L’Utic al top per l’infarto miocardico acuto,
alla guida la maceratese Micaela Capponi:
«Lavoro, dedizione e spirito di squadra»

INTERVISTE AI PRIMARI - La dottoressa dirige il reparto dell'Ast di Macerata dal 2019: «Ho rischiato di perdere la vita a 23 anni, mi è stata data una seconda possibilità, ho capito di non potermi permettere di sprecare nemmeno un minuto di questo nuovo tempo, per onorare l’amore che ho ricevuto»

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Micaela Capponi

di Luca Patrassi

«Sono nata in questo ospedale diversi anni fa ormai». Si apre così il colloquio con la dottoressa Micaela Capponi, responsabile dell’Utic (Unità di terapia intensiva cardiologica) dell’Ast di Macerata, una maceratese dunque che così presenta il suo percorso formativo e professionale: «Ho studiato al liceo classico Giacomo Leopardi che rifarei altre 100 volte per la completezza della formazione che ho acquisito, ho poi deciso che fosse ora di tagliare il cordone ombelicale e sono andata alla Cattolica a Roma per laurearmi in Medicina e Chirurgia. Sono partita con l’idea di volare lontano ma poi, come spesso capita, la vita ha scombinato i miei piani, sono tornata ad Ancona per specializzarmi in Cardiologia, dal dicembre 2004 lavoro a tempo indeterminato nell’unità operativa complessa di Cardiologia e dall’aprile 2019 sono responsabile dell’unità operativa semplice di Terapia intensiva cardiologica».

Micaela-Capponi_UTIC_Ospedale_FF-2-650x434Ci presenta il suo reparto?

«Tra pochi giorni saranno vent’anni dall’inizio della mia avventura lavorativa nell’ospedale della mia città, prima l’ unità di terapia intensiva coronarica (così si chiamava) si trovava al primo piano, adiacente alla Rianimazione. Trattavamo farmacologicamente con la fibrinolisi l’infarto acuto del miocardico che adesso si cura prevalentemente mediante la rivascolarizzazione meccanica, monitorizzavamo i pazienti per qualche giorno e poi organizzavamo “trenini” di ambulanze per accompagnarli presso l’Emodinamica di Ancona per eseguire lo studio coronarografico e l’eventuale angioplastica. Adesso la terapia intensiva si chiama cardiologica, la nostra si è spostata al quinto piano, è la seconda delle Marche per numero di posti letto e volume di lavoro: ricoveriamo circa 650 malati l’anno affetti da infarto miocardico acuto st elevato e non st elevato, da scompenso cardiaco acuto, da tachiaritmie e bradiaritmie pericolose per la vita, centralizzati non solo da tutta la nostra provincia ma anche dalla porzione della provincia di Fermo che confina con la nostra con un tasso di occupazione del posto letto del 166% (tradotto dalla statistica, può accadere che nell’arco di una giornata un paziente torni nel reparto non di cura intensiva o venga dimesso e un altro entri, ndr), abbiamo uno dei tassi di mortalità a trenta giorni tra i più bassi d’Italia per l’infarto miocardico acuto anche e soprattutto grazie all’egregio lavoro ed al supporto costante della nostra unità operativa dipartimentale di Cardiologia interventistica diretta dal dottor Francesco Pellone».

Micaela-Capponi_UTIC_Ospedale_FF-5-325x217Le sue parole guida?

«Questi risultati non si raggiungono per caso, ci vogliono tanto lavoro, tanta dedizione e sacrificio, spirito di squadra e voglia di rimettersi sempre in gioco; tutto quello che stiamo cercando di costruire in questi anni con i colleghi e con il motivato team infermieristico gira intorno a questo atteggiamento con al primo posto, sempre, il paziente e le sue necessità come persona nella sua totalità e complessità. Non è retorica purtroppo, per me è vita vissuta essendo stata in giovane età anche io paziente ed essendomi ripromessa di non dimenticarmene mai. A monte di tutto sta la gratitudine verso mio padre esempio costante di vita e per la professione, verso il dottor Domenico Mazzara, medico e marinaio che per primo ha creduto in me ed ora ci guarda dal cielo e verso il dottor Carlo Costantini, responsabile dell’Utic di Ancona prima, poi primario della Cardiologia di Jesi, ora in pensione, luce di conoscenza, di gentilezza e di disponibilità»

Micaela-Capponi_UTIC_Ospedale_FF-3-325x217Guida l’Utic che già nella parola sembra animata dall’emergenza. Alla voce prevenzione cosa dice?

«La prevenzione è fondamentale, ma è difficilissima da fare. Quando in ambulatorio o durante la visita in Utic, mi permetto di far notare ai pazienti che non si trovano lì per caso, ma a causa di uno stile di vita ed atteggiamenti sbagliati, faccio veramente tanta fatica a farmi capire e questo è abbastanza frustrante. Bisogna però insistere dato che è l’unica strada per cercare di limitare la progressione della malattia cardiovascolare che, nonostante i progressi fatti nel trattamento, rimane ancora la prima causa di morte nei Paesi cosiddetti “industrializzati”».

Tempo di bilanci o di obiettivi?

«Sempre tempo di entrambi perché il bilancio è solo il trampolino per raggiungere nuovi obiettivi. Ho rischiato di perdere la vita a 23 anni, mi è stata data una seconda possibilità, ho capito di non potermi permettere di sprecare nemmeno un minuto di questo nuovo tempo, per onorare l’amore che ho ricevuto dall’alto con doni grandissimi, primi fra tutti i miei due figli e mio marito».

Micaela-Capponi_UTIC_Ospedale_FF-4-325x217Si parla molto di sanità pubblica, è un concetto da difendere o un modo di vivere la professione?

«Fin da bambina ho respirato solo l’aria ed ho sentito parlare solo di Sanità pubblica, non capivo nemmeno come potesse funzionare qualcosa che non fosse la Sanità pubblica. Ho sempre sentito mio padre dire che in Italia era stato realizzato il miglior sistema sanitario del mondo e che era un onore far parte di questa organizzazione. In questi ultimi tempi le cose purtroppo sono molto cambiate, magari non negli intenti ma sicuramente nella pratica di tutti i giorni. Le solite cose: il personale a tutti i livelli manca, quello che c’è è costretto a lavorare in condizioni che spesso rasentano il surreale ed il paradossale, l’aggressività serpeggia quasi costante nel rapporto medico-paziente, la stanchezza ed il peso delle responsabilità a volte sono davvero schiaccianti. Con questi presupposti non si va da nessuna parte ed è normale che i giovani medici cerchino altre strade, altre specializzazioni senza l’obbligo del turno e meno impattanti dal punto di vista medico-legale. In realtà la fuga all’estero è solo una delle altre opzioni che si tentano per ottenere una gratificazione maggiore ed una qualità delle vita migliore, poi spesso l’abitudine fa il resto e si rimane lontani. Sicuramente dobbiamo ritornare ad essere più attrattivi e deve migliorare l’organizzazione del sistema perché, dal punto di vista delle competenze siamo davvero avanti, ma forse ci mancano la capacità di gestione e la visione d’insieme al di là dei particolarismi».

Suo padre ha fondato e diretto con brillanti risultati la Nefrologia dell’ospedale di Macerata. Lei ha scelto una strada un po’ diversa, un caso o una scelta?

«Forse nessuna delle due perché a mio avviso il caso non esiste e certe scelte semplicemente accadono, sono le sliding doors della vita, quegli scambi strani per cui ad un certo punto pieghi nonostante la tua volontà in una direzione piuttosto che un’altra. Forse non è così noto che mio padre aveva intrapreso la strada della chirurgia dopo la laurea, ma mi permetto oggi di dire che non sarebbe stato un buon chirurgo o perlomeno non quanto è stato un grande medico. La sua destinazione era creare la Nefrologia e la Dialisi nel Maceratese e così è stato, la mia destinazione era un’altra, ovviamente ad un livello molto più basso, ma la cardiologia è un vestito che effettivamente mi sento molto più fit, mi piace poter fare diagnosi direttamente ed avere in mano strumenti terapeutici validi per far stare bene le persone, e per un’impaziente come me anche i tempi rapidi della terapia intensiva sono più divertenti».

(foto di Fabio Falcioni)

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