di Gabor Bonifazi
Le osterie hanno assicurato la continuità di un tipo di esistenza niente affatto monotona, attraverso un continuo ricambio di ambienti e di umori; erano infatti luoghi indispensabili a recuperare le fatiche e le mortificazioni del lavoro quotidiano delle categorie sociali più umili. Poi, quando le osterie si trasformarono in trattorie e le cantine in bar (la maggior parte chiusero per l’Iva o per l’avvento del registratore di cassa), si portarono via anche gli interminabili giochi che in questi luoghi si effettuavano soprattutto con carte talmente usurate da assumere una forma arcuata simile al coppo. Dai giochi di prestigio recitati a soggetto, agli interminabili solitari di persone infinitamente sole e di cui si diceva “puzzasse lu fiatu”, alle classiche quattrate tra coppie allegre e competitive a briscola e a tressette che finivano a volte in un gioco micidiale chiamato “passatella”.
La passatella era il classico gioco d’osteria, con origini nella Roma antica e praticato in tutto lo Stato Pontificio. Scopo del gioco era non far bere (impiccare) un partecipante per screditarlo ed umiliarlo lasciandolo a secco o come si diceva facendolo “olmo”. La passatella, come la morra, dava spesso origine a liti furibonde tra chi era annebbiato dal troppo e spesso “tristo” vino bevuto, tanto da finire talvolta in tragedia.
Un fatto di sangue accaduto a Camerino lo riporta il “Chienti e Potenza” del 21 ottobre 1902:
“Per una futile questione insorta in un’osteria del Borgo S. Venanzio, durante il maledetto giuoco della passatella, venivano alle mani il giovane Concetto Casoni ed il cinquantenne Pietro Merloni, ambedue calzolai di mestiere. Dopo una non breve colluttazione quest’ultimo, vedendosi sopraffatto dall’avversario, riescì a svincolarsi ed a rifugiarsi nella sua casa di là poco distante; ivi giunto peraltro si armò di un acuminato coltello da cucina e, tornato sul luogo della zuffa, inferse al Casoni una tremenda coltellata alla regione laterale sinistra del collo che, per la recisione della vena jugulare, determinava un’infrenabile emorragia.
Apprestategli le prime cure dai bravi militi della Croce Verde nella vicina Farmacia dell’Unione, veniva poco dopo trasportato dagli stessi all’ospedale, ove l’egregio Direttore della Clinica Chirurgica, prof. Attilio Catterina, immediatamente accorso, procedeva allo sbrigliamento e successivo tamponamento della ferita; ma invano, poiché il disgraziato Casoni soccombeva pochi minuti dopo in conseguenza dell’enorme quantità di sangue perduto.
Impossibile descrivere la desolazione dei genitori dell’estinto, specialmente del povero padre, laborioso operaio ed egregio cittadino, che, assente dalla città al momento del delitto, apprendeva la ferale notizia la sera, al ritorno alla sua abitazione. In tanta sciagura gli sia di conforto sapere che i sui concittadini prendono parte vivissima al suo dolore!
Ci viene riferito che l’uccisore, prima ancora che deponesse l’arma omicida ancora fumante di sangue, veniva coraggiosamente affrontato e condotto nella vicina caserma di Fanteria dal Tenente del Distaccamento sig. Cussino, coadjuvato dal soldato Amico Biagio e da Lui poi consegnato all’arma dei R. Carabinieri.
Una parola di meritato encomio al valoroso ufficiale e al bravo soldato.”
Una considerazione: della passatella, pur essendo un gioco tuttora proibito, figura infatti nell’elenco dei giochi vietatati dalla Questura, abbiamo perso completamente la memoria delle regole: monte premi, punto di primiera, principe, destinazione delle bevute e soprattutto quel pessimo uso pagano di far bere in modo barbaro fino all’ultimo goccio, altrimenti si doveva pagare la posta in gioco, al grido “Usque ad fundum”!
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Questa foto mi ha ricordato i bei momenti trascorsi nello spaccio di S. Lorenzo con tanti amici come quelli rappresentati in foto tra cui il mitico Cip che da qualche anno ci ha lasciati e insieme a lui tanti altri purtroppo che non ci sono più. Momenti sereni fatti di battute, scherzi e grandi bevute, tra una partita e l’altra magari mentre fuori la neve cadeva copiosa e il vino ci serviva anche per scaldarci l’anima e il corpo.
Oggi i luoghi sono ancora gli stessi, le persone no.