Andrea Blarasin
Un ordine del giorno per intitolare un luogo pubblico di Macerata a Sergio Ramelli, una delle vittime degli Anni di Piombo.
Lo ha presentato, in nome di una «riconciliazione collettiva che accomuni in un’unica pietà tutte le vittime innocenti e come monito alle generazioni future» il consigliere di Fratelli d’Italia Andrea Blarasin e sarà discusso nella seduta del Consiglio comunale del 29 aprile, esattamente nel giorno dell’anniversario numero 49 della morte di Sergio Ramelli, un diciottenne che il 13 marzo del 1975 fu aggredito a colpi di chiavi inglese (hazet 36) da un commando di Avanguardia Operaia, gruppo di estrema sinistra.
«Sergio Ramelli – si legge nel documento sottoscritto anche da tutto il gruppo Fratelli d’Italia e da altri consiglieri di maggioranza – era un ragazzo come tanti altri, che viveva i suoi 18 anni diviso tra lo studio, la passione per il calcio (giocava nelle squadre del suo quartiere), la fidanzata e la militanza politica nel Fronte della Gioventù. Frequentava l’Istituto tecnico Molinari di Milano, quando fu bollato con il marchio di “fascista” solo per aver scritto un tema in classe in cui biasimava gli omicidi delle Brigate Rosse. Erano gli anni Settanta, gli anni in cui vigeva la barbara legge dell’ “antifascismo militante” in base alla quale chiunque non professasse idee comuniste era considerato un nemico da colpire e, possibilmente, da abbattere. Fu così che Sergio dovette subire un “processo popolare” nella sua scuola, indifeso dai professori, dal preside, dai suoi stessi compagni. Fu così che venne aggredito più volte ed espulso dall’Istituto senza che le autorità scolastiche e la stampa si opponessero a questa che era ormai solo una delle tante, troppe violenze perpetrate dall’estremismo politico. Sergio Ramelli fu costretto a cambiare scuola, ma non volle tradire i suoi amici e le sue idee continuando a frequentare il Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Msi. Questa sua semplice coerenza, questo suo giovanile coraggio gli valsero la condanna a morte. Identificato, minacciato, inseguito, poi aggredito in un bar, insieme al fratello e, infine, atteso sotto casa, il 13 marzo 1975. Per colpirlo si era mosso un commando di 8 persone che neppure lo conoscevano e che utilizzarono una foto “segnaletica” scattata da un suo compagno di classe. Lo aggredirono mentre legava il motorino e gli sfondarono il cranio a colpi di chiave inglese. Per quel giovane martire, rimasto vittima di una violenza assurda e sconvolgente, non fu però neppure possibile celebrare un dignitoso funerale. Il ricatto della violenza rossa e la viltà delle autorità politiche arrivarono persino a proibire il corteo funebre».
La vicenda giudiziaria ricordata da Andrea Blarasin: «Fu solo per caso che, dieci anni dopo, nel corso di un processo a Prima Linea, saltò fuori un gruppo di pentiti che accusarono il servizio d’ordine di Avanguardia Operaia di aver assassinato Sergio Ramelli. Solo così, uno dopo l’altro, saltarono fuori i nomi dei responsabili e, tra essi, anche quelli di esponenti politici “di spicco” di Democrazia proletaria. Tutti furono arrestati e confessarono. Poco per volta l’opinione pubblica riuscì, però, a comprendere che quelli non erano stati anni “formidabili”, come li aveva descritti Capanna, ma un’autentica tragedia nazionale il cui terribile bilancio (in termini di morti e di degrado sociale) ha pesato sulle generazioni successive e ancora gravemente incide sulla vita di noi tutti».
«A distanza di tanti anni da quell’omicidio – conclude Blarasin – 34 città italiane hanno ufficialmente incluso nella loro toponomastica il nome di Sergio Ramelli, Ascoli e Civitanova tra le più recenti nelle Marche. Quasi tutte le delibere che hanno accompagnato le intitolazioni da parte di amministrazioni comunali di ogni colore politico (anche di centro-sinistra, come a Verona o a Modena) hanno riportato la motivazione che fu scritta dal compianto on. Nicola Pasetto: “In nome di una pacificazione nazionale che accomuni in un’unica pietà i morti di un periodo oscuro della nostra storia e come monito alle generazioni future affinché simili fatti non debbano più accadere”».
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Io proporrei di intitolare un luogo a ciascuna delle ottantacinque vittime della strage di Bologna, opera di terroristi di estrema destra con la complicità di pezzi dell'apparato dello stato a loro contigui.
Il 25 aprile è divisivo. Se sei fascista.
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La violenza politica in quegli anni vide vittime sia di destra che di sinistra e a volte nemmeno schierati (mi riferisco per esempio alle vittime delle stragi neo fasciste da Milano a Bologna passando per Brescia) . E allora perché questa pacificazione prendere come simbolo una vittima di una sola parte ?
A Macerata, senza nulla togliere al ricordo di Sergio Ramelli, sulla cui intitolazione sono d’accordo, avrei innanzitutto fatto un evento per ricordare gli ottant’anni dall’assassinio del filosofo Giovanni Gentile, ma forse qualcosa è già in programma e io non ne sono a conoscenza. gv
Pura follia … Cioè: per “riconciliare” tutti, onoriamo tutti un’unica vittima purché, però, sia una vittima neofascista (una sola, quella, tra le centinaia di destra, di sinistra, di nessuno schieramento vittime di una stagione che vide “14.591 atti di violenza politicamente motivati contro persone o cose”!). E lo si propone, con puntualità sconcertante, proprio nel 40° anniversario della strage neofascista di Brescia. Ma che memoria storica è questa, se non una memoria tragicamente di parte? E si fa quella proposta, addirittura, alla vigilia del 25 aprile, quando per riconciliarci tutti c’è un solo modo: riconoscersi tutti nell’atto fondativo della Repubblica frutto della liberazione dal fascismo, quindi dicendosi e sentendosi tutti antifascisti.
Chiedono alla Meloni se è antifascista. Significa che siamo arrivati ad un punto di rimbambimento tale che possiamo dire di tutto. Dall’altra parte vorrebbero opporsi alla destra perseverando a ripresentare le stesse facce, formate per lo più da trasformisti per continuare a succhiare il sangue agli italiani. Se ne salvano quanti, uno.. due.. tre, ma non fa più politica dopo essere scappata a gambe levate visto che in quel partito c’è qualcuno ancora con la faccia tosta da insistere dopo aver trascorso anni tra renzismo e fallimento personale ma che è ancora in cerca di una poltrona. Per fortuna è talmente inutile che verrà battuto da chi è come lui però più furba. Ma andate a parare le pecore tutti e due che fate meglio, questa politicamente è la mia più alta espressione con cui gratificarli visto i risultati finora raggiunti. Ma se qualcuno non vi sta bene perché cercare tra chi si sa già che non può essere l’alternativa, almeno che chi lo sostiene come spesso accade spera di avere il suo tornaconto e che però si accorgerà ben presto che dovrà aspettare altri cinque anni per risbagliare di nuovo. Tornando all’articolo, questa riappacificazione non ho ben capito chi la cerca anzi vedere certi politici partecipare mi sanno tanto di imbucati ad una festa dove nessuno li vuole. A me pare che ognuno cerchi solo il potere.
Caro Massimo, cosa potevi aspettarti da chi ha fatto la proposta?