Maxi frode sui bonus edilizia,
gli arrestati davanti al giudice:
in sei fanno scena muta

INCHIESTA - Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere durante gli interrogatori di garanzia. Ha parlato solo il consulente del lavoro, che ha negato di avere avuto a che fare con le attività del sodalizio e di aver solo messo dei visti. L'indagine aveva portato a sequestri per 2,6 milioni di euro. Due le persone in carcere, cinque quelle ai domiciliari

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Marsel Mati all’arrivo in tribunale oggi

di Gianluca Ginella (Foto di Fabio Falcioni)

Maxi frode sui bonus per l’edilizia, sei degli arrestati fanno scena muta davanti al gip, parla solo il consulente del lavoro che in sostanza spiega di non avere nulla a che fare con le attività del presunto sodalizio. Oggi si sono svolti gli interrogatori di garanzia al tribunale di Macerata, davanti al giudice Giovanni Manzoni. I reati contestati, a vario titolo, vanno dall’associazione per delinquere, al riciclaggio, autoriciclaggio, indebita percezione e trasferimento fraudolento di valori, truffa.

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L’avvocato Vando Scheggia

Due le persone che si trovano in carcere: si tratta di Marsel Mati, 31 anni, albanese, residente a Tolentino, e dell’architetto Pier Luigi Longhi, 66 anni, residente a Martinsicuro.

Mati, assistito dagli avvocati Vando Scheggia e Riccardo Leonardi, è ritenuto dalla procura di Macerata, che ha coordinato le indagini di carabinieri e Guardia di finanza, essere il capo del presunto sodalizio criminale che avrebbe gonfiato le fatture per lavori di miglioramento energetico e adeguamento antisismico di alcuni edifici a Tolentino, Civitanova e Serrapetrona, ottenendo, col sisma bonus e l’ecobonus, crediti di imposta non dovuti per un totale di 4,7 milioni. Secondo l’accusa Mati avrebbe reinvestito parte dei soldi incassati grazie ai bonus per comprare altri immobili, spesso con triangolazioni di denaro da una società all’altra o tra componenti del presunto sodalizio, auto (come una Mercedes da 104mila euro rivenduta poco dopo a 98mila euro), gioelli. E’ inoltre accusato di aver minacciato un finanziere per costringerlo a omettere atti del proprio ufficio. In un caso gli avrebbe detto che sapeva abitava a Spello. In un altro gli avrebbe detto: «L’altro giorno sono passato a Spello e ti ho pensato, abiti in centro o in periferia?». Mati oggi si è avvalso della facoltà di non rispondere. Lo stesso ha fatto l’architetto Longhi, collegato in videoconferenza dal carcere di Lanciano (lui è assistito dall’avvocato Massimo Di Bonaventura).

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Da sinistra il colonnello Nicola Candido, il procuratore Giovanni Fabrizio Narbone, il coloennello Ferdinando Falco

Nell’inchiesta sono coinvolte due società che farebbero capo a Marsel Mati: la Gruppo Marma e la Immobiliare Centro Italia. La prima utilizzata per effettuare i lavori, la seconda per acquistare e rivendere immobili. Mati avrebbe utilizzato alcuni famigliari come prestanome e anche l’ex commercialista Carlo Pisciotta, 65enne di Tolentino. Sono accusati sia di aver favorito la frode, sia di aver contribuito a reinvestire i presunti guadagni illeciti. Il gip ha disposto il sequestro di beni per 2,6 milioni, cioè la somma già incassata sul totale di 4,7 milioni ritenuti il provento della frode.

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L’avvocato Massimo Di Bonaventura

Oltre a Pisciotta, sono finite agli arresti domiciliari la madre di Marsel Mati, Shpresa Mati, 59 anni, la sorella, Marsida Mati, 29, e la moglie Alba Mati, 25. Tutti e quattro si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

Le tre donne sono assistite dall’avvocato Vando Scheggia. Ha invece deciso di rispondere alle domande del giudice il consulente del lavoro Giuseppe Ruiti Spurio, 56 anni, di Tolentino, accusato di associazione per delinquere e di truffa e falsità ideologica, perché avrebbe apposto dei falsi visti di conformità necessari ad attestare la sussistenza dei presupposti per ottenere le detrazioni d’imposta. L’uomo ha negato di avere nulla a che fare con l’attività del presunto sodalizio e ha detto di avere solo messo dei visti. I suoi legali, gli avvocati Gianluca Aliscioni e Giulia Vitali, hanno chiesto la revoca dei domiciliari o una misura meno afflittiva.

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