Ivano Tacconi, ex consigliere comunale
di Luca Patrassi
Ha una lunga carriera alle spalle ed ancora voglia di immaginare il futuro. Ivano Tacconi, 37 anni passati in Comune come consigliere comunale, ha qualcosa da dire sul dibattito in corso a Piediripa, tra una Valleverde bloccata da decenni e un centro commerciale ipotizzato.
Passano i decenni, ma i governanti pro tempore sembrano avere lo stesso approccio “pragmatico”, a prescindere dalle coalizioni e dalle coloriture partitiche. Prima regola: no. Seconda regola ancora no in particolare a iniziative che possano disturbare i presunti elettori di chi governa. «Negli anni Ottanta mi sono battuto a lungo per portare lavoro e benessere per il tramite dell’insediamento di industrie innovative, in particolare ricordo che avevamo individuato un’area a Piediripa. C’erano stati contatti con un celebre imprenditore del settore elettromedicale, avevamo parlato con i rappresentanti del Governo ai massimi livelli (il presidente del Consiglio e il ministro dell’Industria) per avere sostegno nelle interlocuzioni, avevamo anche presentato un ordine del giorno, poi approvato, al Consiglio comunale per sostenere quel tipo di iniziativa. Alla fine il tutto si bloccò: il sindaco e l’amministrazione comunale di allora erano contrari, non volevano le industrie, neanche quelle dei “camici bianchi” nel timore che poi gli operai votassero a sinistra. Non se ne fece nulla, ci fu una vicenda analoga a Sforzacosta, dissero no a una azienda che si occupava della produzione di elicotteri».
Sono passati 40 anni, il capoluogo paga anche le scelte di allora. Gli uffici pubblici non assorbono più migliaia di dipendenti (Comune, Provincia, Regione, Azienda sanitaria, caserme), molti i giovani laureati che vanno all’estero. E’ stata urbanizzata un’area, Valleverde, che non ha visto mezza richiesta da parte delle imprese anche per effetto della carenza infrastrutturale.
Ora si parla di nuovi centri commerciali, osserva Tacconi: «Non si crea sviluppo con un centro commerciale che magari toglie spazio a quello vicino, bisogna essere attrattive per le imprese, sostenere chi produce». Ivano Tacconi ricorda quella battaglia (persa) degli anni Ottanta ed allega anche documenti, articoli di giornale e tra questi quello di “un tale” Ersilio Tonini, allora vescovo di Macerata diventato poi cardinale e riferimento di diversi Papi, che chiedeva che «le nostre Marche vedano presto il rilancio economico cui la gente ha diritto». Erano gli anni Ottanta, sembra un appello di oggi.
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Troppo difficile da capire
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ha ragione Ivano, le teste sono rimaste le stesse e quello ricorda Ivano sulle fabbriche è vero: la scuola è sempre la stessa e non produce alcun frutto. A questo punto, non andare a votare è la minima cosa da fare e mi sembra che anche i Maceratesi l’abbiano capito.
Caro Tacconi lo vada a dire alla nostra classe dirigente locale che ha avuto a fianco in quegli anni: una piccola borghesia di stampo sudamericano ed anche un po’ stracciona (nel senso figurato del termine ca va sans dire). A qualcuno la potrebbe cantare ancora ed anche in personalmente. Sognavano una piccola Arcadia (Macerata) dove con le professioni, la politica, la banca l’università ed un eterno contado dove c’erano quelli che faticavano e che non sapevano stare a tavola. Ma che importa; poi, giocoforza, sarebbero dovuti passare nella Civitas Mariae a pagare i dazi ai rentier parassitari che stavano dentro alle mura cittadine. In pratica una replica del modello che per secoli aveva lasciato la società cristallizzata. Del capitalismo avevano annusato solo l’odore dei soldi, ma non avevano capito la sua forza selvaggia, forse ingiusta, ma che alla fine, non guarda in faccia nessuno ma solo chi sa offrire qualcosa di più a minor prezzo. In fondo, sotto sotto, disprezzavano quegli arrichiti che si erano fatti la fabbrichetta e non sapevano mettere una parola dietro l’altra. Poi la fabbrichetta avrebbe allevato dei comunisti che avrebbero potuto portare scompiglio nel loro piccolo mondo. Figuriamoci una grande impresa: avrebbe significato una fabbrica di comunisti in batteria. Pussa via! Lontano da Macerata Granne. Il modello, mutatis mutandis, si è replicato con la questione delle Banca delle Marche. La medesima borghesia stracciona che sedeva nelle austere sale della fondazione ha saputo distruggere in quindici anni una banca che per arrivare dove era arrivata ne aveva impiegati centocinquanta. Sarebbe interessante ragionare su queste cose non per ridurre la questione a battaglia politica ma per evitare tanti errori possano essere evitati, ma a quanto pare la questione non interessa nessuno.
Facevano schifo e fanno schifo come ho sempre pensato.
Bravo Ivano, condivido tutto quel che tu hai affermato.
Ciò che dice l’Amico Ivano è vero. Certi democristiani di allora temevano che le fabbriche grosse avrebbero favorito il PCI. Ma perché non aggiungere che sono state pure le idee strampalate di quelle amministrazioni, come quella di fare passare la strada di collegamento tra il polo industriale di Valleverde e il capoluogo, volendola fare passare sotto Le Fosse, a bloccare lo sviluppo di Valleverde. Non ultimo quello di non creare lo svincolo della superstrada a San Claudio, che, oltre a Valleverde, avrebbe favorito il Cityper.
Adesso, dopo avere isolato il Capoluogo, si continua su quella politica isolazionista del Capoluogo, di Macerata, come pure quello di Corridonia, portando fabbriche, scuole, ed altro verso la pianura e lungo i fiumi. Dove, oltre alle fabbriche e ai supermercati, si continuerà a costruire civili abitazioni.