di Giancarlo Liuti
Fino a qualche tempo fa un luogo pubblico si chiamava “luogo pubblico” e la gestione spettava alla pubblica autorità che per pubblica scelta di popolo ne aveva il pubblico potere. Adesso, invece, comincia a chiamarsi con una parola diversa, più disinvolta e assai meno pubblica. Questa parola è “location”, che significa sito da mettere sul mercato, vendere, affittare, far utilizzare da chiunque e per qualsivoglia ragione. Un primo passo in tal senso è stato compiuto a Macerata con Piazza Vittorio Veneto, che senza alcun dubbio è un luogo pubblico soggetto alla sovranità dell’amministrazione comunale, e tuttavia, quando si trattò di fare un monumento a Matteo Ricci (pardon, Padre Matteo Ricci), autorevoli esponenti del Comune affidarono al vescovo il compito di indicare dove farlo – lì, per l’appunto – e in che modo, e da chi, e a quale prezzo. Intendiamoci, il vescovo, per ciò che rappresenta, non è certo un “chiunque”. E la ragione per cui quel monumento fosse da farsi era pubblica e rientrava nelle pubbliche celebrazioni per il quarto centenario della morte di un grande maceratese. Ma con quella singolare procedura il Comune cedette ad altri – a un’altra autorità, a un’altra istituzione – un suo esclusivo potere. Acqua passata? Pare di sì. Ma un ulteriore e più esplicito passo da “luogo pubblico” a “location” è stato ora compiuto a Civitanova.
Esiste dunque a Civitanova Alta un bel teatro comunale progettato nel 1872 da Guglielmo Prosperi in stile neoclassico e intitolato all’illustre civitanovese Annibal Caro, il letterato cinquecentesco cui si debbono la traduzione dell’Eneide di Virgilio e, fra l’altro, la commedia “Gli straccioni”. Certamente un luogo pubblico, di pubblica proprietà e gestito dal Comune per pubblici eventi. Ebbene, cos’è accaduto? E’ accaduto che in cambio di quindicimila euro da impiegare in certi restauri il Comune l’ha ceduto per la festa nuziale e relativo banchetto di un rampollo della famiglia Paciotti. Anche qui, insomma, una cessione. Non di potere, ma d’uso. Da uso pubblico a uso privato. Ovviamente non sono mancate proteste (perché solo ai Paciotti?), dopodiché, colto nel vivo, il Comune ha democraticamente deciso che d’ora in poi il teatro sarà concesso per ogni matrimonio dietro pagamento di mille euro (non sono pochi, ma lo sconto è socialmente apprezzabile), con ciò consentendo anche agli “straccioni” di lietamente riunirsi, sia pure per una sola serata, assieme al loro Annibal Caro.
Gridare allo scandalo? Forse no. L’epoca nostra va presa per quello che è, nella sua vocazione a devitalizzare valori, princìpi, norme, categorie. Più Mercato e meno Stato, più Privato e meno Pubblico, più Individualismo e meno Istituzioni, più Spregiudicatezza e meno Tradizione. La prossima estate, a Civitanova, si svolgerà “Popsophia”, un festival del pensiero nel quale al filosofo Massimo Cacciari e allo scienziato Piergiorgio Odifreddi si affiancheranno Alfonso Signorini, direttore di quell’influente settimanale di tendenza kantiana che è “Chi”, e Federico Moccia, autore di romanzi d’ispirazione omerica o shakespeariana dal titolo “Scusa ma ti chiamo amore” e “Scusa ma ti voglio sposare”. Ecco, signori, la modernità! Viva le contaminazioni, basta con le polverose supponenze dei soloni, basta con le puzze sotto il naso, basta con le vecchie distinzioni fra l’alto e il basso della cultura! Bisogna rassegnarsi? Forse sì. Per cui, tornando al discorso della “location” e prendendo atto che a Roma l’Ara Pacis di Augusto è diventata la “location” di una mostra di auto elettriche, aspettiamoci tornei di burraco nelle aule dei consigli comunali, sfilate di moda nelle aule dei consigli provinciali, mercatini di vino cotto e ciauscolo nei teatri storici e financo Ruby “Mubarak” che dà lezioni di psicologia sessuale nelle scuole statali.
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Il “rampollo” Paciotti ha cacciato 1.000 euri?
dico la mia:
1- Il fatto che un bene sia pubblico non significa che debba essere usato solo da enti pubblici o per finalità pubbliche. Pensiamo ad esempio il caso di una compagnia teatrale privata che decide di allestire uno spettacolo per fini di lucro, o più semplicemente i permessi di occupazione di suolo pubblico che vengono concessi agli esercizio commerciali.
2 – Ovviamente il “prezzo” di cessione deve tenere conto di “chi” chiede il bene (privato? ente pubblico? associazione no profit? azienda?) e con quali finalità (lucro? finalità di interesse pubblico? finalità attinenti o non attinenti al luogo)
3 – Non trovo nulla di strano nel fatto che abbiano chiesto a Paciotti 15.000 € una tantum(una bella cifra che fa molto comodo per mantenere e tenere viva una truttura importante come l’anniba caro), trovo molto più strano che sia stata introdotta la regola d 1000€ per un matrimonio. Sarei curioso di sapere quanto chiede il teatro ad una compagnia che vuole esibirsi in quel teatro
e se nei 100€ sono compresi assicurazione per il bene.
4 – Ammetto che ci sono luoghi, che per il valore (simbolico ed artistico) che hanno sarebbe bene non cedere con leggerezza, ma questo dipende molto dalla sensibilità di chi deve decidere e dal momento storico.
Potrebbe essere un esempio da proporre alle scuole! Non cedere in affitto i locali per Nozze, ma per manifestazioni. Purtroppo la scuola dove insegnavo, essendo Istituto Superiore, quindi sotto la giurisdizione della Provincia, se non vado errata, quando l’ente organizzava qualche convegno, a quanto mi risulta, non riceveva niente.
be almeno si divertono