Il convegno
di Monia Orazi
C’è stata un’epoca in cui Sefro, Sorti ed Agolla erano tre Comuni separati: lo sono stati fino al 1816 quando nell’anno della restaurazione dopo il dominio di Napoleone, sono state riordinate le circoscrizioni amministrative e sono stati uniti in un unico comune.
È questo uno dei tanti aneddoti emersi dal convegno che ha celebrato i seicento anni degli Statuti comunali di Sefro, firmati nel 1423 da Elisabetta Malatesta, al tempo reggente per la dinastia dei Da Varano. Era la moglie di Rodolfo III e si mise in salvo a Pesaro, per sfuggire alla furia dei nemici, portando con sé quei due cugini Rodolfo e Giulio Cesare da Varano, con cui la signoria camerte raggiungerà il suo culmine. Una storia antica quella del piccolo comune di Sefro, che inizialmente apparteneva al ducato di Spoleto, ma che è sempre rientrato nell’orbita del ducato di Camerino.
Il primo atto significativo, come spiegato dal professor Claudio Mazzalupi che 27 anni fa scrisse proprio una monografia su Sefro, frutto di almeno quattro anni di ricerche d’archivio, risale al 1240 quando il futuro Papa Innocenzo III, allora rettore della marca Anconitana, nel diploma che concesse a Sefro stabilì anche i futuri confini dello stato guelfo di Camerino, comprendendovi anche Sefro, già costituito in libero comune. In quell’anno Sefro stringe un accordo con Camerino. Come già avvenuto ad Esanatoglia diventa terra raccomandata, con diritto ad una specie di autonomia, l’esenzione da alcune tasse. In quel momento a governare Sefro non sono i nobili ma i podestà, che sono sempre espressione diretta della famiglia Da Varano. È il 1259 quando scappano a Sefro i nobili di Camerino e con loro la famiglia Varano agli albori della propria potenza, per sfuggire alla devastazione del “sacco di Camerino” perpetrato dal condottiero Percivalle Doria. Un altro favore che permise a Sefro di ottenere successivi vantaggi.
Risale a quest’epoca la stesura dei primi statuti comunali di Sefro, segno dell’autonomia e dell’indipendenza, emblema dell’identità del piccolo comune alle pendici del monte Vermenone. Agolla e Sorti erano dei “castrum”, cioè insediamenti con delle mura, un castello detto cassero utilizzato a scopo difensivo, ma anche segno di autonomia amministrativa del comune. Sefro invece era una villa, un luogo aperto che per ottenere la propria autonomia comunale fece costruire quella che oggi si conosce con il nome di rocca Varano. Una contraddizione in termini secondo Mazzalupi, perché negli atti amministrativi si parla di “castrum della villa di Sefro”, mentre in realtà la villa doveva essere sottoposta al castrum. Si tratta di un cortocircuito, che sta ad evidenziare l’originalità e la forte spinta autonomistica della comunità locale. Ci furono sempre vivaci dispute con quelle che oggi sono le frazioni, in archivio Mazzalupi ha trovato traccia della disputa per il confine con Agolla, proprio alla fine del 1700, pochi anni prima che fossero riuniti sotto un unico contesto amministrativo. L’economia di Sefro è sempre stata basata su attività legate alla montagna, in quanto il territorio ristretto tra gli altri comuni di Sorti e Agolla non aveva possibilità di avere grandi attività agricole.
A scrivere gli statuti di Sefro, furono delle figure specializzate, notai che giravano di comune in comune ed hanno redatto altri statuti nella zona. L’incontro si è aperto con i saluti di Alessandro Medei presidente del consiglio comunale, poi sono intervenuti Paolo Trognoni con “Brevi cenni su aspetti giuridici e istituzionali”, Mario Santini con “Gli Statuti della Villa di Sefre: personaggi e toponomastica” e, infine, Marco Temperilli con “I libri V e VI: raro esempio di caratterizzazione di vie e fonti”. Ha coordinato i lavori Gianfranco Borgani, dell’associazione Rifugio valle Scurosa. Luciano Monceri ha allietato la serata con interventi musicali.
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