Nuovo regolamento di polizia e movida:
«Impostazione troppo punitiva
e interventi persino nelle private dimore»

MACERATA - L'ex dirigente Gianluca Puliti commenta i 52 articoli del documento approvato nei giorni scorsi: «La disposizione è una scivolata illiberale. Fino ad oggi la Polizia locale svolgeva un’opera di moral suasion nei confronti degli esercizi commerciali che tendevano a esagerare con musica e rumori, in forza di una discrezionalità dettata dal buon senso. Ci sono anche articoli involontariamente umoristici»

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Gianluca Puliti, ex dirigente comunale

Come si conciliano il nuovo regolamento di polizia e sicurezza urbana del Comune di Macerata e i divieti che contiene con la vita cittadina, ad esempio la movida? Male, secondo Gianluca Puliti, ex dirigente del Comune in pensione che sottolinea: «Sono cinquantadue articoli pieni di divieti e di prescrizioni a cui corrisponde, a carico delle forze di polizia locale, uno speculare obbligo di farli rispettare e di sanzionare le condotte ad essi contrarie. Prendiamo, per esempio, il tema affrontato dall’art. 42 del regolamento, che disciplina la convivenza tra le funzioni residenziali e le attività di esercizio pubblico, commerciale, artigianale e di svago nelle aree private e pubbliche del territorio del Comune. Con questo articolo si dettano norme assai stringenti per i pubblici esercizi, compresi i bar e gli altri locali di ritrovo, che poi sono quelli che contribuiscono a rendere vitale il centro storico. D’ora in poi, dopo la mezzanotte, questi locali dovranno evitare la propagazione di suoni e rumori udibili all’esterno del locale. Quindi la musica, se è percepibile dalla strada, non è più permessa a prescindere se essa sia fonte o meno di concreto e reale disturbo. La locuzione “suoni e rumori”, inoltre, esprime un concetto assai più ampio della semplice riproduzione della musica. Anche gli avventori, infatti, possono fare rumore, com’è facile che accada soprattutto durante la bella stagione. Questi locali, nei loro dehors, potranno, sempre non oltre la mezzanotte, utilizzare impianti di diffusione sonora a condizione che sia emessa una musica di sottofondo tale da non sovrastare la voce delle persone presenti ai tavoli e comunque non udibile a una distanza di 5 metri dall’occupazione.

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Controlli durante la movida

A prima vista sembrano norme utili a preservare la civile convivenza tra le persone. Ma è proprio così? E cosa ne pensano i commercianti che già oggi lamentano la desertificazione del centro storico e aspettano come la manna la movida universitaria del giovedì per far quadrare i conti della settimana? Fino ad oggi la polizia locale svolgeva, e anche bene, un’opera di moral suasion nei confronti degli esercizi commerciali che tendevano a esagerare con musica e rumori, in forza di una discrezionalità dettata dal buon senso e dall’oggettività della situazione.

Ora la pattuglia del turno notturno, se si imbatte nella violazione, o peggio, se viene allertata da terze persone, non potrà tergiversare, dissuadere, mediare, ma dovrà sanzionare, se non vuole rischiare di incorrere essa stessa nel reato di omissione di atti d’ufficio. Si tenga conto che l’inosservanza di queste norme può portare, nei casi di recidiva, anche alla sospensione dell’autorizzazione commerciale e persino alla sua revoca».
Puliti solleva una questione simile per le vetrine degli esercizi commerciali non più in uso. «Non c’è dubbio che per preservare la decenza della città è necessario che questi locali siano tenuti in condizioni dignitose. Il problema è che il Comune lo ha voluto fare emanando una prescrizione imperativa, per cui la prossima pattuglia di Polizia locale che transita per il centro storico non potrà fare a meno di osservare che c’è qualche negozio chiuso da mesi che non rispetta una o più disposizioni dell’art. 44 del regolamento e dovrà, senza se e senza ma, comminare la relativa contravvenzione.
La rigidità e l’imperatività delle norme regolamentari mal si conciliano con la necessità di coltivare un rapporto responsabile, dialogante e costruttivo con il cittadino, sia esso proprietario di negozio, commerciante o residente. Il possibile intervento pedagogico e formativo della coscienza civile che l’Amministrazione poteva mettere in atto per dare una risposta condivisa e partecipata alle sacrosante istanze di decoro della città viene, invece, sterilizzato e soffocato dalla volontà di procedere con i divieti, con gli ordini imperativi, con le sanzioni punitive. Sarebbe stato utile, per esempio, che il regolamento avesse previsto un tempo di differimento della sua esecutività, in cui l’Amministrazione si impegnava a svolgere attività di comunicazione, di coinvolgimento e di convincimento dei soggetti a vario titolo interessati, magari incoraggiando la collaborazione con appropriate forme incentivanti. Come pure sarebbe stato opportuno che il regolamento, per gli aspetti più impattanti, fosse stato spiegato alle rappresentanze delle categorie produttive e del commercio, per farne percepire la portata, per consentire che esso fosse assimilato, senza dare l’impressione di decidere in maniera autoritativa e solo sul versante repressivo. Il confronto sarebbe stato quanto mai opportuno e avrebbe anche potuto evitare talune stravaganze».
L’ex dirigente evidenzia anche un elemento ironico: «Si pensi all’art. 19 che recita: “E’ fatto divieto a chiunque di causare col proprio comportamento, nei luoghi pubblici come nelle private dimore, turbamento all’ordinata convivenza civile, recare disagio o compiere atti contrari alla pubblica decenza”. Perché il Comune ha deciso di mettere il naso dentro le “private dimore” punendo chi, all’interno di queste, compia “atti contrari alla pubblica decenza”? Qual è lo scopo di questo articolo? Magari quello di multare coloro i quali, nella loro intimità domestica, si scambiano effusioni amorose troppo spinte e licenziose o non siano adeguatamente abbigliati? In ogni caso l’esito della disposizione è una scivolata illiberale e oppressiva, sbagliata quanto inapplicabile, perché, come ci insegna il codice penale, gli atti contrari alla pubblica decenza sono tali solo se avvengono in un “luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico” e non anche in una “privata dimora”. E che dire della previsione dell’art. 39 che vieta la permanenza nell’abitazione, anche se temporanea e occasionale, di un numero di persone maggiore rispetto a quello risultante dall’applicazione dei parametri indicati dal decreto del Ministro della Sanità del 5 luglio 1975. Così scritto il precetto (che parla di persone e non di abitanti) pare poter impedire anche cene e cenoni, feste di compleanno, anniversari e rinfreschi per ricorrenze varie, quando il numero dei convenuti superi la soglia prevista dal decreto. Di sicuro l’intenzione era un’altra, ma l’involontario effetto umoristico della norma è comunque assicurato».

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