, nel faticoso cammino dell’umanità. C’è storia e storia, c’è testimonianza e testimonianza, c’è rispetto e rispetto. Il giudizio sul nazifascismo – sulle sue cause, certo, ma specialmente sui suoi effetti – ha ormai messo radici nella coscienza delle democrazie. Può darsi che il sindaco Capparucci non nutra nostalgie per quel passato e si sia lasciato prender la mano da una sorta di malinteso orgoglio paesano. Ma deve convenire che la vicenda del Palazzo dei Priori (una vicenda che nella sua stravaganza si consegna, per certi versi, al ridicolo) non può non suscitare dubbi, domande, reazioni.

Comunque, ammesso e non concesso che le testimonianze storiche siano tutte da rispettare, resta il fatto che nel caso di Montecassiano questa asserita motivazione si è rivelata come il debolissimo alibi di un’operazione di segno completamente diverso: non rispetto, ma apoteosi. Un’operazione che quindici anni fa non sarebbe venuta in mente a nessun sindaco, forse neanche a un esponente del Movimento sociale. Oggi sì. Come mai? Dipende da quella strisciante riabilitazione del ventennio mussoliniano che da tempo circola nella saggistica, nell’informazione, nelle alleanze politiche, financo nella composizione dei governi. Ebbene, sono queste le ragioni (tante, come ho cercato di dire, e di varia natura, criteri, metodi, forma, contenuto) che mi fanno schierare con chi si oppone alle nuove scritte. Nuove, sì. E, guarda caso, più imperiose delle vecchie, che almeno non rilucevano d’oro.

(foto di Guido Picchio)



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