Vittorio Sgarbi al Marec
di Monia Orazi
Dalla polvere e dalle macerie del terremoto, passando per il buio e l’oblio del deposito, fino a rinascere sotto le luci appositamente studiate per mostrarle più belle che mai nel museo dell’arte recuperata inaugurato oggi pomeriggio a San Severino nel palazzo arcivescovile.
Sono di nuovo visibili le settanta opere salvate dal terremoto, con un grande lavoro di squadra dei carabinieri del Nucleo tutela del patrimonio culturale, dei vigili del fuoco, dei volontari di Protezione civile di Legambiente, dei tecnici del Mibact e del personale della curia. Ad avere l’idea di realizzare il Marec è stato quello che Vittorio Sgarbi, intervenuto appositamente nell’anteprima di presentazione per la stampa, ha definito il “vescovo di Tropea”, monsignor Francesco Massara presule delle diocesi di Camerino-San Severino e Matelica-Fabriano. Ci sono i pezzi più belli delle chiese di Castelsantangelo, Visso, San Ginesio, Caldarola, San Severino e altri comuni della diocesi, opere che gli abitanti del posto conoscono alla perfezione e venerano come una persona cara di famiglia, ma anche capolavori assoluti come la Madonna della Pace del Pinturicchio appositamente spostata per volontà del vescovo dalla pinacoteca civica Tacchi Venturi di San Severino, un dipinto di Orazio Gentileschi, la Madonna di Lorenzo D’Alessandro, quadri di Giovanni Boccati, le rare statue lignee rinascimentali come il San Sebastiano di Caldarola e la Madonna di Macereto, quella venerata a Castelsantangelo, tanti capolavori che raccontano di un’epoca in cui la grande arte era di casa nelle colline tra Camerino e San Severino.
Sgarbi, fluido e brillante nel suo elemento, non ha mancato di elogiare l’allestimento del museo, curato dalla direttrice Barbara Mastrocola e dal personale della curia. Sgarbi ha conservato un modo di fare composto al tavolo della presentazione con le autorità, ma una volta nelle sale, si è scatenato a modo suo, saltando da un’opera all’altra, raccontando dettagli che solo lui riesce a cogliere vista la sua cultura, mettendosi a spostare le statue lignee aiutato dai tecnici della curia, per piazzarle perfettamente allineate alle mattonelle del pavimento. Ha detto Vittorio Sgarbi: «Sono opere necessarie ma di difficile collocazione, c’è anche il primo maestro di Camerino Giovanni D’Angelo Antonio e Giovanni Boccati. Questo è un museo pieno di sorprese, una compensazione al museo di Urbino, voluto dal vescovo di Tropea e dal sindaco che arriva a rapire opere dal Tacchi Venturi (la Madonna del Pinturicchio, ndr). E’ il museo tra i più importanti delle Marche, una sorpresa che non mi aspettavo per la quantità e la qualità delle opere esposte, ci sono anche quattro rare sculture lignee, tra cui quella del maestro di Macereto.
Da sinistra il sindaco Rosa Piermattei, l’arcivescovo Francesco Massara e Vittorio Sgarbi
Questa è una collezione involontaria, ma ricostruita grazie a Barbara Mastrocola con il rispetto delle aree e della cronologia, un allestimento pulito e l’illuminazione giusta». Sgarbi ha confessato di non aver trovato nessun difetto, ma ha fatto qualche considerazione sul nome scelto per il museo: «Questo è un museo che durerà almeno trent’anni, tanto ci vorrà a ricostruire le città colpite, io lo avrei chiamato museo dell’arte divina o sacra, Marec, museo dell’arte recuperata desta una certa malinconia. E’ un museo che permette di vedere in un unico luogo opere per cui prima ci sarebbero voluti quindici giorni, aver restituito al pubblico godimento questo patrimonio culturale che altrimenti non sarebbe potuto essere visto è una grande conquista».
Ha raccontato l’arcivescovo Francesco Massara: «C’erano in questo palazzo 2.500 opere ammassate, vedendo i puntelli e pensando alla lunghezza della ricostruzione, ho pensato di restituire queste opere alla fruizione, rendendo questo luogo un salotto della bellezza». Il vescovo ha anche aggiunto che nel museo c’è un laboratorio di restauro, ha invitato le scuole a visitare il museo perché i primi destinatari della bellezza sono i più giovani.
«Questo è il museo della rinascita – ha detto il sindaco Rosa Piermattei – si rendono le opere fruibili per poi farle tornare nei luoghi da cui provengono, è un’emozione averle quasi riportate in vita, sono il nostro passato e il nostro futuro, questo è un grande santuario». Ha aggiunto la direttrice Marec Barbara Mastrocola: «Questa è una casa temporanea, è giusto che le opere tornino nei luoghi di provenienza, per il forte legame con le loro comunità. Queste opere come le persone hanno perso i luoghi di origine, sarebbe bello vederle tornare dove erano prima possibile. Sostanziale è stata, quindi, la scelta di esporre le opere non in ordine cronologico o tipologico, ma per luogo d’origine perché, prima di tutto, gli oggetti d’arte sono parte di un paesaggio collettivamente vissuto, prima di essere oggetto di competenze erudite, e vivono solo se attorno c’è una comunità attiva».
Nel pomeriggio dopo la cerimonia al Feronia, il taglio del nastro di fronte al pubblico delle grandi occasioni, con i vertici regionali, provinciali, numerosi amministratori locali, autorità religiose, esponenti di rilievo del mondo dell’arte e della cultura.
Il museo è stato realizzato nel palazzo arcivescovile di San Severino, con il contributo di un milione e centomila euro dei fondi europei Por Fesr dedicati al sisma. Le 70 opere sono esposte in un piano quello espositivo suddiviso in 13 sale. Il secondo piano accoglie il deposito attrezzato delle restanti 2500 opere con annesso laboratorio di restauro. Al terzo piano sono presenti aule didattiche e per convegni o mostre temporanee. La Saletta Multimediale collocata nella prima parte del percorso museale rappresenta il punto di approfondimento e riflessione intorno al senso dei luoghi di questo territorio così fortemente colpito dal sisma. Attraverso un documentario dalla narrazione suggestiva ed evocativa realizzato da Cesura, collettivo fotografico che produce progetti nel campo della fotografia documentaria e della ricerca visiva in ambito artistico, sarà possibile ripercorrere con suggestive riprese i luoghi originari per i quali queste opere sono state realizzate.
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