Umbria, Marche ed ora Abruzzo
Le nostre province di cartone

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di Maurizio Verdenelli

C’è un titolo che in Umbria, Marche ed Abruzzo, le strade di gran parte del mio mestiere di giornalista (le altre sono legate alla Toscana e al Lazio) ho ripetuto sui “miei” giornali quasi con ossessività in 42 anni di faticosa testimonianza: La provincia di cartone. Un titolo che andava bene per l’Alto Maceratese e che invariabilmente andava bene per le province di Chieti o dell’Aquila. La provincia di cartone era una ‘segnalazione’ perfetta per quella macroregione dell’Italia Centrale, culla di una civiltà straordinaria. Unica, estesa provincia (adesso direbbero con altri intendimenti: Area Vasta) colpita all’inizio dell’800 da miseria e dunque emigrazione. Centri storici e città arrampicate su colle e montagnette franose come “un vecchio che è morente” –recitava senza edulcorazioni, poi intervenute, il testo di una famosa canzone di Jimmy Fontana: Paese mio. La storia di un’Italia che se ne andava al di là del mare e che crollava a terra. La terra del mezzadro povero e dei “cafoni” così come li descriveva Ignazio Silone: muniti di una corda per dissodare la terra aridissima, trascinandone fuori le pietre! Poi nell’80, l’Irpinia: 3.000 morti; nel ’97 Umbria e Marche devastate da un terremoto che avrebbe avuto una durata sismica d’incredibile, drammatica estensione: 6 mesi; ed ora l’Aquila con 150 morti accertati, 2.000 feriti, 70.000 senza tetto. Questi sono i dati noti nel mentre scriviamo, la sera di lunedì 6 aprile, primo giorno della Settimana santa della Pasqua 2009.

Quanta vicinanza tra Marche ed Abruzzo! Quella scossa interminabile delle 3.32 con epicentro Paganica, l’abbiamo sentita tutti noi umbro-marchigiani. Sopratutto nel cuore che batteva forte a ricordare un incubo solo da poco trascorso. Quante analogie nelle pieghe di una tragedia immane che torna a sbriciolare le nostre povere “province di cartone”!

Quei due fidanzatini di Onna -paese ora fantasma- morti abbracciati nel sonno nella loro casa “sbriciolata” non possono non farci ricordare Francesco e Maria Ricci, marito e moglie, morti abbracciati anch’essi nel crollo della loro casa di pietra nell’altipiano di Colfiorito, epicentro del sisma di 12 anni fa.

E quel ricercatore del CNR, Giampaolo Giuliani, inascoltato e pure denunciato per procurato allarme, non può non ricordare quel gentilissimo signore che aveva annunciato pubblicamente, nel ’96, un rovinoso terremoto nell’Alto Maceratese: sarebbe avvenuto “soltanto” un anno dopo, ma esattamente un anno dopo! Unica differenza seppur sostanziale: se il dottor Giuliani si è avvalso di elaborazioni scientifiche, il marchigiano traeva la sua ferma convinzione in modo sensibilmente più esoterico: da sogni (con al centro un giapponese, di una terra cioè dove i terremoti sono “di casa”) e da altri segni coincidenti.

Poi, se non nel bilancio dei morti, tutto pare terribilmente coincidente tra Umbria, Marche ed Abruzzo. La storia e l’arte ultracentenaria presenti in chiese, cattedrali, piazze, edifici monumentali che se ne vanno quasi in doppia dissolvenza incrociata sotto la spinta di scosse anche queste fino al 9° grado della Scala Mercalli. All’Aquila come a Camerino, come a Fabriano, come ad Assisi, come a Foligno! Una litania ripetitiva, il drammatico rosario di sequenze, di fotogrammi trasmessi dalle tv. Il racconto dei superstiti, la paura, il lutto, le lacrime, la disperazione e la devastazione. Inoltre: l’arrivo dei soccorsi, o il non arrivo. Quei ritardi della macchina organizzativa statale che sono endogeni evidentemente al nostro sistema ai quali fanno riscontro gli eroismi personali e collettivi dei soccorritori, dei Vigili del Fuoco, della Protezione civile e degli stessi abitanti. Storia anche questa ripetitiva, quasi un refrain tragico di un popolo abituato al sacrificio e all’impresa personale, destinati questi a dissolversi però di fronte ad una complessità che produce insuccessi. E che al massimo spaccia per successi semplici maquillages ricostruttivi, com’è avvenuto nelle celebrazioni del decennale del sisma umbro-marchigiano. “Ma quale ricostruzione completata! Manca ancora da fare il 40% e con questi chiari di luna non si farà ora più nulla! E’ andata poi perduta sostanzialmente l’opportunità di rilancio socio-economico di territori svantaggiati” dice l’ex sindaco di Serravalle del Chienti, Venanzio Ronchetti. Dello stesso parere o quasi, l’attuale sindaco di Camerino, prof. Enzo Fanelli che qualche settimana fa mi ha detto: “Credo in conclusione che davvero si sia persa una grande occasione!”.

Un colpo di tegola al capo lo aveva subito don Cesare Grasselli, parroco di Cesi. “Dormivo da giorni in auto, impaurito da tante piccole scosse. Poi, io sacerdote, mi sono fidato …dei frati dell’Osservatorio geofisico di Perugia che mi rassicuravano: non succederà nulla. Sono rientrato in casa per dormirci, proprio la notte del 26 settembre e quando ne sono uscito di corsa al primo rombo della terra ecco una tegola finirmi in testa!” scherza don Cesare.

Camerino non ha perduto abitanti: è sempre a quota 7.400. Tuttavia i centri vicini si sono spopolati” dice il sindaco. E don Grasselli: “Per fortuna ci sono i romeni, altrimenti la mia parrocchia di Acquapagana non avrebbe avuto più i numeri per esistere”. E Colfiorito? “Sempre gli stessi abitanti, ma i centri vicini sono fantasma” mi dicono.

La cicatrice del terremoto non è invisibile in Umbria e Marche. Anzi. Non lo sono state peraltro tutte quelle apertesi in precedenza nella terra di San Francesco martoriata costantemente da scosse telluriche. Lo posso testimoniare io, in 42 anni di mestiere. Ed ho chiaro il timore che all’Aquila –per 5 anni ho diretto la redazione abruzzese de “Il Messaggero”– non andrà diversamente. Perché il nulla, la distruzione delle radici subentrano alla storia, all’arte, alla memoria di una civiltà che non preserviamo abbastanza. Perché non bastano i titoli dei giornali… e qualche “facciata” imbiancata per annunciare trionfalmente da parte delle autorità in campagna elettorale, che tutto è passato. Niente invece sarà come prima.

E se ricostruiamo la basilica di San Francesco (Federico Zeri ce l’ha insegnato: Non solo Assisi) non possiamo ricostruire tutte e per intero le tracce che danno “lettura” di un’Italia dell’Arte che si sbriciola. Due dati: nelle Marche sono stati danneggiati 2.385 edifici monumentali. Restaurati? 85.

Calamità dopo calamità, il Paese “di cartone” si spopola lasciandoci “sogni” che tremano anch’essi ed un’angoscia interna che non se ne va. Quella stessa che spingeva gli abitanti di Serravalle di Chienti, anche a distanza di due anni dalle prime scosse, a chiedere alla farmacia ospitata anch’essa nei mom, flaconi e flaconi di tranquillanti. Un terremoto è per tutti coloro che lo subiscono una “piccola morte” e lo è anche per una comunità. A maggior ragione e soprattutto per tutte quelle piccole, grandi capitali del Rinascimento e della civiltà disseminate nel ventre, reso molle dall’imprevidenza, dell’Italia di cartone.

 



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