
di Federico De Marco
Don Luigi Ciotti, un prete senza tonaca, senza paura e con due riferimenti imprescindibili: il vangelo e la costituzione. Ieri sera è stato ospite nell’auditorium San Francesco di Morrovalle per l’incontro “Il coraggio di avere coraggio” organizzato dalla Consulta delle aggregazioni laicali dell’Arcidiocesi di Fermo.

Don Luigi Ciotti
Don Ciotti è costretto a vivere sotto scorta perché “condannato a morte” dai boss mafiosi e in tanti lo chiamano prete di strada, prete antimafia e antidroga. Ma ci tiene a puntualizzare: «Respingo con forza queste definizioni, sono da cancellare. I preti sono preti. L’impegno più difficile non è il mio, che svolgo anche con gioia, ma quello di tutti i parroci delle parrocchie nel territorio. Io sono prete e basta, innamorato di Dio con tutte le mie fatiche e i miei limiti ma anche con la gioia di spendere la vita per dare speranza a tante persone. Siamo preti e tutti facciamo la nostra parte, chi in un modo chi nell’altro».

Ciotti è un radiotecnico e all’età di 17 anni, dopo un incontro che lo ha segnato profondamente, decide di dedicare la sua vita agli ultimi. Fonda, tra le altre cose, il Gruppo Abele, per aiutare tossicodipendenti e altri emarginati, poi negli anni ’90 costituisce la rete di associazioni Libera per contrastare le mafie e la criminalità organizzata. «Mafie e corruzione ci impoveriscono tutti e sono tornate più forti di prima. – spiega don Ciotti – Trentatré anni fa l’Italia è esplosa di dolore e di emozione, ci fu una grande scossa con le stragi di Capaci di via D’Amelio con due grandi magistrati e i ragazzi della Polizia spazzati via. Oggi siamo tornati indietro. Questo non toglie il merito dei notevoli passi in avanti che son stati fatti, ma le mafie sono cambiate. Non c’è regione d’Italia che può considerarsi esente dalle mafie. Oggi hanno cambiato strategia e alleanze, sono diventate adattive, transnazionali e in alcuni casi altamente tecnologiche. Per loro l’intelligenza artificiale diventa intelligenza criminale, i grandi boss sono diventati imprenditori e manager. C’è tanta gratitudine verso le istituzioni, che sono sacre. Ma dobbiamo saper distinguere tra la sacralità delle istituzioni e chi le governa. E per me la prima grande istituzione sacra è la scuola».

Nell’auditorium San Francesco si sono presentate circa 500 persone tra autorità, laici, tantissimi ragazzi, famiglie e scout, alcuni addirittura non sono riusciti ad entrare per motivi di sicurezza. Don Luigi Ciotti conclude con una testimonianza e una riflessione: «Qual è la missione della Chiesa? Ho cercato di fare anche un po’ mie le parole di un grande gesuita studioso della parola di Dio, l’arcivescovo Carlo Maria Martini: “La missione della Chiesa è essere coscienza critica della società in cui vive e voce propositiva dei valori più alti e vitali”. Non possiamo dimenticarci che anche la Chiesa deve abitare la storia. Dobbiamo avere il coraggio di essere una coscienza critica quando tocchiamo con mano che le cose non funzionano e che calpestano la dignità e la libertà delle persone. Ci sono momenti nella vita in cui tacere diventa una tomba, e parlare diventa un obbligo morale, un responsabilità civile, un imperativo etico. Non possiamo rimanere spettatori. Il cristiano non può restare in disparte di fronte alle ingiustizie, alle violenze, a quello che succede. Non possiamo. I cristiani – dice ancora Don Ciotti – sono chiamati tutti a fare la propria parte, a guardare il cielo ma senza dimenticare le responsabilità che abbiamo quaggiù sulla terra, a riconoscere in Cristo la condizione di milioni poveri cristi. E allora non è solo un Dio da conoscere ma anche un Dio da cercare e un Dio da accogliere. L’accoglienza è la vita che accoglie la vita, e non ci può essere una vita che offende e mortifica la vita di altri».





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