Lo svelamento della targa ad Edith Bruck con il rettore John McCourt, con il prefetto Flavio Ferdani e con il direttore dipartimento studi umanistici Roberto Mancini
Da oggi, nella sede in corso Cavour del dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Macerata, c’è un’aula che porterà il nome di Edith Bruck, la scrittrice e poetessa ungherese naturalizzata italiana, testimone instancabile sopravvissuta ad Auschwitz. «Siamo obbligati a ricordare e non dimenticare l’inumanità che ha portato alla Shoah. Edith Bruck ci fa immaginare un futuro migliore senza dimenticare le atrocità vissute», ha commentato il rettore John McCourt al momento dell’intitolazione in occasione del Giorno della Memoria. «Una ricorrenza che è occasione di risveglio della nostra coscienza, in cui i saperi che coltiviamo diventano operativi nella realtà, perché hanno una radice etica», ha sottolineato il direttore del Dipartimento Roberto Mancini. «Sono molto contenta di questa aula mia – ha detto l’artista in collegamento dalla sua casa romana, appena rientrata da una cerimonia al Quirinale – perché in futuro c’è chi chiederà “chi è?” e gli verranno spiegati la mia vita, i miei versi, il lavoro di testimonianza che ho condotto in oltre sessant’anni. In qualche modo, in qualche forma sopravvivrà quello che sono e quello che ho fatto».
Tanti studenti e studentesse delle superiori hanno partecipato all’incontro che ha preceduto lo svelamento della targa, con le docenti Adele Valeria Messina, che ha ricostruito il percorso storico della Shoah, e Michela Meschini, che ha introdotto la figura della Bruck attraverso le sue poesie. Presenti anche il prefetto Flavio Ferdani, la vicesindaco Francesca D’Alessandro, il questore Vincenzo Trombadore, il procuratore Giovanni Narbone, il comandante provinciale dei carabinieri Nicola Candido, il comandante provinciale della Guardia di Finanza Ferdinando Falco e il portavoce della comunità islamica maceratese Abdul Tarakji. La comunità ebraica di Ancona ha mandato un saluto di ringraziamento letto dalla delegata del rettore per i rapporti con gli enti culturali Lina Caraceni: «Per noi ebrei, cittadini di questo Paese da sempre, è importantissimo ricordare che la Shoah è stato l’epilogo di una dittatura. Non è avvenuta in un vuoto sociale. È un tutto che va compreso come male per l’Italia intera e gli Italiani tutti» (era scritto nel messaggio).
Edith Bruck ha ricordato l’incontro con Papa Francesco nella sua casa. «Appena l’ho visto sono scoppiata a piangere, per me significa tantissimo». Ha parlato di carità e rispetto per gli altri. «Non c’è nessuno che vale più di me. Ogni essere umano va rispettato per quello che è, se non nuoce. Io non ho mai sentito un briciolo di odio, neanche per le persone più abiette che ho incontrato già nel mio villaggio». E di quei punti di luce che l’hanno aiutata a mantenere la speranza anche nei campi di concentramento. «C’era sempre una luce, anche se fioca. La coglievo in uno sguardo, in una domanda come quando un cuoco mi chiese come mi chiamavo. Cosa vuol dire un nome nei campi di concentramento? In quel momento mi sono sentita un essere umano, che esiste». O il soldato che miracolosamente le risparmia la vita dopo che la sorella lo aveva spinto per terra per difenderla dalle botte.
«Ho iniziato a scrivere nel 1946. La carta sopporta tutto mentre l’orecchio umano non vuole sentire niente», ha ricordato questa donna che, a 91 anni, continua a sentire forte il dovere di raccontare, come le chiesero chi da quell’inferno non è mai uscito. «Per ieri, per oggi e per domani – ha rimarcato – perché riguarda l’Europa stessa, il mondo, non solo noi che abbiamo pagato il male. Queste lotte di oggi, in Iran, in Afghanistan, tutto quanto ci riguarda. Non si può dire che sono lontane in un mondo globalizzato, ma dobbiamo denunciare, protestare, perché a chiunque può toccare il male. Bisogna alimentare il bene e lasciar morire di fame il male».
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