Luigi Sileoni, il “picconatore” maceratese

Protagonista della politica maceratese per decenni, ha sempre sviluppato un ruolo propositivo per il futuro del territorio. E' stato anche uno dei "padri" della stagione lirica

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verdenellidi Maurizio Verdenelli

 A sfilare nella chiesa-bunker di via Barilatti davanti a quella bara posta a terra davanti all’altare c’era sabato pomeriggio, tutta (o quasi) l’ex Balena Bianca e dintorni, soprattutto ex Pri e Psi (leggi l’articolo). Il Potere democristiano del dopoguerra di quando Macerata era, seppure nei bagliori di un preannunciato declino, ancora ‘granne’. Davanti a quell’eterno ragazzo della Dc demitiana (ciaffiana nella ’vulgata’ locale), a colui che Ballesi e tutti i grandi ‘vecchi’ patres coscripti dello Scudocrociato definivano ‘schioppittu’ (“Tu sei un piccolo fucile rispetto a noi grosse Berte, cannoni della politica” spiegavano), davanti a quella bara di legno chiaro, tutti in un pomeriggio quasi agostano, hanno creduto di sostare. Anche il vecchio cronista che scrive che di Sileoni era stato notoriamente il nemico (pubblico) numero uno, sin dai tempi della sua dirigenza all’interno dell’ospedale cittadino. Talmente ‘avversario’ da arrivare a querelarlo. Era stato quando Sileoni, allora presidente della Provincia, mi aveva scritto una lettera delle ‘sue’, di fuoco insomma che Flavio Pianesi (ufficio stampa) aveva creduto di protocollare come ‘comunicato stampa’. Non lo era, ma si andò lo stesso davanti ai giudici. Tutto finì, naturalmente, con la remissione di una querela alla quale i giornali locali avevano dedicato locandine e titoli a nove colonne.

 

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Luigi Sileoni (a destra) con l’ex sindaco di Recanati Fabio Corvatta

A titolo di risarcimento volontarissima, Luigi (difeso dall’avv. Medei) in aula un grattino acquistato poco prima. Da lì nacque una sincera amicizia. E negli ultimi anni si sorrideva anche di quegli inizi. Così lui mi fece partecipe di molti dei suoi progetti pubblici. Teneva soprattutto ad una cosa, ad un suo ruolo che nei ‘coccodrilli’ di questi giorni non gli ho visto riconosciuto. Sileoni si considerava, bisogna dire a ragione, come uno dei padri fondatori della stagione lirica, allorché il sindaco Elio Ballesi aveva incaricato lui, l’assessore più giovane, a contattare Mario del Monaco (che poi a Macerata mandò l’assistente, Gian Paolo ‘Micio’ Projetti) e Carlo Peducci. Allo Sferisterio, Sileoni è stato sempre molto legato. Tanto da associare –‘pochi se lo ricordano’ sogghignava- addirittura l’Ucraina, ai tempi in cui tra Macerata e Kiev i rapporti erano fiorenti. Erano i tempi in cui la Provincia si era scrollata definitivamente la sempiterna ‘aria’ da prefettura per diventare un ente attivo, manageriale. Un percorso iniziato dal precedente presidente-artista Nicola Mancioli e portata a termine proprio da lui, Sileoni. In giunta c’era pure un certo Antonio Pettinari, assessore alla Viabilità e Trasporti (“un amministratore di provata onestà, adamantina” ha detto di lui fino all’ultimo Luigi). L’immaginazione al Potere non era solo uno slogan. Di slogan, essendo lui un vero comunicatore, ne aveva coniato uno leopardiano e di successo: “La Provincia delle armonie”. Inoltre il presidente pensò a Villa Lauri come ad una futura, ideale location per film dove l’ambiente del parco secolare l’avrebbe fata da padrone. Venne Carlo Rambaldi, padre di King Kong ed E.T., venne il presidente dell’Agis, sembrava fatta. Poi, uscito di scena Sileoni, non si fece più nulla. Rambaldi prese i suoi trofei, gli Oscar e li portò negli studios di Terni. Era un vulcano. Sileoni. Non stette a fare il pensionato della Dc, o della Sanità pubblica. Era diventato un imprenditore ed un suo progetto per la Cittadella dello Sport al Centro Fiere di Villa Potenza naufragò per un niente, ai tempi del sindaco Meschini. Alle ultime amministrative lanciò una nuova lista: “Libertà comunali’.

 

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I funerali celebrati sabato nella chiesa di Santa Madre di Dio

Una delle ultime volte che l’ho visto fu a cena con Pistarelli, quando mi fece leggere una sua bella poesia in dialetto sulla politica locale. L’ultima in assoluta, fu una cena ‘oceanica’ quando lo elessero presidente della Robur: “Devi farmi da addetto stampa! Ho tante idee”. Non lo sentii più, se non al telefono. La malattia non concedeva più dilazioni. E sono  convinto che se ne sia andato come tutti coloro che amano disinteressatamente questa città algida e neghittosa, che si nega continuamente alle migliori intelligenze. Con un forte sentimento di delusione e d’amarezza (alleviato solo dalla profonda soddisfazione per la propria. splendida famiglia). Convinto che da sola la politica, con le sue scatole cinesi e i veti incrociati, non basta per cambiare una città ed indirizzarla al rinnovamento.

Così come non servirebbero a nulla liste promosse eventualmente dal giornalismo, e quindi dall’opinione pubblica. Sarebbe una sconfitta per l’una e per l’altra. Servirebbe solo togliere ‘le mani sulla città’. Perché, come alla fine dovette comprendere lo stesso Luigi, anche le migliori idee non bastano.



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