di Giancarlo Liuti
L’imporsi dell’individualismo – il successo a dispetto degli altri? – sta mettendo in crisi quei valori che invece esaltano l’unione, la collaborazione o, come s’usa dire, lo spirito di squadra. E ne fanno le spese anche le realtà territoriali, cominciando da quella nazionale e scendendo, via via, alle regioni, alle province, ai comuni. L’unità d’Italia? Secessione padana. Le Marche? Se n’è andato mezzo Montefeltro. La provincia di Macerata? Minacce di fuga nell’Anconitano, nel Perugino, nel Fermano. E qual è la benzina che alimenta questi fuochi? Rivendicare presunti diritti calpestati da nemici forestieri, trasferire all’esterno la colpa dei propri disagi, rimpiangere tempi remoti in cui chiudersi dentro le mura significava vivere meglio.
Prima domanda: il Maceratese è davvero un soggetto reale, nel senso che fra i suoi cinquantasette comuni esistono reali affinità geografiche, etniche, storiche, culturali, religiose e linguistiche? Seconda domanda: se il Maceratese lo è, come negare che l’intesa fra questi simili gioverebbe a ciascuno di loro e, nel complesso, al loro insieme? Terza domanda: posto che l’intesa sia utile a tutti, come negare che occorra un centro di raccordo e propulsione, cioè, per l’appunto, un capoluogo? Quarta domanda: se questo è vero, come negare che, per posizione baricentrica, consistenza demografica, storia e prestigio culturale, tale onore – anzi, tale onere – spetti a Macerata?
Ora i lettori diranno: ma queste sono domande retoriche, è ovvio che le risposte siano positive. Ovvio? Non tanto. Specie per la domanda numero uno e specie se la si rivolge, per esempio, a un cittadino della fascia costiera. Quali affinità fra Civitanova e Camerino, fra Corridonia e Serravalle, fra Monte San Giusto e Sarnano? Sono mondi diversi, non c’è nulla che li leghi. Così la pensano in tanti. E sbagliano. Perché qualcosa c’è. Anzi, c’è molto.
Lungo i fiumi Chienti e Potenza – binari di un treno sul quale, nei secoli, ha viaggiato l’andirivieni di tante vicende comuni – è corsa un’acqua che ha sparso sapere, ingegno, lavoro, civiltà. Prima ancora che Roma fosse fondata, con essa giunse il rilucente progresso dei Piceni. E il gusto per la sfida degli odierni imprenditori calzaturieri è stato portato prima dall’acqua dei Varano di Camerino, degli Smeducci di San Severino, del commercio avventuroso della seta, delle tecniche antiche della carta e della concia, poi dall’acqua paziente e tenace dei mezzadri di media e alta collina, poi dall’acqua geniale di Matelica, di Enrico Mattei. Con quell’acqua i monaci francescani di San Liberato a Sarnano (“Laudato si’, mi’ Signore, per sor’acqua, la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta”.) e i monaci cistercensi di Abbadia di Fiastra fertilizzarono le coscienze fino alle soglie dell’Adriatico. E su quell’acqua scese la suggestione dei capolavori dell’arte, del sentimento del bello e delle raffinatezze di corte, fecondando lo styling, il design, oggi, delle nostre manifatture. E il profumo della libertà si diffuse nelle valli per l’ardimento dei partigiani sui monti di Sarnano, Caldarola e San Severino, portato anch’esso dall’acqua del Chienti e del Potenza, mitici padri liquidi di un’identità forse non facile da sentire nei cuori ma che sarebbe assurdo disconoscere.
Ora lo spopolamento dell’entroterra, che tante ferite ha aperto dalla metà del secolo scorso, sembra essersi fermato. E c’è risveglio. Buon segno. Ma l’entroterra è ancora in debito. Un debito che se venisse finalmente pagato – il cosiddetto riequilibrio territoriale – ne guadagnerebbero tutti, la costa potendosi meglio difendere dai guasti della congestione, dell’inquinamento, dell’insicurezza, l’entroterra ricevendone opportunità, investimenti, risorse. Ecco un traguardo che deve impegnare a fondo la politica, le classi dirigenti. Come? Anzitutto facendo sì che quell’acqua torni indietro, non più nel corso dei due fiumi ma con un sistema infrastrutturale che ripercorra a ritroso le due valli – pensiamo in particolare alla valle del Potenza – e porti all’entroterra ciò di cui oggi l’entroterra ha in gran parte bisogno: iniezioni di quel moderno spirito d’impresa che negli scorsi decenni ha dato il via allo sviluppo impetuoso della bassa collina e del litorale. Su che cosa? Artigianato, enogastronomia, turismo, arte, cultura, paesaggio. Sono queste le carte vincenti dell’entroterra. Molte già pronte, molte altre da valorizzare. E attenzione: nel mondo che il futuro ci sta preparando, il Parco dei Sibillini varrà come cento calzaturifici.
Veniamo infine a Macerata e torniamo alla quarta domanda: se la provincia esiste, dev’esserne lei il capoluogo? Beh, Civitanova se ne renda conto: sì, dev’essere lei. Ma qui s’impone una quinta domanda: riesce, Macerata, a svolgere pienamente questo ruolo? Possedere la sede di importanti istituzioni provinciali non basta. Deve fare di più. E invece, contagiata anch’essa dall’andazzo del “fai da te”, sembra badare soprattutto alle proprie esigenze, magari governandole, va detto, con più lode che infamia. Ma un capoluogo dovrà pur occuparsi del luogo. E il luogo è la provincia, sono gli altri cinquantasei comuni. In questa direzione c’è stata, purtroppo, un’evidente mancanza di progettualità, di opere, di iniziative. Non risulta che Macerata, il numero uno, abbia mai chiamato a raccolta i restanti cinquantasei numeri per proporre loro un disegno di sviluppo generale, indicare soluzioni, porle in cantiere, superare divergenze, moderare i campanilismi (ci pensò Ciaffi, molto tempo fa, con l’idea della città dei centomila, un’idea che rimase nel limbo delle buone intenzioni). Oggi le ricorrenti polemiche con Civitanova (specialmente da Civitanova, con un’animosità imbarazzante e ardua da giustificare) sono, per l’appunto, il frutto dell’individualismo municipalistico. Una mediocre disfida fra due comuni. O meglio: un mediocre mettersi in gioco. O meglio ancora: un mediocre “Tuttingioco”. E gli altri cinquantacinque? Stanno a guardare. Forse pensando: “La provincia? Ma vada a quel paese!”.
(Clicca sulle foto aeree di Guido Picchio per gli ingrandimenti)
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Pennellate, davvero. Complimenti ancora!
Una bellissima provincia con posti incantevoli.
Molto bella anche la nuova pagina.
grazie per questa bellissima lettura, per questo spirito, per queste idee, per queste parole
valorizzare il nostro territorio , sembra una frase abusata e retorica, ma questo e’ il vero futuro: le foto poi parlano chiaro.
Macerata in effetti esercita il suo ruolo di capoluogo solo se si mette al servizo del territorio provinciale e guida uno sviluppo armonico dal mare alla montagna. D’altra parte la competizione aiuta tutti e chi vuol crescere “a dispetto degli altri” (non lo chiamerei individualismo che non è manco una brutta parola ma arroganza o masochismo) crea le condizioni per la propria crisi futura. Macerata non si deprima, guardi avanti, lavori con gli altri comuni e sviluppi tutte le sue varie potenzialità.
Gianni, Gianni… anche tu oramai perso nei meandri dello sterile politichese, delle frasi fatte: ma fa così male stare nel PdL???
Gianfranco, ti rassicuro, non mi sono perso nel politichese e nelle frasi fatte e il PdL non mi ha fatto poi così male… Sul serio, non credo sia scontata la concezione del ruolo di capoluogo che ho indicato, magari lo fosse. C’è chi pensa, io tra questi, che la competizione faccia bene, che vada affrontata e che vada accompagnata da un lavoro costante politico e amministrativo di dialogo e di aggregazione dei comuni, lavoro che deve essere guidato da Macerata; e c’è chi la pensa in altri modi. Ad esempio, nel decennio Meschini si è stati a guardare rispetto a ciò che avveniva sulla costa e influenzava la provincia; si è continuato a lasciare che le realtà limitrofe crescessero a spese di Macerata; non si è promossa e guidata alcuna strategia comune dell’entroterra maceratese per uno sviluppo equilibrato del territorio; e ogni tanto si ruggiva a vuoto secondo il vecchio e stanco copione del campanilismo.
Caro Gianni,
tutto il vocabolario delle frasi fatte, dei concetti riempiti di vuoto, degli interventi che non dicono nulla non fanno parte del mio bagaglio, anche se li ho sentiti centinaia di volte nel corso della mia “vita politica”.
E il tuo intervento ricordava tanto frasi abusate, le stesse frasi che, da 15 anni, ci propina Berlusconi che non ha cambiato di una virgola l’Italia (nonostante i tanti proclami fatti).
Parli di programi e di progetti ma non mi sembra che nel tuo schieramento ci sia un minimo di dialettica politica, un minimo di congressi reali e non virtuali, un minimo di partecipazione.
Il re decide tutto a livello nazionale (ed i capibastoni locali fanno lo stesso qui)
E nonostante i proclami non mi sembra che Citanò si sia sviluppata meglio che Macerata.
Piuttosto il massacro urbanistico edilizio e stato fatto in modo ancora più barbarico con speculazioni peggiori di quelle maceratesi..
Cavolo: ma da 10 anni c’è il centodestra a Citanò….
bell’articolo e belle foto!
…anche a S.Severino ha governato per quasi 40 anni credo il centro destra,infatti purtroppo si vedono i risultati!
Bella piazza si,pinacoteca interessante e poi?